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Riceviamo e pubblichiamo da Piero Stagno uno scritto redatto nel cinquantennale dell’armistizio del 8 settembre 1943.
5/9/2003
Cari amici,
lunedì è l’8 settembre, sessantesimo anniversario dell’armistizio, vide il gravissimo sbandamento dell’esercito italiano (ricordiamo tutti il film “tutti a casa” e tutti ne abbiamo sentito parlare in casa dai nostri genitori) e l’inizio dell’occupazione militare tedesca che per venti mesi insanguinò le nostre città e le nostre montagne.
Ma non è stata la “morte della Patria”, come una certa pubblicistica coi paraocchi dice da tempo.
Infatti per morire, prima bisogna essere vivi, ma la Patria era già morta: iniziò a morire il 3 gennaio 1925 e l’agonia proseguì con l’incarcerazione dei dissidenti, con l’abolizione della libertà di stampa e delle libere elezioni, con l’insegnamento della mistica fascista a scuola.
Già nei primi anni ‘30 la Patria era morta, nonostante la demagogia e la retorica del regime: era Patria quella che discriminava italiani in base alla loro ascendenza e li rendeva razza inferiore, era Patria quella che, oltre ad aver tolto la libertà ai suoi figli, stringeva un’alleanza cobn un’altra dittaura per togliere la libertà al mondo, era Patria quella che scatenava una guerra in chiaro contrasto con l’interesse nazionale?
A questa morte della Patria i 19 membri del Gran Consiglio si ribellarono il 25 luglio.
Grandi disse durante la riunione a Mussolini:”tu ci chiedi di scegliere fra la fedeltà a te e la fedeltà alla Patria. Noi non abbiamo dubbi” e i 19 scelsero la Patria, 5 pagando poi con la la vita questa loro nobile scelta.
A quel punto gli Italiani seppero, prima confusamente, poi in maniera sempre più chiara, che c’era un’altra Italia e quindi una speranza, nonostante l’infausto proclama di Badoglio del 26 luglio e l’inetta gestione dei 45 giorni che tante sciagure provocò.
E fu per questo, che la Patria in quel momento era l’altra Italia, il Re, che la Marina salpò da La Spezia, in base ad un ordine del Governo legittimo del Re (che era il contrario di quanto ordinato fino al giorno prima): l’ammiraglio Bergamini aveva giurato di agire per “il bene indissolubile del Re e della Patria” e si regolò di conseguenza; egli morì con tutto l’equipaggio della corazzata Roma, ma il resto della flotta raggiunse Malta.
Per questo il generale Ferrante Gonzaga (discendente di una delle famiglie più illustri d’Italia), morì l’8 settembre a Salerno combattendo contro i tedeschi (“per l’onore e la libertà della Patria” dice la scritta sotto il suo busto nel giardino di palazzo Gonzaga a Mantova).
Per questo gli ammiragli Mascherpa e Campioni resistono a Lero e sono fucilati.
Per questo la divisione Acqui resiste a Cefalonia, con una votazione fra i soldati che scelgono di combattere al comando del Generale Gandin; 8400 sono i morti, fra cui tutti gli ufficiali (165 fucilati).
Per questo circa dei 600.000 prigionieri in Germania, nonostante lusinghe e minacce, solo poche migliaia accettarono di arruolarsi con la RSI.
Per venire a fatti a noi vicini, per questo ci fu il combattimento di Cremeno, che domani sarà celebrato alla Caserma di Bolzaneto, per questo Aldo Gastaldi l’8 settembre nascose le armi e salì a Cichero (e fatti sinili avvennero in tutta Italia, Ignazio Vian a Cuneo e chissà quanti altri).
Per questo ci fu la Resistenza “venti mesi contro 20 anni”.
E vi pare che tutti questi sacrifici sarebbero potuto avvenire se non fosse stato che tutti questi uomini pensavano all’onore ed alla libertà d’Italia?
Non morte della Patria dunque, ma inizio della risurrezione del concetto di Patria, dopo la morte provocata dal fascismo.
Un caro saluto.
Piero Stagno
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