La mattina del 15 aprile le forze di sicurezza palestinesi hanno trovato, in una casa abbandonata fuori Gaza, il corpo di Vittorio Arrigoni, giornalista e attivista dell’International Solidarity Movement, che era stato sequestrato il giorno precedente dalla cellula salafita ”Brigata Mohammed Bin Moslama”, come ostaggio per uno scambio di prigionieri con Hamas.
La cronaca dei fatti insinua però qualche dubbio. Perché i sequestratori non hanno voluto intavolare delle serie trattative, uccidendo l’ostaggio senza nemmeno attendere la scadenza dell’ultimatum?
Come mai è stato scelto Vittorio, che si era sempre dimostrato un autentico sostenitore della causa palestinese e che aveva scelto Gaza come sua dimora d’elezione tanto da rimanervi, unico giornalista straniero, anche durante gli incessanti bombardamenti dell’operazione ‘Piombo fuso’?
Queste domande, per ora senza risposta, lasciano aperta una via al sospetto che non può vedere come una semplice coincidenza il fatto che in questi anni Vittorio fosse stato designato come uno dei principali nemici della causa di Israele: ad esempio, un gruppo dell’estrema destra sionista nel suo portale web aveva lanciato un appello ai servizi segreti e all’esercito israeliani affinché lo colpissero, segnalando addirittura le coordinate con cui rintracciarlo a Gaza.
A fronte della sua tragica fine, ciò che noi possiamo fare qui in Italia è innanzitutto continuare a ricordarlo come in questi giorni molti hanno fatto, scendendo in piazza a sostegno della causa palestinese che lui ha sempre difeso con forza, trascurando alle volte di tenere in giusta considerazione quelle derive autoritarie, nazionaliste e militariste che purtroppo animano diversi settori della società palestinese. Difficile però sarà per noi spenderci con la stessa determinazione con cui lui ha combattuto in questi anni: dalle corrispondenze durante i bombardamenti ( ricordiamo l’oramai celebre frase con cui chiudeva gli articoli: “Restiamo Umani”) tenute per il quotidiano “Il Manifesto” prima e per il suo blog “Guerrilla Radio” (guerrillaradio.iobloggo.com) poi, alle spedizioni di aiuti internazionali, alle azioni di interposizione in favore dei pescatori palestinesi, costretti ad uscire in mare clandestinamente per il timore di attacchi da parte di motovedette israeliane (cosa che gli era costata anche una fuga a nuoto sotto le pallottole), alle tante altre cose fatte per una terra in cui non era nato ma che amava con forza e di cui aveva sposato pienamente la causa. Causa che i famigliari e i compagni stanno cercando di portare avanti anche ora, ottenendo di trasportare la salma in un valico verso l’Egitto, per non farla passare attraverso quei checkpoint israeliani che da vivo lo avevano spesso fatto tornare indietro.
Ma nella lotta che, nel nome di Vittorio e di tutti i compagni morti in questo cammino, vogliamo portare avanti, non possiamo esimerci da una necessaria riflessione sulla Palestina attuale: le forze politiche che guidano la battaglia per l’indipendenza sono oggi estremamente divise e nelle zone occupate non mancano costanti sparatorie e lotte di fazione che hanno come primario obiettivo l’egemonia sociale, politica e militare della società palestinese e di quel poco di autonomia strappata ad Israele. A partire da questa drammatica vicenda non possiamo far altro che augurarci che il popolo palestinese ritrovi la sua unità, lontano dagli apparati e dai gruppi di potere e che indirizzi la sua lotta su una strada di laicità e di eguaglianza sociale.
Jacopo Frey
Alla famiglia e ai compagni e alle compagne di Vittorio va il fraterno abbraccio degli anarchici e di tutti coloro che lottano per l’indipendenza della Palestina.
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