In vino veritas!

Accade una domenica sera, ma avrebbe potuto essere un qualsiasi altro giorno della settimana. Accade in Toscana, ma sarebbe potuto accadere in qualsiasi altra parte d’Italia. Una serata fra compagni. Vivande, bevande e chiacchiere. Alla fine, il commiato. C’è chi fa ritorno in un’altra regione e chi fa rientro in città senza problemi. E c’è anche chi si trattiene un po’ più a lungo, prima di salutare e avviarsi verso il proprio paese in provincia. Quasi subito, in lontananza, compaiono dei fanali sullo specchietto retrovisore. Qualcun altro che ha tirato tardi presso parenti o amici? I fanali rimangono a distanza per un po’, poi all’improvviso cominciano ad avvicinarsi minacciosi. Sempre di più, sempre di più, finché... si accende un lampeggiante. Sono i carabinieri. Dopo le richieste di rito (patente e libretto) e la solita domanda inopportuna («Lei che lavoro fa?»), ecco uno di loro arrivare subito al dunque: «si sottoporrebbe all’etilometro?». Allo scontato diniego, il militare sa opporre solo la minaccia di una futura denuncia che provoca totale indifferenza. Incerto sul da farsi, dopo essersi appropriato degli altrui documenti si chiude in macchina in conciliabolo con il suo collega e si attacca al telefono. Passano pochi minuti ed ecco arrivare una seconda vettura dei carabinieri, il cui capopattuglia è assai meno cordiale e assai più sbrigativo. Chi è al volante dell’auto fermata viene apostrofato: «se non si sottopone al test c’è l’immediata sospensione della patente e il sequestro dell’automobile»; mentre chi è al suo fianco e si azzarda a proporre che il test venga effettuato in ospedale viene zittito con un «lei non conosce la legge. Che cos’ha addosso? Mani sulla macchina, la perquisisco!».

Nonostante il test alcolico venga ripetuto ben tre volte, l’esito è sempre negativo. Come pure il risultato delle perquisizioni (dell’auto e corporale). Visibilmente delusi per il fallito agguato che non ha consentito loro di lasciare appiedati i due malcapitati alle 2 di notte a 40 chilometri da casa, i militi sono costretti a togliere il disturbo con le pive nel sacco. Non prima di aver rilasciato due verbali di perquisizione in cui si rende noto che «in relazione alle circostanze di tempo e luogo» la persona «non appariva giustificabile» (sappiate che per i carabinieri ci sono persone che non appaiono giustificabili), e che quindi c’era un «caso eccezionale di necessità e urgenza» tale da esigere l’immediata ricerca di «armi, esplosivi, e strumenti di effrazione».

Morale dell’aneddoto: un tempo erano gli anarchici a sostenere che bisognava decentralizzare le lotte perché il nemico si trova ovunque, polverizzato sul territorio, e che quindi tante piccole azioni diffuse erano più efficaci di poche grandi azioni concentrate. Da qualche tempo anche i repressori stanno seguendo questa strada. Accortisi che le grandi inchieste finiscono spesso con risultati di molto inferiori alle aspettative, oggi mettono in campo tutta la vasta serie di misure coercitive di cui dispongono, applicate senza più distinzione a sovversivi e a “disadattati comuni”. Dagli avvisi orali alla sorveglianza speciale, dai fogli di via al ritiro della patente. Tutti provvedimenti individuali che non fanno notizia, non provocano grandi mobilitazioni e passano quasi inosservati. Limiti, vincoli, ostacoli, studiati caso per caso.

Avviso ai naviganti in questo mare in tempesta.

Mar, 05/01/2010 – 11:37
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