Tav, il tracciato segreto del governo
fonte lastampa.it
Si tratta su un nuovo percorso per superare le resistenze della Valsusa
MAURIZIO TROPEANO
TORINO
Ultima chiamata per la Torino-Lione. Ultima perché se salta l’ipotesi di mediazione a cui sta lavorando il commissario straordinario, Mario Virano, salta non solo il finanziamento di un miliardo dell’Unione Europea ma rischia di saltare anche Romano Prodi con il suo governo. La decisione sulla Tav, infatti, è il primo banco di prova su cui si misurerà la capacità del centrosinistra di dare una risposta alla questione settentrionale emersa dal voto di domenica.
L’Osservatorio dovrebbe iniziare ad affrontare il tema dei tracciati subito dopo la riunione del tavolo istituzionale prevista il 13 giugno a Palazzo Chigi. In queste settimane, però, è in corso una trattativa sotterranea che modifica completamente il progetto presentato da Ltf ed Rfi in territorio italiano. Il «lodo» prevede due punti fissi: il tunnel di base e il nodo di Torino. Due «invarianti» attorno a cui costruire una proposta di mediazione.
Il tunnel a Gravere
In questa proposta di mediazione il tunnel di base si farà ma invece che uscire a Venaus sbucherà più a sud, nei pressi di Gravere tra Susa e Chiomonte. La lunghezza totale della galleria dovrebbe restare più o meno la stessa 53 chilometri ma aumentano da 8 a 10 i chilometri da scavare in Italia. In compenso scompaiono tutte le altre gallerie previste. La linea, infatti, non passerà più sulla destra Dora ma si svilupperà sulla sinistra ripercorrendo la linea storica.
Venaus e Musiné addio
L’ipotesi di tracciato, infatti, ridisegna completamente i 47 chilometri di attraversamento della Valle. Scompare, dunque, l’uscita di Venaus, il viadotto di 700 metri che chiude la Val Cenischia e i 12 chilometri di galleria nella montagna sopra Bussoleno. Cancellato anche il passaggio sotto il Musiné e la necessità di scavare dentro il ventre di una montagna piena di amianto.
Linea storica interrata
L’ipotesi di tracciato utilizza il percorso della linea storica che sarà interrato nei comuni attraversati dalla Torino-Bardonecchia e raddoppiato dove possibile. Il disagio di sopportare i cantieri sarà ripagato con la possibilità di ricucire il tessuto urbano dei paesi divisi dalla linea ferrata, soprattutto ridurrà l’inquinamento acustico del passaggio di almeno 200 convogli al giorno. Il «lodo» approfondirà soprattutto gli aspetti legati alla riqualificazione urbana e paesaggistica dei centri abitati.
No Val Sangone
Se questa soluzione sarà condivisa il tracciato non passerà dalla Val Sangone. L'idea è quella di bucare la collina morenica (senza amianto) all’altezza di Ferriera, subito dopo Avigliana, e di sbucare all’altezza di Villarbasse. Da qui attraverso il territorio del comune di Rivalta raggiungerà lo scalo di Orbassano e attraverso corso Marche e la Gronda merci la Torino-Milano.
Si parte da Torino
Cambia anche lo scenario dei cantieri. L’idea è quella di iniziare i lavori, almeno dal lato italiano, a partire dal nodo di Torino e risalendo poi verso il confine francese. Il tunnel di base si potrebbe iniziare a scavare dal lato francese partendo da Saint Jean de la Maurienne e, probabilmente, anche dalla discenderia di Modane che sarà ultimata al massimo entro la fine del 2007.
Scarti in treno e riutilizzati
Lo smarino e il materiale di risulta prodotto dai lavori sarà smaltito utilizzando i treni e non i camion. In queste settimane sono andate avanti le trattative per il riutilizzo di milioni di tonnellate di materiale. Tra le ipotesi c'è quelle di usarle per costruire il nuovo porto di Genova disegnato da Renzo Piano. Anche l’autorità portuale di Montecarlo sarebbe interessata a utilizzare lo smarino.
Le criticità
Resta da vedere se una simile ipotesi, quando sarà ufficializzata, troverà il consenso degli amministratori locali e di Verdi e Prc. I sindaci hanno più volte ribadito il sì al potenziamento della linea storica rinviando la discussione sulla necessità o meno di costruire il tunnel di base alla conclusione di questi lavori. Il consenso delle comunità locali è necessario per ottenere i fondi Ue.
L’ora dei Sì Tav “Un’opera vitale”
Gli imprenditori valsusini a favore dell’Alta Velocità
LODOVICO POLETTO
TORINO
Signori miei, se non fanno la Tav qui rischiamo di andare tutti a gambe all’aria». Parola di imprenditore valsusino. Che non vuole il nome sul giornale, non vuole la fotografia, ma accetta di parlare nel dehor di un bar in centro a Susa. Dice: «Rispetto al 2005 il fatturato della mia azienda, nel 2006, è sceso della metà. La valle ha bisogno di questo intervento, ma qui sembra che nessuno lo voglia capire».
È un «Sì Tav» convinto quest’uomo che oggi ha operai che lavorano in cantieri dell’Italia del nord «ma anche all’estero». Dice: «Mantengo questa mia posizione nonostante questo abbia causato liti in famiglia». Eccolo qui il popolo di chi vuole la Tav. «Sono quasi tutti imprenditori locali» dicono al presidio di Venaus. E per certi versi hanno ragione. «I No Tav sono impiegati comunali, operai, pensionati. Loro lavorano anche senza Tav, anzi senza il treno ad alta velocità si evitano un bel po’ di casini e guadagnano ugualmente» ripete il solito tipo del bar. Certo è che qualcuno che la pensa diversamente in valle c’è. E lo annuncia anche dai muri. Vedi la scritta che hanno fatto nottetempo, una quindicina di giorni fa, sul muro più nascosto di una cabina elettrica di fronte alla casa del sindaco di Venaus, Nilo Durbiano. «Sì Tav».
«Io ho tagliato il numero degli operai. Ho meno lavoro dopo le olimpiadi. Se la Tav partisse sarei ben contento: si creerebbe un bel volano positivo per tutti» dice Giorgio Musu, valsusino pure lui è titolare di un’impresa che si occupa di lavori stradali. Spiega: «Io non ho mai avuto danneggiamenti, non mi hanno mai fatto dispetti. Anche se la mia posizione è chiara». E allora «Sì Tav» sia. Ma trovare gente che si esprime è difficile. Fiorangelo Forno, titolare di un bar in centro a Susa non ha dubbi: «la valle ha bisogno di lavoro. Ha bisogno di ricchezza. Sia la Tav o la line storica non importa. Ciò che conta è che si crei un volano positivo, che le aziende non licenzino più».
Ma poi, se al presidio di Venaus si discute di queste cose, viene fuori che ciò che dice chi è favorevole all’alta velocità: «Sono tutte scuse». E cioè: «Qualcuno sta facendo pressioni sui dipendenti; anche questo è un modo per tentare di tagliare le gambe al movimento No Tav». Opinioni a confronto. Discussioni che salgono di livello in questi giorni dopo l’annuncio della Ue: «Entro fine luglio devono esserci i progetti definitivi. O non se ne fa più nulla».
I No Tav e l’ultimatum "Pronti alla battaglia"
E quelli che si sono schierati per il "si" restano zitti
LODOVICO POLETTO
TORINO
Sarà anche vero, come dice Agnoletto, che tra 2 mesi la questione Tav sarà morta e sepolta. «Ma noi, tanto per non saper né leggere né scrivere, abbiamo rinnovato l’affitto del terreno per altri cinque anni: da qui non ci spostano neanche a cannonate». Il terreno in questione è a Venaus, proprio dove il progetto «made in Ltf» prevedeva la costruzione di un mega viadotto per il supertreno ad alta velocità. È un prato di trecento metri quello su cui il popolo che non vuol neanche sentire parlare di vent’anni di lavoro in valle, ha costruito la sua base. Una specie di fortino, diventato simbolo della resistenza «No Tav». E per altri cinque anni nessuno li farà sloggiare da lì: «O mandano l’esercito o da qui non se ne va nessuno», sintetizza Alberto Perino, con i suoi modi spicci ed eloquio brillante. Sentenzia: «Chi dice che il popolo No Tav si sta sfaldando, mente. Si pronti a mobilitarci in qualunque momento: come un anno e mezzo fa, più di un anno e mezzo».
Ottimista? Lui replica: «No, realista». Certo è che se i «No Tav» sono ben visibili, con le loro bandiere, i loro presidi e le grigliate organizzate per tenere alta l’attenzione, i «Si Tav» sembrano quasi aver paura di farsi vedere. Nilo Durbiano, il sindaco di Venaus, è chiaro: «C’è più o meno il 50% della popolazione a favore dell’alta velocità. Ma non lo dicono». Qualcuno lo scrive: qualche settimana fa lo hanno fatto con uno spray nero su una cabina Enel a 200 metri in linea d’aria dalla casa di Durbiano: «Sì Tav». Altri sono disposti ad ammettere di essere a favore del supertreno, ma solo a due condizioni. «Niente foto e niente nome». Chi sono? Imprenditori. Che ti dicono: «Se fanno la Tav danno lavoro. Oggi come oggi siamo costretti a licenziare operai per sopravvivere».
«E’ un ricatto bello e buono», tuona Leonardo Capella, «No Tav» fin nel dna. Il suo pensiero? Si può sintetizzare così: «I sessanta giorni sono un’illusione». E «Il presidio è la nostra bandiera, per alcuni è anche la casa». Ma resta il fatto che entro il 30 luglio devono essere presentati i progetti definitivi per la Torino - Lione. «Troppo bello sperare che se non arrivano la questione sia chiusa. Mi sa che dopo quella data ci saranno altre dilazioni ed altre ancora. Quanti ultimatum abbiamo visto in questi anni? Decine. Le lobbies di potere vogliono questa linea e faranno di tutto per realizzarla», dice Stefano Marzolino.
E allora lotta No Tav sia, e nelle forme più diverse. Con un pieghevole, ad esempio, da spedire ai parlamentari della Ue. Con le riunioni del «movimento donne No Tav» che da un volantino affisso al presidio di Venaus dicono di volere più visibilità. Con le frasi di solidarietà che la gente passata da qui negli ultimi mesi ha scritto su un registro improvvisato: «Se solo tutti si prendessero il tempo di assaporare le bellezze della nostra valle non avrebbero il coraggio di costruire nessuna Tav». Ed è una forma di lotta anche quella dispensa con 100 chili di pasta, scaffali pieni di sughi di ogni specie e gusto, vino e salami. «Scorta di guerra», ironizza qualcuno. Intanto Ivana Pelissero, bionda attivista del movimento, dal suo telefonino fa sapere che: «La gente della valle non farà mai un passo indietro».
E i sindaci della zona, quelli che nei giorni caldi dell’inverno 2005 scendevano in piazza con la fascia tricolore a tracolla, che fanno oggi? Perino dice: «Sono sottoposti a mille pressioni: non vorrei essere nelle loro braghe». E ricorda che tutti sono stati eletti con programmi No Tav, quindi: «Non possono venire meno alle promesse fatte». Pressioni sui sindaci? Simona Pognant, primo cittadino a Borgone, è lapidaria: «Su di me è inutile che ne facciano. Io sono quella di sempre. Altro che passi indietro: da qui non si passa». Il suo collega Durbiano va oltre. E sentenzia: «Anni di dibattito, lotta e presenze non si possono cancellare». Poi sciorina una ricetta tutta sua: «Prima o poi ci diranno che la linea attuale è intasata. E allora lavoriamo per sistemare la linea storica, velocizzarla e magari interrarla. Tra 40 o 50 anni, quando sarà satura anche quella, si penserà a qualcosa di diverso». A qualcuno, però, questa idea non piace: «Né oggi né tra 50 anni. Il treno da 300 all’ora, nelle viscere nella nostra montagna non correrà mai».
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