Marco Camenish Non c'è - Fogli di TSO Quotidiani

a cura di Angelo Maddalena, per richiederne una copia audio, benefit arrestati a Bologna del 13 ottobre, contattate angelo.maddalena@gmail.com

Intro: marco camenisch non c’è
Giugno: (Al)la mia generazione: sulle perquisizioni agli anarchici di Bologna
Luglio: A forza di perdere
Agosto: Giù la maschera don Gelmini!
Settembre: Sciopero della fame di Marco Camenisch;
Don Gelmini e dintorni
Canti e storie: Parru ccu ttia: tredici brani tra Buttitta e Cioran
Programmi e velleità: In bicicletta verso la Svizzera di Camenisch passando per...
Antiteatro: Dove e perchè nasce un racconto orale di un’ora;
Grosso guaio Marco Camenisch: due parole (cantate) sugli arresti del 13 ottobre a bologna
Fine ottobre: Altrocioccolato? No, grazie!
Spettacolarizzazione del territorio e controllo sociale (e solidale!) a Gubbio


Marco Camenisch non c’è.

Un percorso di scritture di viaggi lungo i sentieri imprigionati e calpestati della quotidianità. Ma non con spirito di rassegnazione e descrizione, bensì con lo “spirito” di Marco Camenisch e tanti altri come lui che tentano di rompere il velo, di andare “fino in fondo”, e per questo motivo (per diffendere la terra non come proprietà ma come madre che ospita e nutre) sono eliminati, segregati, insomma…
Spostare il baricentro dall’antropocentrismo all’ecocentrismo, in un’epoca di macchinacentrismo, può essere molto pericoloso…Camenisch e tanti altri come lui ce lo ricordano con le loro testimonianze…

Il mio percorso con e per Camenisch parte da un grido, un grido cantato, che diventa racconto orale e itinerante…

In questi giorni l’intensificarsi delle repressioni rende sempre più vivo e necessario e urgente urlare la rabbia, canalizzarla ma senza irregimentarla tecnicamente o scolasticamente, insomma…

Non c’è spirito di ammirazione o apologia in queste pagine, nei confronti di Camenisch o di altri come lui, niente che potrebbe avvicinarsi a spirito di emulazione o sindrome dell’eroe, anche se la repressione mediatica potrebbero spesso spingere in queste direzioni…
Marco Camenisch e l’aspetto psichiatrico dei nostri giorni, in cui sempre più, sembra che chi sia nato tra anni ’70 e anni ’90, sia condannato a una vita di scarto (vedi Bauman, Vite di scarto, primo capitolo), e chi tenta di scoperchiare la morsa e opporsi a essa, viene segregato tra un TSO, un CPT (se non è italiano) e un 270 bis..

Non è neanche una difesa a spada tratta di tipo generazionale questo percorso di scrittura, anzi, si veda il primo “passaggio”, (Al)la mia generazione, un richiamo a riconoscere la sterilità e la pericolosità (e connivenza ) di certi ( e purtroppo sempre più diffusi ) orticelli. Ma anche il “passaggio” A forza di perdere, furioso, a tratti feroce, ma che prova a contestualizzare e a circostanziare le derive soffocanti di certe false “sovversioni”. Alcuni scritti sono anche on line sul blog arte.noblogs.org, e comunque il cammino continua, magari verso sud, come dice il testo inbiciclettaversoilsud lungo i sentieri dei lager del presente. Vorrei mettere alcuni indirizzi di “sognatori” con le ali tarpate tra Bologna e non solo, Umbria e altri lagers (o Case circondariali) italici, se dovessi dimenticarlo si trovano facilmente su www.informa-azione.info, dove si trova anche il testo Grosso guaio Marco Camenisch (col titolo Libbirati Schicchi, Bogu, Juan, Federico…) e il testo inbiciclettaversolilsud.
Da poco è attivo il blog sottotorchio.blogspot.com e da poco è uscito Anni in Trenitalia, diari senza via d’uscita, richiedere via mail o cartaceo ad angelo.maddalena@gmail.com

P.S..: A margine, il titolo di questi fogli, vuole fare il verso a un romanzo di un noto autore, di cui squisitamente si possono leggere critiche ironicosatiriche nei libri di Gordiano Lupi (Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura creativa e Nemici miei), libri che smontano scrittori cosiddetti “Ammansiti”, sempre facendo il verso al nome di un autore recentemente premiato con un Premio Letterario tra i più “pompati”.


Il documento era stato trovato all’Università

Opuscolo anti-Biagi
Anarchici perquisiti

Paola Cascella, Alessandro Cori (giornalisti)

La Repubblica. Bologna cronaca, venerdì, 1 giugno 2007

Fiero di essere fuorilegge, con un A cerchiata, è la foto dell’articolo, una scritta a spray rosso su un muro di una città qualsiasi, il pezzo di muro visibile è troppo piccolo per identificare la zona o il nome della via…

(Al) la mia generazione

“Anarco insurrezionalisti” e “animalisti radicali” (le virgolette le ho messe io, forse potevano metterle loro però! Loro gli autori del testo intendo!), inizia così l’articolo. Le virgolette andrebbero messe ogni qualvolta usiamo un termine, tipo “barbari”, che significa straniero, all’origine, e che molti usano (molti “scrittori”, “giornalisti”, “storici” e persino antropologi!) per indicare atti e persone malvagie, in sé e per sé, ma com’è possibile? Che i barbari, in quanto stranieri, siano tutti e in toto e dalla nascita, con un marchio scritto in frotnte: sanguinari, debosciati, violenti, cioè passano il tempo a scannarsi fra di loro e a scannare i primi che incontrano? (vedi e leggi, a tal proposito, qualche passaggio del libro Barbari, di Crisso e Odoteo, NN edizioni, c.p. 1264, 10100, Torino).
Quindi: “anarco insurrezionalisti”: che vuol dire? Io fino al 2001 pensavo fosse una invenzione dei giornalisti, poi…Vabè, poi ho capito, che c’era qualcosa di vero dietro quella parola (vedi processo “Ros Marini”, digitando su google magari…)

“Fuori luogo” lo hanno messo tra virgolette, “un Centro di documentazione dell’area antagonista” (anti CPT, anti 41 bis)…Ecco, ci risiamo, prima parliamo di soggetti specifici, “anarco insurrezionasti” e “animalisti radicali”, senza specificare e senza virgolette, poi si torna nel vago, generico e…”antagonista” (anti CPT, anti 41 bis)..Qualcosa di vero c’è…nella parentesi!: basta essere “anti CPT e anti 41” bis per meritare le accuse di “Associazione finalizzata a terrorismo ed eversione dell’ordine democratico” (per capirci qualcosa in più occorrerebbe “studiarsi” il “pacchetto” Pisanu, la legge del 31 luglio 2005, per la precisione, sì, quella che impone la schedatura per connettersi in un internetpoint, e per telefonare, in un phone center, sì, vabè, lo so che a uno sguardo “distratto” può sembrare normale questa schedatura, siamo tutti “terroristi” no?, o tutti americani, come dicevamo dopo l’11 settembre?...)

Per rendersi conto di ciò che significa, dal 2005, ma anche da qualche anno prima, essere accusati di “associazione sovversiva” (art. 270 bis del C.P.) è illuminante la vicenda di cui trovate notizia digitando su google “Nottetempo”, o più precisamente, “Operazione Nottetempo”…Bisognerebbe leggere attentamente le circa quaranta pagine, e magari una decina, quelle iniziali più o meno, dove si scopre che le accuse sono rivolte a atti che mirano a difendere i mapuche da Benetton, le vite di scarto (Baumann) a fuggire dai CPT anche definiti lagers…

Questo scritto
Questo scritto lo rivolgo a quella parte di me “dormiente”, a quella parte della mia storia generazionale, certo, non posso essere troppo generico, quindi mi rivolgo agli amici “equi e solidali”, “attenti” ai vari sud del mondo, con cui, in parte, “sono cresciuto”… Quando, invece, c’è da sapere “dove”, dietro casa, o dentro casa, o dentro se stessi, la repressione militargiudiziaria si accanisce, ecco che allora prevale la tendenza a rifugiarsi negli orticelli (simbolici e materiali, bioequolocali e filoterzomondisti), rinforzando, a mio avviso, una depressione latente e strisciante, nel senso di rimozione della memoria storica e profonda di ognuno di noi, e dalla perdita o trascuratezza della memoria, cari miei, solo l’addormentamento dei neuroni può conseguirne, con l’abuso (“normale?”) di canne e di attività frenetiche (anche se “buone”), di “incontri” con psicologi, psichiatri e sacerdoti vari…il risultato della memoria perduta (e della negazione di questa perdita) non può essere altro che la superficialità travestita da “impegno”, sociale e culturale, per abbassare la soglia dell’ansia….Questo vuol essere un grido di allarme, in occasione dell’ennesimo colpo (di mano? Di stato?) contro coetanei che per avere distribuito un opuscolo su Marco Biagi in cui si diceva, tra l’altro, che “le sue responsabilità rimangono e ci pare scontato che certe responsabilità prima o poi si debbano pagare”, ecco, per queste e altre parole, il PM Giovagnoli ha detto che “si tratta di istigazione e apologia di attentato terroristico e associazione finalizzate a terrorismo ed eversione dell’ordine democratico”. Qualcuno dirà “esageraato!”, qualcuno dirà che questi ragazzi sono dei “coglioni” ( mi è capitato, mi è capitato…) E lo dirà chi ha la loro stessa età, stesso desiderio (represso) di uscire dal tunnel delle droghe invisibili e quotidiane di cui si parlava prima..

Angelo Maddalena, lontano da dove, giugno 2007


A forza di perdere....
Di angelo maddalena

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IL MOVIMENTO DI AUTOCOSCIENZA E L’INVASIONE DEL SE’

La perdita del tempo del senso storico

(...) Il disastro incombente è diventato preoccupazione quotidiana, tanto normale e consueta che nessuno si chiede più seriamente se e come il disastro potrebbe essere evitao. La gente si dedica affannosamente, invece, alla ricerca di strategie di sopravvivenza, di modi di prolungare la propria esistenza personale o di sistemi per garantire il benessere del corpo o la pace dello spirito.

Quando tornai dal Belgio e da Milano in centro Sicilia, dopo la laurea, provai a elaborare minimante il mio ritorno. Vedevo che dentro di me e intorno a me c’era una forte spinta a tornare nei luoghi rurali, e in parte seguìi quell’onda, riabitando luoghi fino ad allora quasi mai visti nè vissuti, sebbene ci fossi nato. La tesi di laurea sull’emigrazione italiana in Belgio non volevo che finisse lì, cioè in un cassetto o in uno scaffale. Mi chiamava a una responsabilità quella tesi, la possibilità (o la impossibilità) del ritorno, la possibilità (e il dovere) di gestire la catastrofe (potrei chiamarla emigrazione invisibile o in altri modi, ora so di esser nato in una età della catastrofe, ed è uno studioso come Hobsbawn che me lo ricorda). Intanto nel 2002 credo, una casa editrice di Torino mi disse che poteva valutare la possibilità di pubblicare la tesi rielaborata, quindi accelerai i tempi: nell’estate del 2002 mi autosegregai nella casa di campagna che mio padre aveva ristrutturato a fine anni ’70 ma dove nessuno di noi aveva mai trascorso una notte per dormirci, sebbene situata a pochi chilometri dal centro abitato. In quell’estate, oltre che sfondare le paure irrazionali di dormire da solo in una casa di campagna (ci dormìi per circa due settimane o tre, e venne due notti a dormirci mia madre fino ad allora “atterrita” dall’idea di dormirici da sola o anche in compagnia di sconosciuti o persone non fidate), lessi un pò di testi, che poi utilizzai per la rielaborazione della tesi. Uno di questi fu La cultura del narcisismo, la fuga dal sociale in un’epoca di disillusioni collettive, di Cristopher Lasch.

L’ho riletto a distanza di anni quel testo e lo voglio usare come "grimaldello" per scandagliare un pò di questioni che ritengo urgenti.

La cosa che mi punge di più, e mi spinge a scrivere, è appunto un aspetto sempre più presente nei nostri mondi interiori stravolti dalla catastrofe antropologica in cui siamo immersi, nella fattispecie mi rivolgo a quelli che oggi hanno venti e trent’anni o giù di lì. Voglio parlare di conseguenze sulle persone, di perversioni invisibili o difficilmente percepibili, iniziando appunto dalle parole del titolo del libro di Lasch Un effetto della catastrofe, come spiega Lasch, è quello del rientro nella dimensione “familistico-interiore”: non è un caso che il suo libro nasce come studio delle condizioni della famiglia americana negli anni ’70, e poi si allarga ad altre tematiche socioantropologiche del nostro tempo. Una delle cose che più mi impressiona, dopo aver viaggiato qualche anno e aver visitato o soggiornato in realtà rurali più o meno comunitarie, più o meno produttive, più o meno informali, è il riscontrare dovunque un atteggiamento di ritiro, spesso però inconsapevole e travestito da “sovversione”, o “proposta alternativa”, a volte venduta come buona (anche materialmente, quando si tratta di libri pubblicati: vedi Terra. In campagna un’altra vita è possibile, di Sabrina Calogero, Terre di mezzo edizioni, che riprende il modulo di Vivere altrimenti o altri libri del genere, o anche il più recente Vivere senza padroni, di Stefano Boni, Eleuthèra)

Mi vengono in mente le parole di Lasch, che già ho citato nel libro Sud e ritorni, Dalle miniere alle librerie tra Belgio e Sicilia – è il titolo del libro frutto della rielaborazione della tesi -,

C’è chi scava rifugi antiatomici sperando di sopravvivere alla catastrofe grazie agli ultimi ritrovati della moderna tecnologia. Nelle comuni rurali, altri tentano di realizzare il progetto opposto: liberarsi dalla dipendenza tecnologica e sopravvivere così alla rovina (...)

Continua Lasch:

Entrambe le strategie riflettono la crescente disperazione di poter cambiare una società che non si riesce nemmeno a capire, una disperazione che sottende il culto della dilatazione della coscienza; della salute fisica e della “crescita” personale, oggi tanto diffuso (…)

Abbandonata la speranza di migliorare la vita in modo significativo, la gente si è convinta che quel che veramente conta è il miglioramento del proprio stato psichico: aderire alle proprie sensazioni, prendere lezioni di ballo o di danza del ventre, bagnarsi nel mare della saggezza orientale, fare del jogging, imparare a “entrare in rapporto”, a vincere la “paura del piacere”.

Citando queste righe mi sembra di toccare e percorrere molte tendenze striscianti, a volte travestite da "proposte" e apparentemente lontane dalle azioni elencate. Infatti, l’aspetto più interessante si trova nelle righe che seguono:

Questi obiettivi, in sé innocui, se elevati alla dignità di programma e impastati nella retorica dell’autenticità e della consapevolezza, implicano di fatto il ritiro dalla politica e il rifiuto del passato recente

Un libraio anarchico

Un libraio di Roma un paio di anni fa mi diceva che “c’è crisi nelle librerie anarchiche perché i giovani non leggono più, non fanno più analisi”. Io pensai che vent’anni fa i giovani, o anche trent’anni fa, leggevano di più, compravano più libri, magari anche per moda, erano più intellettualoidi, facendo più spesso di come non si faccia adessoriferimenti a testi di Camus o Sartre, che ne so? Che pallosi dovevano essere! Qualcuno potrebbe pensare, ma…Oggi? O meglio, al di là dei confronti tra la pallosità delle letture di ieri e di oggi, oggi, a livello di analisi, a che punto siamo? Sinceramente parlando, le parole di quel libraio mi interrogarono e mi interrogano tuttora.

CAMBIARE UNA SOCIETA’ CHE NON SI RIESCE NEMMENO A CAPIRE. Ecco che tornano le parole di prima. Come si fa a cambiare una società se non las i comprende? Se non la si analizza?

Quando parliamo di “nuovi modi di”, di “nuovi modelli”, di “proposte”…Sappiamo, cioè, abbiamo capito, o meglio ancora, che cognizione abbiamo acquisito ed elaborato del nostro passato recente? Del nostro momento epocale? Della nostra identità generazionale?

Sud e ritorni
Quando tornai da Milano al paese natìo (hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato luogo natìo, dice il subcomandante Marcos), quasi dieci anni fa ormai, trovai delle situazioni così grottesche e deprimenti che per spiegarle ci vorrà un bel po’ di elaborazione che magari diventerà scrittura teatrale…

Un mio amico mi chiese cosa fossi tornato a fare lì, “nni stu fussu”? io risposi laconico, forse incosciente, ma “originale”, e, soprattutto, col senno di poi, coerente con quelle parole e con quel programma:
"Uno stage di cinque anni!"
"Ti sei procurato un buon psichiatra?", mi rispose lui di rimando, sorridendo con lieve amarezza e ironia. Dopo cinque anni più o meno esatti ho maturato l’esigenza, anzi, l’urgenza di uscirmene dalla “palude” natìa, da quella codda ppi li surgi (colla per topi) come la chima un altro di quelli che trovai lì in quegli anni e col quale mi sono ritrovato dopo tanti anni in questa consapevolezza (anche lui è riuscito a fuggire dalla “felicità abbandonata”, sono parole sue, cioè di T.S.). Tra gli altri incontri del mio ritorno ci fu quello con la “proposta di vita” della comunità (o lager?) “Incontro” di don Gelmini. Due ragazzi che conoscevo da tanto tempo erano tornati “rinati” e “salvati” dal “don”, quindi portavano la buona novella: la comunità (terapeutica) è una proposta di vita (testuali parole dette e scritte da don Gelmini): agricoltura biologica, vita sana, in comunità appunto, in un contesto rurale…”la casa la chiesa a modo e per bene, cattolico decoro”, cantavano i CSI con la voce di Lindo Ferretti ora “convertito” pure lui allo pseudogelminismo ( si veda il suo libro Reduce, anzi la copertina e il controno promozionale fatto di confessioni e pseudofanatismi religiosi…). Ci andai qualche volta in Comunità, per “feste”, ricorrenze e “visite” del don, o semplicemente di passaggio con uno o tutti e due i ragazzi miei compagni di quel periodo…(si veda il libro Mara come me, omicidio in comunità, di Marco Salvia, per saperne di più sui retroscena della comunità).

(Attenzione! Io non salvo nessuno! Un tipo che stimo per l’acutezza di pensiero e la ricchezza intellettuale, tra i più radicali del panorama italiano (almeno per quanto riguarda i miei coetanei e le mie conoscenze) autore di diverse pubblicazioni, è arrivato a chiedermi come mai non fossi rimasto o non fossi riuscito a gestire alcune situazioni “in Sicilia”. Sinceramente, ma questo lo dico in generale per tutti quelli che fanno queste domande prendendo spunto da lui: mi è caduto dai coglioni! A tal proposito si veda la prefazione di Sciascia al libro di Stefano Vilardo, Tutti dicono Germania Germania, Sellerio editore Palermo)

Ecco, da don Gelmini , cioè da quell’orizzonte, dal pensare quindi che fosse possibile e forse opportuno, come mi consigliavano i miei amici “terapeutici”, trascorrere un periodo in comunità in quanto proposta di vita (un lager può essere una proposta di vita? E perché no?!), passai alla casa di campagna di mio padre e poi all’acquisto di un piccolo rudere….

Le letture per rielaborare la tesi mi aiutavano a prendere un po’ di distanza dalle esperienze rurali che approcciavo…A un certo punto mi rimisi in cammino, uscìi quindi dalla palude…Vidi Urupia, incontrai i ragazzi di cui parla Boni nel suo libro di cui prima, vidi Bagnaia, vidi Lanzeria, poi vidi il libro di Sabrina Calogero (Terra: in campagna un’altra vita è possibile), avevo visto di striscio anche quello di Manuel Olivares, Comuni ed ecovillagi in Italia…Lo dico col cuore e le viscere: mi viene il vomito! Vomito che viene da una coscienza antropologica! Vomito che viene da un vissuto straziante e sradicante nel rapporto con la terra, che ogni mio coetaneo dovrebbe tener presente dentro e fuori di sè nella fattispecie se parla di terra, di sud e cose del genere. Il vissuto con la terra, le origini, è fatto doverosamente di ferite mai riaperte nè cicatrizzate nè tanto meno elaborate, e spesso mercificate.

Ora, io mi inalbero perché non vedo tanta gente che si inalbera per queste offese travestite da “proposte”…mi inalbero perché rivendico quello che dice e scrive Cioran, cioè rivendico l’urgenza delle sue parole: “un libro deve frugare nelle ferite, e, se è il caso, deve aprirne di nuove”.

Cioran era uno che scriveva per salvarsi dal suicidio, che diceva anche cose del tipo: “l’idea del suicidio mi ha tenuto in vita”. Così come lo dice Giorgio Antonucci, nel libro Pensieri sul suicidio e Leopardi in tante sue poesie (si veda: Il nulla e la poesia: alla fine dell’età della tecnica, Leopardi, di Emanuele Severino). Queste cose le penso col cuore dentro o quanto meno accanto ai cuori di gente come Marco Camenisch e tanti altri come lui che per difendere la terra scontano pene sproporzionate e atroci…

Ora, questo è un grido di dolore e di allarme, è una punta di un iceberg, ricordo che quando tornai in Sicilia e andavo in ca mpagna e lo dicevo a mia nonna mi faceva una smorfia di disprezzo e mi diceva "Vì stu viddanazzu!". Col senno di poi ho capito cosa mi voleva dire. Qualche anno fa Giorgio Ruta scrisse un racconto allegorico in cui invitava a immaginare che un uomo addormentatosi per qualche decennio, si risvegliava in un "luogo nativo" e osservava i cambiamenti avvenuti nei decenni....

A distanza di anni voglio cogliere quella provocazione, ma rimanderei al disco ormai introvabile di Cicciu Busacca dal titolo La giullarata, dove si narra la nascita del giullare. Ebbene, secondo questa leggenda molto toccante e tragica, il giullare all'inizio era un contadino, che conquista un pezzo di terra abbandonata e mal combinata e la lavora duramente fino a renderla coltivabile e produttiva. A un certo punto però arriva uno che gli dice di esserne il padrone. Lui si rifiuta di obbedire. Allora il padrone stupra la moglie del contadino, dopo di che la moglie e i figli, offesi nell'onore, non hanno il coraggio di continuare a vivere in quel luogo. Lui per non abbandonare la terra rimane lì e tenta di suicidarsi. Ma poco prima di impiccarsi succede un fatto che non racconterò, per evitare di dilungarmi troppo e di togliere il gusto del racconto orale e cantato che chi vuole può procurarsi. Questo fatto spinge il contadino ormai defraudato delle dignità (ma che ha conservato la terra) a decidersi di partire, e di iniziare a sbeffeggiare i potenti raccontando e cantando le storie in giro per il mondo, storie ironiche che raccontano di soprusi e di padroni, di terra e di impossibilità di viverci...Mi piacerebbe che si aprisse, a partire da questo mio sfogo, uno spazio di rielaborazione dei vissuti con la terra, mi metto a disposizione per offrire quello che ho coltivato e raccolto fino ad ora in tal senso.


Giù la maschera don Gelmini!
di Antonio Strano

Un anno e mezzo fa vidi un film, o cortometraggio, di Alberto Castiglione. Ero in Val di Susa, al Valsusa filmfestival. Il cortometraggio parlava di Mauro Rostagno. Per un problema tecnico ci fu una pausa forzata nella sala. Il lettore del dvd non riusciva a sbloccarsi. Un pò di imbarazzo da parte degli organizzatori, ma poi il film partì. In quei giorni partecipai alla nottata di artisti contro la mafia organizzata dall'Associazione Libera. Ero stato coinvolto dal'associazione ACMOS, sotto associazione di Libera qiella di don Ciotti). La notte degli artisti contro la mafia la trascorsi in Piazza San Carlo, a Torino, sotto un tendone insime ad altri tre o quattro ragazzi dell'associazione ACMOS.

In quel periodo mi stavo concentrando su un tipo di letteratura "sommersa", o "incoffesabile", non come quella di Melissa P., per intenderci, per esempio citavo (e leggevo e vendevo nei banchetti itineranti) libri come Il senso della vita è non rompere i coglioni di G. Nardella, Mara come me di M. Salvia, Fedeli alla roba di A. Panebarco, e facevo esercizi, prendendo spunto anche da quei libri, di scrittura terapeutica e liberante, partendo dagli orrori negati dei nostri giorni. Ovviamente citavo John Fante ( e leggevo svagatamente qualche suo racconto e romanzo trovato o comprato qua e là).

Tornando alla sera del film su Mauro Rostagno, ricordo che mentre un imbrarazzato organizzatore cercava di gestire la situazione prima che il lettore dvd si sbloccasse, gli chiesi se potevo cantare una storia, con voce e chitarra, "nell'attesa". Avrei cantato la storia che cantai l'indomani durante la notte degli artisti "contro la mafia" L'organizzatore mi disse che non era il momento e che comunque mi ringraziava.

La storia di Turiddu Carnevali che avrei cantato l'ho presa da un libro di poesie di Ignazio Buttitta. La storia di Turiddu Carnevali, ma anche quella di Mauro Rostagno, mi facevano ( e mi fanno ) pensare a quella di Marco Salvia, di cui, digitando il suo nome e cognome su google, sapevo che "è in pericolo, è stato lasciato solo e in Italia chi è nelle sue condizioni rischia grosso". Nel documento trovato su internet c'era scritto il motivo per cui Roberto Parpaglione faceva quelle dichiarazioni di solidarietà e preoccupazione per Salvia. Marco Salvia aveva da poco pubblicato il romanzo- verità Mara come, omicidio in comunità. Dopo qualche mese dall'uscita, indignato da alcune affermazioni di don Gelmini durante una sua comparsa a Porta a Porta di Vespa, Salvia era uscito allo scoperto, dicendo, per chi ancora non lo avesse capito dopo aver letto il romanzo, che le vicende descritte si ispiravano a strutture e metodi di don Pierino Gelmini. "Degno amico di Publio Fiore - e ognuno ha gli amici che si merita” -, scriveva su Avvenimenti Adriana Zarri di don Gelmini nel 1999, all'approssimarsi dell'alleanza tra Forza Italia-AN-UDC e i radicali di Pannella. “Don Gelmini, riportava A. Zarri, “ha fatto sapere a Berlusconi e compagnia, che ha il potere di spostare due milioni e mezzo di voti. E' un'espressione di potere, vero o presunto, indegno, per un cittadino, per un uomo, per un prete". Il nuovo tormentone mediatico per le accuse a don Gelmini di violenze sessuali è solo una punta, e nemmeno tanto acuminata, dell'iceberg che sta sotto.....

Appunti per un intervento radiofonico su radiofujiko sullo sciopero della fame di Camenisch e alcuni occupanti di una radio svizzera, fine settembre 2007 (per info su motivi e svolgimneto dello sciopero vedi anche informa-azione.info, Indymedia e in generale digitando sciopero della fame di Camenisch settembre 2007 su google)

Marco Camenisch è in sciopero della fame nel carcere di Regenszdorf, Zurigo. L’ho saputo da amici suoi svizzeri. Mi proponevano di mandare a una radio libera occupata un messaggio d solidarietà e che lui ascolta quella radio. Il numero della radio dovrebbe essere il seguente: 0041445672400. Conosco Marco Camenisch da meno di due anni. A chi non lo conosce consiglio di leggere il libro Acthung Banditen, Marco Camenishc e l’ecologismo radicale, ma anche su google digitando “Rassegnazione è complicità” o il suo nome e cognome..
Lo stesso giorno che ho ricevuto la notizia, cioè mercoledì 19, ho partecipato al VAG 61 a un’assemblea in cui donne e uomini raccontavano, prima attraverso un videodocumentario, poi con testimonianze orali, quello che è successo a Bologna nel 2002, nell’area del Lungo Reno dove abitava una comunità di uomini e donne e bambini in camper tende e baracche, e quello che sta succedendo a Pavia, nell’area dell’ex Snia, dove duecentoventi uomini donne e bambini subiscono sempre più vessazioni e soprusi da parte di responsabili amministrativi e abitanti del posto, qualcosa di simile era successo a dicembre del 2006 a Opera, sud est di Milano.

Non conosco, al momento, le motivazioni dello sciopero della fame di Marco Camenisch, so però che un suo compagno di “schiavitù, sfruttamento ed espropiazione”, insieme al quale diversi anni fa Marco ha compiuto azioni dirette che lo hanno portato nei lager soft, come chiama lui le carceri svizzere, era (ed é, credo sia ancora vivente) figlio di uomini e donne come quelli che a Bologna nel 2002, e a Pavia oggi, vivono sotto la minaccia dello “sgombero”. Ecco, mi vorrei concentrare su alcune parole. Una donna che raccontava gli orrori che sta vedendo in questi giorni a Pavia, parlava di Bauman, e del libro Vite di scarto, in cui si dice che la modernità produce scarti umani. Gli sgomberi e altre forme di “allontanamento” di persone sono una forma di questo “scartamento” di carne umana (con tutto quello che c’è dentro: storie, sorrisi, abbracci, relazioni, famiglie, tribù, millenni, parole...).

Altri scarti

“Non mi stupisco di niente”. Sono parole di una ragazza alla quale comunicavo la “delicata” situazione di Bruno Zanin, che subisce minacce e danneggiamenti al suo sito internet per aver denunciato apertamente (e invitato altri a farlo) don Gelmini e il suo metodo, i suoi intrallazzi, i suoi soprusi. “Non mi stupisco di niente”, se non è accompagnato a un farsi carico, a un sentire il grido degli oppressi, è spesso una forma mascherata di dire “lasciami in pace e non mi disturbare, io voglio continuare a dormire e a grattarmi l’ombelico”. Infatti le parole che seguivano della ragazza che mi scriveva, dicevano proprio questo, e anche di più, per esempio che i “tossici” sono poco affidabili, e anche se sono in cinquanta che stanno denunciando abusi subiti da don Gelmini, sono “sempre tossici e di loro ci si deve fidare poco”. Badate che questa è una tiritera, che oltre a dirlo una ragazza assolutamente ignara di quello che dice, lo hanno vomitato bellamente molti giornalisti sul caso don Gelmini, in primis Vittorio Feltri su un editoriale di Libero. Sono questi gli scarti umani che produce la modernità di cui parla Bauman e anche Ivan Illich. Persone private della loro dignità, è il processo di psichiatrizzazione del linguaggio di cui parla Antonucci nel libro Critica al giudizio psichiatrico. La sua lucidità e il suo coraggio lo portano ad associare il TSO, i cpt e le comunità terapeutiche per tossicodipendenti. Così torniamo a Marco Camenisch. Il suo compagno, credo si chiamasse Rene Moser, figlio di popolazioni zingare credo, così come i tossici che denunciano i soprusi di don Gelmini, così come ognuno di noi quando grida e indica i veri responsabili dei soprusi, va legato, portato via, incarcerato, sedato a forza di psicofarmaci e TSO. Camenisch ha tentato il suicidio in carcere, all’inizio del sue percorso nei lager soft. In un secondo momento un procuratore zurighese, Ulrick Weder, voleva condannarlo all’ergastolo facendolo passare per malato di mente affetto da chissà quale disturbo (forse stanno provando a far passare la coscienza della propria schiavitù e il tentativo di rompere le catene come patologia psichiatrica? Con i bambini la prova è già in atto, si chiama ADHD, e l’antidoto si chiama Ritalin, prodotto dalla Novartis). Fortunatamente, questa tesi, almeno per ora, e probabilmente per sempre, non è stata accettata dalla Corte d’Assise si Zurigo. Ecco, Camenisch, ma forse molti altri nomadi scacciati e scartati, e ogni nostro sentire “l’essenza, cioè il nulla” (vedi Leopardi, Cioran e altri scrittori del nulla, scartati da banalizzazioni facili e da invisibilità coatte), i tossici che denunciano don Gelmini, ci ricordano che ancora esiste un sentire ecocentrico, cioè che mette al centro dell’Universo il creato, e non l’uomo, e ce lo ricordano urlando, mettendosi in gioco, mettendo in gioco la propria stessa vita, dopo aver preso coscienza della propria schiavitù, e, come dice Ivan Illich, il primo passo verso la liberazione è la presa di coscienza della propria schiavitù...

Treni di scarto

Un’altra buona notizia mi giunge da una ragazza che ha viaggiato su un eurostar senza biglietto, e di un’altra che ha viaggiato su un eurostar, in prima classe, senza biglietto. Sarebbe bello che tutti quelli che lo fanno prendessero coscienza dell’importanza di questo gesto e urlassero a gran voce, come fanno Camenisch, Rene Moser, i coraggiosi che accusano don Gelmini, “Siamo noi che dobbiamo controllare e multare Trenitalia per la schiavitù alla quale ci condanna”, soprattutto quando gli altoparlanti delle stazioni e dei treni annunciano, come in questi giorni, intensificazioni e aumenti di controlli e di multe per chi viaggia in treno senza biglietto.


Don Gelmini e dintorni (questo titolo è “copiato” dall’inserto che ha pubblicato Micropolis, uscito il 26 settembre come allegato a il manifesto in Umbria e che non ho ancora letto)

Fuori luogo, l’inserto sulle droghe del manifesto, è uscito ieri, 30 settembre: un articolo di Felice Di Lernia intitolato Il sogno di controllare i corpi e le coscienze parla della vicenda giudiziaria di don Pierino Gelmini. Dice un pò queste cose l’articolo: Non è il problema don Gelmini, e neanche gli abusi sessuali, ma che il metodo della Cristoterapia assolutamente a-scientifico che lui teorizza e interpreta ( e non solo lui, sia chiaro) sia finanziato dallo Stato nelle vesti del Servizio sanitario nazionale e dal Fondo nazionale per la lotta alla droga”. E’ un bubbone della medicina che associa la moralità alla malattia, il senso di colpa all’essere malati e bisognosi di cure e di assistenza, questo bubbone non si vuole che venga fuori. Ci ha provato Ivan Illich a ribaltare l’impero della medicina ufficiale, con, tra gli altri, gli studi sulle dipendenze e sulla perdita dei saperi conviviali imposti dalla istituzionalizzazione della sanità, quindi dall’ospedalizzazione della carità, ci provano psicologi antipsichiatria come Giorgio Antonucci, che denunciano come ci sia un collegamento tra

CPT, TSO e Comunità terapeutiche,
e questo collegamento è l’annullamento della dignità delle
persona, l’annientamento della coscienza, da questo a dire, come ha fatto don Gelmini sette anni fa, “posso spostare due milioni e mezzo di voti”, il passo è breve.

Libero con un editoriale di Vittorio Feltri verso metà agosto, e diversi altri, tra cui una ragazza che ho conosciuto (mi ha scritto una mail), tendono a sminuire la questione dicendo che i tossici non sono affidabili. Questo è un esempio di psichiatrizzazione preventiva, cioè a dire: tu sei in una condizione di dipendenza (e di detenzione: alcuni dei ragazzi che hanno denunciato don Pierino sono tuttora in carcere), quindi, anzichè pensare che hai coraggio a denunciare chi ti ha ferito, io penso a priori che tu sei nel torto, che non hai credibilità, non ti riconosco come soggetto pensante, potenzialmente autonomo, se ho bisogno di te per sentirmi forte, importante, potente, allora esisti (quindi ti faccio votare chi voglio io!, direbbe don Pierino), se no niente, stattene nella tua cella, nel tuo ghetto a marcire. Questo succede nei CPT (se si ribellano sono da punire, perchè sono stranieri, clandestini, valgono solo come forza lavoro, se non hanno il permesso di lavoro sono pericolosi, a prescindere, ricordo un poliziotto che mi raccontò una volta di un rumeno per sbaglio portato in un CPT, fino al giorno prima lavorava, tranquillamente, è bastato che gli scadesse il permesso di soggiorno e prima di rinnovarlo è stato fermato e via, dentro il CPT...)

Così succede per il TSO e nei reparti di psichiatria.

Però non è solo così che si diventa annientati, basta alzare la testa, come Bruno Zanin e Marco Salvia, hanno denunciato scrivendo, in forma narrativa e creativa, le loro verità su don Gelmini, o non creduti, o ridicolizzati o messi sotto pressione. Questo la dice lunga sulle leggi non scritte di chi deve vendere e di chi deve “fare” letteratura...

Una cosa positiva invece sta succedendo nel mondo dei blog, certo, come dice Di Lernia, nell’articolo di Fuoriluogo, la vicenda giudiziaria di don Gelmini si è dissolta come neve al sole di agosto, disperatamente schiacciata sul gossip, ma altre 50 denunce sono arrivate, e nei blog ci sono testimonianze da farci una raccolta di racconti-verità scomodi, interessanti e a volte esilaranti.


Parru ccu ttia, tò è la curpa,
ccu tti menzu a sta fudda chi fai l’indifferenti,
tra na fumata e n’autra di pipa,
chi pari ciminera, sutta di sta pampera,
di la coppula vecchia e cinnirusa.

(da: Parru ccu ttia, di Ignazio Buttitta)

Dodici brani sbrananti e sbranati,
di rabbia e menzogna,
di nuvole e fogna
di gente senza gogna

Registrati a casa di Fabio F. e Valentina G., a Bologna. Fabio ha dovuto fare un lavoro al limite della chirurgia musicale, per mixare i brani registrati in monotraccia (si dice così no?), cioè chitarra e voce al tempo stesso.

Ma alla fine ce l’abbiamo fatta! Alla fine abbiamo messo in musica Cioran (La iena che è in noi e Più frequentiamo gli uomini più i nostri pensieri si intorbidano) e Padre Pio (La macchia santa: “una storia successa nel paese mio, raccontata per filo e per segno, è tutto vero, urbi di l’ucchi”), abbiamo raccontato le meraviglie de Lu generali bomboniera (“il generale Speciale è mio compaesano, e mi ha colpito la notizia che si era fregato i soldi della rappresentanza per finanziare la festa dei suoi venticinque anni di matrimonio”); abbiamo...ma chi siamo? Per esempio La macchia santa è nata in un appartamento di Catania, dove L.M. mi ha ospitato per poche ore prima di ripartire da Catania a novembre del 2006. Per Lu generali bomboniera devo dire grazie a il manifesto per aver riportato la notizia e aver così suscitato la mia risposta “cantata” in forma di ballata di cantastorie di una volta. Per Cioran, vabè, sarebbe troppo lunga, d’altronde molti dei brani - ed è una novità assoluta rispetto ai precedenti lavori - sono preceduti da lunghi, anzi, doverosi periodi di spiegazione e introduzione parlata, questo anche per segnare uno stacco rispetto a prima: la parola è importante, che racconta, il canto interviene quando la parola non è più sufficiente, e non per cullare o per addolcire o immelensire il messaggio. Anche se molti brani ci hanno uno sfondo di toni minori, tanto che sia V. che F. hanno osservato che per le prossime sperimentazioni potrebbero (o dovrebbero?) esserci più accordi maggiori. La compagine del Lazzaretto di Bologna è stata importante per la realizzazione di questo nuovo lavoro. E’ lì che ho incontrato Renato M., mio coprovinciale di Nicosia, che mi ha invogliato concretamente, presentandomi Fabio e Valentina, “senza perdere tempo”.

Buttitta dunque. Parru ccu ttia, Nun sugnu pueta, Libbirati Schicchi, tre poesie che fino a un pò di tempo fa avrei pensato “sacrilego” musicare, perchè troppo legato alla dimensione di racconti cantati già diffusi da numerosi cantastorie siciliani come Busacca e Rosa Balistreri: Lamentu ppi la morti di Turiddu Carnavali, Lu trenu di lu suli. Adesso invece l’urgenza di urlare le parole di queste poesie non sotto forma di racconti cantati, ma che, evidentemente, spronano ugualmente all’urlo cantato perchè toccano nervi ancora aperti e ancora vivi: la poesia come racconto di strada, e non come lettera morta; la poesia come incitamento all’azione, all’uscire dai propri orticelli, a prendere in mano la miseria e tirarla in faccia a chi ci caca sopra, anche con gesti e parole che possono sembrare “pacifici”, “alternativi”. E poi il ricordo di Paolo Schicchi, anarchico siciliano detenuto per vent’anni tra il 1910 e i 1950. Come non sentire il grido degli anarchici di oggi, i ragazzi di Lecce detenuti per avere tentato ( e in parte ci sono riusciti) di smantellare gli imperi di Benetton e i suoi legami con l’oppressione dei Mapuche in Patagonia, della ESSO e dei suoi legami con l’occupazione dell’IRAQ a opera di noi europei alleati dell’Impero Statunitense, e infine, dell’impero cattolicoassistenziale di don Cesare Lo Deserto e del Vescovo di Lecce, gestori dei soprusi e delle malefatte del CPT Regina Pacis di Lecce; e come non sentire il grido di tanti altri anarchici come Federico, Juan, Faco, Texino, Bogu, Manu, Magda e altri/e segregati da qualche settimana tra le mura del La Dozza di Bologna (alcuni agli arresti domiciliari) per avere difeso una donna da un TSO in Piazza Verdi a Bologna, e per aver scritto sulle pareti di un edificio pubblico frasi con una bomboletta spray?

Ma che importa? Tanto ci abbiamo le “alternative”, i “grillini” (o grillisti), i “pacifisti”, a cui è dedicata Decrescita democratica, un’ironia feroce frutto di una esperienza particolare di area notav (ma che si allarga a macchia d’olio verso “nonviolenti”, “decrescitiani” ecc.); bello anche il ritmo vivace degli accordi, una ballata veloce e....vivace, appunto.

L’anno in cui è stato concepita la maggior parte di questi brani è stato un anno di viaggi frequenti e liberatori, in cui i treni sono stati al centro, tanto da costituire un capitolo quasi a se stante, un’inchiesta sul valore e sul significato di quello che resta della dimensione pubblica del viaggio, della consapevolezza della miseria di tipo Trenitaliana! Uomo della ferrovia è dedicato ai macchinisti licenziati da Trenitalia dopo aver risposto alle domande di Report dell’ottobre 2003 (riassunti dopo tre anni!); 95 Rogoredo invece parla di viaggi interni a una città, Milano: viaggi fisici, da Piazza Frattini a Piazza Corvetto, e viaggi simbolici: “in un periodo del mio studentato a Milano ho pensato di fare una tesi di laurea colloquiando cogli abitanti della 95, 90 e 91, poi l’ho fatta sull’emigrazione italiana in Belgio la tesi, ma se l’avessi fatta su quegli autobus sarei arrivato, senza spostarmi, molto più lontano del Belgio, e molto più a Sud”. Questi ultimi due brani, così come La macchia santa, sono stati “collaudati” sul treno Milano-Agrigento insieme a spontanei e informali cantautori o cantanti improvvisati ed entusiasti incontrati lungo i vagoni bui e luminosi del treno 843 Freccia (o Feccia?) del Sud.

Ritalin o Mi hanno dato i barbiturici molti già lo hanno ascoltato all’interno di Lu jurnu di tutti li santi, monologo per Marco Camenisch.
I brani scritti e cantati sono spesso scaturiti dalla scoperta di magagne che alcun libri raccontano. E’ il caso del brano Gibellina, scaturito dopo la lettura del libro Te la do io Brasilia (Stampalternativa), un’indagine sulla ricostruzione plurimiliardaria di Gibellina Nuova, tuttora incompleta, semiabbandonata e, soprattutto, disabitata. E’ stato più grave il terremoto o la ricostruzione?

P.S.: Vorrei che chi ascoltasse questi brani lo facesse anche in uno spirito di “laboratorio”. Mi spiego. Ultimamente mi è capitato di confrontarmi con chi, pur non avendo ancora avuto un certo “successo” (nel senso di vivere guadagnando soldi con le proprie attività), ha alle spalle competenze tecniche e percorsi collaborativi con chi ha già “sfondato” (A questo punto sarebbe interessante una ricerca che io inizierei leggendo testi di Illich come Descolarizzare la società e La tentazione di esistere di Cioran, il breve saggio Lettera su alcune vie senza uscita).
Personalmente non sono convinto neanche dell’importanza di un myspace, e ci rifletto meglio da quando ho letto un contributo di un ragazzo sul sito INFORMA-AZIONE.

Credo anche che brani come quelli di Buttitta e di Cioran, ma anche altri, che rimandano a certi contenuti, “promettono” una responsabilità. E’ questa responsabilità che si fa carico di un percorso, che diventa anche un’identità. E’ per questo motivo che tutte le osservazioni o le “proposte” di migliorare la qualità tecnica di un lavoro di questo genere, rischiano, se non tengono conto del percorso – e ciò significa ascoltare profondamente uno stile, una serie di passaggi, e non si fa ascoltando brevemente i brani o senza neanche ascoltarli….- di risultare fuori luogo e pericolosamente vicine a uno stile molto in voga ai giorni nostri: quello di “saltare” il cuore, il nucleo, e andare direttamente alla membrana, al rivestimento, alla parte “strumentale”, e non essenziale, che è il germe dello scollamento dell’arte (che è già menzogna, ma può essere scomoda e acuta come quella dei giullari o lucrativa e ambigua come quella di molti “artisti”) dalla realtà. Anche quando noi parliamo di arte impegnata, politica, militante, dobbiamo ricordare queste riflessioni. Il mio percorso diventa sempre più consapevole e in grado di “rigettare” una serie di seduzioni che mirano a prendere per la gola chi si accinge a esprimersi in forme sublimanti e al tempo stesso che scavano verso l’essenza.

La notte è lunga. E giovane.

Per entrare al concerto revival per De Andrè occorrono 5 euro per chi compra il biglietto prima.

Dal diario di B.

Gubbio, 20 ottobre 2007, Altrocioccolato? No, grazie

Ci incamminiamo tra l’incazzato e l’incredulo nel freddo della popolata (di zombies solidali) via Garibaldi. Entriamo in un bar che S. vuole bere un caffè caldo. Io prendo un orzo. Entrano due ragazze e un ragazzo e ci chiedono se sappiamo dov’è la Chiesa dove c’è il concerto-revival per De Andrè. Io dico che costa 5 euro e S. spiega dov’è la Chiesa. Loro escono dal bar e vanno in quella direzione. Noi usciamo dopo un pò e li incontriamo che tornano sconsolati o quasi dicendo che “costa 5 euro e devi avere il buono pasto per entrare”. Penso alla possibilità che abbiano messo questa “regola” dopo la mancata rissa (e salutare e benefica che sarebbe stata!) in mensa. Ma poi penso che magari sto facendo fantapolitica. Troppo poco tempo è passato, e non verifico se la regola c’era già prima di cena o comunque prima o a prescindere dalla mancata rissa.

Mercanzia ( e le divise antiommossa) sono di gran lunga alle spalle d Altrococcolato! Brucia le tappe Altrocioccolato. E’alla quarta edizione o quinta e già non conosce rivali, titolano i giornali dell’indomani....( o di un domani?)

Ancora dal Diario di B.

Dopo la notizia ci incamminiamo insieme ai due ragazzi e al ragazzo romani. Hanno un banchetto di artigianato, S. gli chiede quanto pagano perchè anche lui avrebbe un pò di cose di piccolo artigianato da vendere. Loro diconoc he pagano 30 euro per tre giorni. Io osservo che non è male se paragonato alla Toscana dove paghi 25 euro al giorno, ma già qualcosa se paragonato ai festival medievali in Friuli dove capita che non paghi niente, anche perchè vai in costume medievale e fai “colore” con la tua presenza. In alcun ti paganoa nche. Viene la domanda: "Ma a fare l’artigiano oggi non è come fare colore? Non è qualcosa di morto e sepolto?" Ma andiamo avanti..

Arriviamo nella piazza dove ci sono gli stands. Io sbircio dentro uno stand dove sono entrati alcuni ragazzi che conoscevo dall’anno scorso, cerco uno di loro che mi aveva detto di una foto che mi aveva fatto l’anno scorso a me e mia madre e mia sorella e voleva darmela o spedirla a mia madre se gli davo l’indirizzo. Lo trovo con lo sguardo quindi entro. Stiamo un pò lì con loro. Dopo un pò spunta una chitarra e iniziamo a cantare pezzi di De Andreè. A un certo punto qualcuno di loro dice "Facciamo l’antirevial, qui De Andrè gratuito". Dopo un pò la ragazza che sta dietro il bancone ci offre un caffè (a S.) e un orzo ( a me). Per scherzare dirà, lei o un’altra. "Facciamo l’antimensa"

A un certo punto io invito a cantare qualche canzone scritta da qualcuno di noi, sapendo che qualche testo mio e di S. potremmo cantarlo perchè ce lo abbiamo memorizzato e alcuni anche registrati su cd.

Uno dei ragazzi mi dice che si può fare, io chiedo se loro hanno scritto o hanno voglia di scrivere una canzone. Uno di loro di ce “Io sì, se tu fai gli accordi io improvviso le strofe".

Comincio a fare tre accordi con un ritmo serrato e lui inizia a cantare, mettendo la parola Altrocioccolato all’inizio, io lo aiuto e alla fine nasce il brano Perchè l’Altrocioccolato è morto, a lui sembra un pò triste, ma gli piace, dice “mettiamo è vivo”, io dico che è venuto così spontaneamente, che male c’è, e lui si convince e nasce il brano

Perchè l’Altrocioccolato è morto (ripetuto due volte)
Forse perchè era troppo dolce
O forse troppo solidale
E allora il troppo stroppia
Scoppia, scotta, sbotta, sciolta,
troppo cioccolato in questa brocca...

Altra parole non le ricordo, una strofa che stava nascendo faceva così

Sarebbe meglio meno dolce
Sarebbe meglo meno solidale

E poi

Io lo voglio meno elaborato
Più simpatico e meno inquinato

(queste ultime strofe suggerite da un altro ragazzo anche lui attento al testo del brano)

Dopo la canzone che cantiamo più volte e anche gli altri si aggregano per intonarla, iniziamo a scambiare impressioni su Altrocioccolato. Io e S. cerchiamo di ascoltare senza parlare dei nostri vissuti. Quattro di loro, almeno, si ritrovano nell’amarezza, la frustrazione, il disgusto per come sono stati trattati. Una testimonianza forse le riassume tutte:
"Ho lavorato con Eurochocolate a Perugia. Lì c’è business dichiarato, ma almeno ti fanno sentire rispettata, sottopagata, ma rispettata. Qui invece, nè pagata (neanche sotto) nè rispettata" .
Alla mia domanda se dormono lì tutta la notte rispondono dicendo di sì, “per fare la guardia”, alla domanda “Avete una brandina”? rispondono di no (anche da qui il nomignolo di volontariminatori!)

L’orrore arriva in Palestra
(“Senza e oltre l’Emergency!”)
(Continua come un diario)

La strada per la palestra dove dormono alcuni “artisti” e alcuni “volontariminatori” non è molto lunga, se non fosse per i gradi centigradi sempre più vicini allo 0 o quasi.
Io ed S. no immaginiamo cosa ci attende appena arriviamo lì. S. quasi preveggendo lungo la strada tentenna e mi dice che probabilmente lui andrà a dormire in macchina. Giunti davanti la porta d’ingresso della palestra ci attendono quattro baldi giovani che potrebbero sembrare “colleghi” in attesa di andare a dormire, fermi lì per chiacchierare e fumarsi una sigaretta. Ma vista la temperatura e il fatto che non hanno sigarette in mano, ecco che l’impensabile diventa prevedibile.
“Avete il bigliettino?”, dice uno degli attendenti, (o sentinelle del mattino?).
“Il bigliettino?”, pensiamo e diciamo noi due. Ci sembra uno scherzo.
“Che bigliettino?”, chiedo io
“Non ce l’abbiamo”, dice S.
“Dormiremo fuori, qui davanti”, aggiunge tra l’esasperato e il provocatorio.
“No, no, entrate”, fa uno di quelli che sembra fra i più responsabilie e indulgenti.
Entriamo. Una ragazza e un ragazzo (lui è seduto per terra) appostati con un foglio in mano e una penna, subito dopo la porta d’ingresso, nel corridoietto della palestra, ci chiedono di lasciare i nostri nominativi.
"No, no, non hanno bigliettino, sono artisti", dice una voce di una delle sentinelle. La ragazza con il foglio in mano lancia comunque uno sguardo incanaglito nei nostri riguardi.

S. dopo aver fatto un giro della palestra decide di andare a dormire in macchina. Io in un empito di buonismo da schiaffi gli dico che “se te ne vai magari loro si sentono in colpa, ci restano male”, “ E io lo faccio anche per questo”, mi dice S.
Dopo aver chiesto a una ragazza distesa accanto a un ragazzo non in atteggiamento affettuoso, cioè distaccato, possono sembrare amici o estranei, non c’è una possibilità di intimità sessuale nei loro atteggiamenti corporei, dopo aver chiesto se mi potevo mettere accanto a loro dato che il materasso - uno dei pochi - da palestra è molto grande, ed essermi sentito rispondere che non c’è spazio perchè c’è una borsa e un maglione nello spazio vuoto, e aver evitato di dirgli “Va pigliala nculu!”, mi adagio col sacco a pelo sul pavimento della palestra, come tanti altri, cioè la maggior parte o comunque la metà.

Penso a tutti i festival di artisti di strada (medievali e non) frequentati ultimamente: il meglio è stato a Cividale, quello in cui in palestra c’erano cento brandine da campo fornite dagli alpini e nella palestra a dormire non eravamo più di cinque, il peggio a Orvieto che c’era troppa distanza per andare fino alla palestra e uno degli organizzatori mi ha dato il suo camper per dormirci. Sto parlando di arrivi improvvisati e senza contattare gli organizzatori prima di arrivare.

Vado in bagno prima di distendermi sul e dentro i sacco a pelo. In bagno incontro due ragazzi e due ragazze. Le ragazze sonoa nch’esse parecchio deluse e amareggiate. Cercano di trattenersi dal fare dichiarazioni troppo esplicite “perchè anche noi facciamo parte degli organizzatori”, ma si lasciano scappare la proposta (serpeggiante o applicata solo a pochi?) di far pagare tre euro per dormire in quella palestr. Palestra in cui cessi non hanno le porte e l’acqua spunta da sotto il pavimento da un piccolo tombino incastrato nelle mattonelle, modello Trenitalia va!

Emergency, Mercantia e tanti altri eventi simili si svolgon in periodo e luoghi dove al limite puoi dormire fuori con un sacco a pelo. A Gubbio, questa notte, nevica. La mattina esco dalla palestra e i monti vicini con le cime imbiancate mi salutano e io, dopo aver raggiunto S., mi appresto a fare colazione e a telare senza riuscire a salutare neanche qualcuno che vorrei salutare. Il lanzo, oltre che la pioggerellina vicina la nevischio, ci spingono verso altri lidi. S. verso una vera festa folklorica per fare altri ritratti lì vicino, io verso casa, verso il nord.

Siamo nella stessa melma solidale in cui navigano e prosperano benpensanti che pubblicano giornali conniventi e radical chic come Altreconomia, che nega, calpestando il lavoro e il coraggio di chi lo sta documentando, la possibilità di un autoattentato dell’apparato militare statunitense dell’11 settembre, per affrettare e giustificare le invasioni di Afghanistan, Iraq e oltre...

Siamo nel mare di melma in cui navigano e prosperano libri come Terra. In campagna un’altra vita è possibile, in barba a secoli di catastrofi planetarie ancora in corso di cui lo sradicamento di milioni di uomini e donne dalle campagne del sud alle città e ai continenti lontani dal proprio, sono solo punte di iceberg...

Stiamo parlando di chi con l’alibi di parole come “decrescita”, “nonviolenza”, “democrazia partecipativa”,e cc., lucra vendendo libri e sogni basati sull’annacquamento, l’autofrustrazione, l’appiattimento degli orizzonti a livelli bassi e congeniali a chi vuole che tutto rimanga così com’è, stiamo parlando di bacini di voti per populisti pseudofascisti (si veda l’affermazione sui rom: è solo una punta di un iceberg anche questa?) come Beppe Grillo (grande amico di Di Pietro, sì tav e sì ponte, lui, Beppe Grillo, in prima linea mediatica contro ponte e TAV!), stiamo parlando di spettacolarizzazione e mercificazione del territorio non alternativa ma speculare a Eurochocolate, o alternativa nel senso di “un pò io e un pò tu”, stiamo parlando di controllo sociale: di ambito pseudo parrocchiale di tipo becero e pseudocomunista: mafia, anzi, massoneria (comunista, come dice un tipo di Perugia per dire chi comanda in Umbria) e parrini, cioè predicatori senza tunica nè parrocchie definite nè diocesi riconosciute, e anche per questo fuori controllo, fuori da ogni...immaginabile vulnerabilità. E, al tempo stesso, nati morti..

Qualcuno potrebbe dire: vabè, è una manifestazione molto grande, gli artisti accreditati l’anno prima non s li ricordano bene gli organizzatori. E no cari miei, Altrocioccolato ha sbancato tutti perchè non ha le quantità di altre manifestazioni come Ferrara o Mercantia, infatti la bionda aveva riconosciuto B. Tutto si spiega con la teoria dell’elemosina cinicocattolica (vedi Ivan Illich quando spiega che corruptio optimi pessima est): accreditato o no, amico o no, o ti sottometti alla mia elemosina o scoperchi il marcio della pentola massonicosolidale.....

Attenzione: la terza persona non è per deresponsabilizzare, chis crive è coinvolto in prima persona nei fatti che racconta, non importa dire chi è, l’importante è che vede, sente e registra.

La terza persona è dovuta anche al fatto di aver scritto di getto, a caldo tutto il testo, e quindi il lanzo, lo schifo e il sentimento vivo impedivano di dire “è successo a me, in questi luoghi, con queste persone”, è un peccato di “buonismo”, non di cinismo.

Per approfondimenti vedi: Per una storia dei bisogni, di Ivan Illich ma anche La perdita dei sensi, disponibile sicuramente in francese ma non ancora in italiano.

Mer, 28/11/2007 – 16:13
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