I due volti della scuola: tra disciplina e vita in comune

Pubblichiamo di seguito un altro articolo dal numero 10 di CortociruitO

La scuola è contraddittoria: c’è un senso in cui è un campo di battaglia quotidiano e un altro in cui è l’ultimo luogo di incontro e condivisione reale che bene o male tutti abbiamo attraversato. E questo conflitto ne attraversa ogni singolo frammento.

Già la distribuzione degli spazi all’interno dell’ambiente scolastico ha una duplice funzione: da una parte determina la disposizione delle stanze e dell’arredamento, quindi il modo in cui noi che attraverseremo quegli spazi dovremo fisicamente rapportarci a essi; dall’altra si proiettano sullo spazio delle disposizioni ideali, delle gerarchie, un ordine. I banchi allineati, la cattedra al centro, le finestre quasi sempre troppo alte perché seduti si riesca a guardare fuori, un po’ come in carcere, che l’unica cosa che si riesce a vedere è il cielo.

Le punizioni che si applicano a scuola non sono penali. Si chiamano “sanzioni disciplinari”. Lo dice la parola stessa: non tendono tanto a punire, quanto a correggere la condotta, nei più minuscoli particolari. Anche prima del 2009, quando il ministro dell’istruzione Gelmini ha ristabilito il 5 in condotta come discrimine per il superamento dell’anno scolastico, il comportamento degli studenti era sotto controllo in ogni dettaglio: il tempo (ritardi, assenze), la produzione (disattenzione, negligenza), la parola (chiacchiere, insolenza), il modo di fare (maleducazione, disobbedienza), il corpo (abbigliamento, gestualità) e la sessualità (indecenza, impudicizia). Si tenta di correggere il campo indefinito del non conforme, non più castigando ma intensificando l’esercizio, l’addestramento, la normalità. Ma niente più ginocchia sui ceci dietro la lavagna: questo è il tempo della sottile umiliazione pubblica. A chi trasgredisce non si nega la libertà, ma si assegnano più esercizi, conditi da una ramanzina di fronte agli altri studenti. In questo modo tutti imparano a controllarsi da soli e, spesso, anche a controllare gli altri. Non si passano le risposte durante i compiti, piano piano si inizia a guardare male e a escludere il compagno di classe che non ha studiato o che risponde al professore, oppure lo si guarda con pena, e magari in fondo una mano si dà, non per solidarietà ma per spirito di educazione, identificando noi stessi con il professore buono. Emblematico è il caso recente di alcuni studenti del Pascoli, che hanno richiesto a professori e preside, tramite il Consiglio di istituto, delle norme e un controllo più severo nei confronti degli studenti.

I compiti in classe e le interrogazioni, invece, viaggiano su un doppio binario: da una parte il professore che si fa giudice e gli studenti che diventano innocenti o colpevoli a seconda del livello di preparazione; dall’altra la preparazione stessa è giudicata in base a una serie di conoscenze e competenze determinate dai programmi statali, e la curiosità e gli interessi personali degli studenti non sono valutati interessanti. Quest’ultimo è un viaggio che inizia quando siamo piccoli, e ai mille “perché” che poniamo alle nostre figure di riferimento vengono date risposte vaghe e sbrigative. Generalmente, quando questo succede, abbiamo intorno ai 4 anni. E’ una fase fondamentale della nostra formazione: in questo momento impariamo a reprimere o a stimolare la nostra curiosità e il desiderio di conoscere. La scuola completa questo percorso, mettendoci addosso l’idea che esistano sempre risposte giuste e sbagliate, e facendoci introiettare la paura di commettere un errore e di essere sottoposti al giudizio altrui. Metterci in discussione, soprattutto insieme agli altri, è un passo fondamentale per crescere. Lo facciamo discutendo con gli amici, o riuscendo a dire la nostra nelle assemblee. Ma è difficile, perché la scuola ci insegna ben presto a evitare questi momenti, ad aver paura di sbagliare, quindi a non tirare in ballo i nostri interessi e i nostri desideri, e a tenere sotto controllo i tratti più peculiari della nostra personalità.

Se non siamo puniti riceviamo un premio: la promozione, l’avanzamento; chi non si adatta si ferma o retrocede. Questa è la logica del merito e, di conseguenza, della competizione. districare il passaggio: merito in una società capitalista. passaggio anche sull’italia, reti clientelari etc.

Ma è vero anche che la scuola non è solo questo. La scuola è conoscere tutti e tutte, è la ricreazione e i cambi d’ora, è incontrare la gente alle macchinette, è comunicazione che circola a una velocità incredibile, è stare in cortile insieme a qualcuno a prendere una boccata d’aria o fumare una sigaretta per alleviare la noia delle lezioni, è la complicità con i custodi che fotocopiano i bigliettini. Ed è proprio questo che nella scuola pubblica si cerca di regolare, normalizzare e controllare. Il meccanismo scolastico si fonda su tre piani interconnessi: il campo del merito, con il riconoscimento della competenza; il campo della politica, incentivando disciplina e obbedienza; il campo della moralità, prevenendo la dissolutezza. Difendere la scuola pubblica significa difendere i suoi meccanismi in toto. Ma non vogliamo una scuola fondata sui principi di autorità, meritocrazia, disciplina e competizione. Non vogliamo sempre obbedire, o sgomitare contro i nostri compagni. La scuola è un luogo dove passiamo quasi metà della nostra giornata, sei giorni alla settimana per cinque anni, a volte pure qualcuno in più. A scuola cerchiamo di ritagliare lo spazio e il tempo per parlare e criticare, per organizzarci insieme per quello che vogliamo o contro quello che non vogliamo, decidendo collettivamente e liberamente di quanto spazio abbiamo bisogno per realizzare i nostri desideri. Non vogliamo quella scuola, perché non ci educa a niente di ciò che di bello c’è nella vita: l’educazione è quella che ogni giorno proviamo a darci collettivamente, convivendo in quelle mura e crescendo insieme, intessendo rapporti, solidarietà e amicizie.

Gli anni in cui andiamo a scuola sono gli anni in cui ci formiamo. “Essere a favore della vita vuol dire divertimento, gioco, amore, lavoro interessante, risate, musica, ballo, considerazione per gli altri, fiducia nell’uomo. Essere contrario alla vita vuol dire dovere, obbedienza, profitto, e potenza”: è una scelta, e tutto sta nell’attitudine che scegliamo. La scuola è bellissima e divertente quando riusciamo a farla essere condivisione e battaglia insieme.

Mordi le labbra Baradel, quando hanno voglia che tu parli, e grida sempre Baradel, se ti si impone di tacere. Impara a scrivere per te e non ti fare emarginare. La mela marcia sparirà, il verme poi sarà farfalla. Non sei un servo Baradel, e non fai comodo lo sai, ma porta sempre in mezzo ai banchi la lotta che non si fa mai.

Fonti:

-AA.VV., L’erba voglio

-A. S. Neill, I ragazzi felici di Summerhill

-E. Maolucci, “Baradel”

-M. Foucault, Sorvegliare e punire

-Potere Operaio, Contro la scuola

-R. Vaneigem, Avviso agli studenti

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