L’importanza del risparmio privato in Italia

Il debito pubblico pesa solo per il 22% della ricchezza.
Come in Usa e in Germania

Il debito pubblico di tedeschi e americani è uguale al nostro. Impossibile? Eppure è vero. Basta metterlo in rapporto con la ricchezza delle famiglie al netto delle passività: Stati Uniti (23,3%), Italia (22,3%) e Germania (22,2%) sono praticamente allo stesso livello (vedi grafico). E questo accade perché, nonostante i guai, la stanchezza, la non crescita le famiglie italiane sono ancora tra le più ricche del mondo.

Dati
Magra consolazione? Può darsi: da qualche parte, però, bisogna pur cominciare per tirarsi su e tentare di ripartire. In un Paese dove l’età media avanza e il passaggio del testimone tra generazioni è sempre più difficile, non solo sul piano della politica e delle istituzioni, ma anche su quello più privato della ricchezza.

Dove stiamo andando? I numeri e i grafici presentano una nuova iniziativa di Unicredit-Pioneer im, un osservatorio sul risparmio che avrà cadenza annuale, e che si propone di indagare in modo approfondito le dinamiche passate e future del risparmio, la più ingente e non abbastanza valorizzata risorsa nazionale che ammonta a oltre 8 mila miliardi considerando tutto (vedi tabella).

In questo primo studio, che verrà presentato a Milano mercoledì 16 ottobre, si indagano temi già noti, come la caduta del tasso di risparmio che ci ha portato ad essere più simili ad altri Paesi, ma anche aspetti meno scandagliati dell’evoluzione della nostra ricchezza patrimoniale di beni tangibili (immobili, macchinari, oggetti di valore). Una grandezza sempre cresciuta in termini reali dal 1995 ad oggi (2,5% l’anno al netto dell’inflazione) e ora in allarmante ritirata. Quel 2,5%, infatti, contiene per esempio, il periodo 2001-2007, dove le attività sono salite ad un tasso medio del 5,3% e poi g l i ultimi quattro anni (2008-2011) dove invece la ricchezza si è assottigliata di uno 0,9% l’anno, con una previsione di un ulteriore -3% (secondo Unicredit-Pioneer im) per il 2012. Un languore – spiega la ricerca – che non va confuso con le performance dei singoli asset, visto che «la valorizzazione delle attività reali, oltre a dipendere dal prezzo, è funzione anche del nuovo risparmio che viene convogliato».

La ritirata è visibile anche sul fronte finanziario dove dopo il boom tra il 1995 e il 2000, quando gli investimenti crescevano dell’ 8,7% all’anno al di sopra della media tenuta in altri luoghi d’Europa e del mondo, si è passati ad un fase di stanca tra il 2001 e il 2007, con i portafogli in crescita di un magro 0,9% l’anno (sempre al netto del costo della vita) per arrivare agli anni della crisi, quando in media gli asset finanziari hanno perso il 3,5% l’anno. In termini reali a fine 2012, secondo le stime di Unicredit-Pioneer im, l’orologio degli investimenti per le famiglie italiane tornerebbe indietro di 13 anni, fino al 1999 (vedi grafico).

Passaggi
Ricchezze ingenti, ma a rischio di sgretolamento ben più di quanto non fosse qualche anno fa. E sempre più difficili da «tramandare». Le nuove generazioni – spiega lo studio – devono affrontare «sfide decisamente più ardue con mezzi più esigui». Secondo la ricerca – che incrocia dati della Banca d’Italia e fonti dell’azienda – fatta 100 la ricchezza dei più anziani, la classe anagrafica tra 45 e 54 anni ne possiede la metà e chi ha meno di 34 anni solo l’11,4%. A questo si aggiunge il fatto che i più giovani risultano spesso titolari di portafogli meno diversificati e più liquidi e quindi meno capaci di intercettare eventuali rimbalzi del mercato: i depositi a fine 2011 rappresentavano il 70% del totale degli asset per i clienti con meno di 34 anni rispetto al 30% circa per i clienti ultra 65enni. Che i giovani siano meno ricchi dei vecchi è una ricorrenza storica ma, conclude lo studio, i giovani di oggi sembrano avere meno opportunità di chi è stato giovane qualche tempo fa.

Giuditta Marvelli

dal Corriere

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