Hong Kong: il cuore della finanza (e non solo)

http://www.inventati.org/cortocircuito/wp-content/uploads/2014/10/hkg.pngL’articolo dell’Economist tradotto da Internazionale è molto puntuale e ci illumina sul ruolo economico dell’ex colonia britannica, oggi “Regione Amministrativa Speciale” della Repubblica “Popolare” Cinese. Una volta tanto, però, chiarita l’analisi strutturale ed economica di questo fenomeno, ci sentiamo di spendere due parole sul sovrastrutturale, per sottolineare il peso politico di questa protesta, e le sue contraddizioni. Si chiama “Occupy” in diretto collegamento con il movimento americano, ma la natura è diversa. Là fu un movimento nelle cui fila comparivano elementi radicali, senza tetto veri e propri (donde il motto “occupy”) espropriati dalla crisi del 2008. Nel caso di Hong Kong le cose stanno diversamente: si tratta di un movimento sicuramente progressista, ma democratico, è una battaglia per le libere elezioni. Niente di più…niente di meno.

Nel mondo di oggi siamo abituati a vedere un albero di Istanbul che si fa foresta, temi locali che si internazionalizzano all’istante e percio’ anche in questo caso la prudenza è d’obbligo. Per ora si posso verificare le seguenti circostanze: che un movimento nato semplicemente per poter votare, quindi delegare, si radicalizzi e trascini in realtà al rifiuto della delega, ma forse non ci sono ancora tutte quante le condizioni oggettive; che assisteremo ad una repressione brutale; che converrà a tutti mediare, concedere qualcosa da una parte, rinunciare a qualcos’altro dall’altra. Cosa conviene, mediaticamente e non, all’ibrido “capitalismo di stato” cinese ancora non è chiaro.
Un tratto in comune fra l’occupy cinese e quello americano, comunque, e’ presente: il carattere inedito di questo tipo di fenomeni. Quel che avviene ad Hong Kong ha anche un valore aggiunto: quello di aver ripreso una parola d’ordine d’oltreoceano testimoniando oggi la tendenza all’internazionalizzazione delle parole d’ordine, cioé degli #hashtag, quindi delle pratiche (il programma degli studenti è di occupare gli edifici governativi); un domani, confidiamo, la tendenza sarà l’’internazionalizzazione anche delle lotte tout court, con uno stesso -rivoluzionario- programma politico.

Nel mentre che il movimento reale continua a fare il suo corso, nella speranza che qualche “dislessico” non si confonda tra la bandiera “rossa” della repubblica “popolare” e quella del “popolo” ora in piazza, cerchiamo di fare l’unica cosa possibile da qua: sostenere mediaticamente questa battaglia.

The Economist, Regno Unito traduzione di Internazionale

Anche se il suo peso è diminuito, Hong Kong ha ancora un ruolo fondamentale nell’economia del paese

Mentre la protesta dilaga e cresce l’ansia per la reazio- ne di Pechino, uno degli in- terrogativi più preoccupanti per gli abitanti di Hong Kong è se il resto del paese sia minimamente interessato al loro destino. Hong Kong è stata a lungo un ponte tra la Cina e il resto del mondo, collegando il flusso di scambi commerciali e gli investimenti nel paese, ma negli ultimi anni questo ruolo è stato ridimensionato dal fatto che la Cina ha aperto i suoi confini, entrando direttamente nell’economia globale.

I leader di Hong Kong temono che i di- sordini spingeranno gli imprenditori cinesi a scavalcare ulteriormente la città, e i numeri gli danno ragione: l’importanza di Hong Kong rispetto al passato è nettamente calata. Produceva il 16 per cento del pil cinese nel 1997, anno in cui è tornata sotto il controllo di Pechino, mentre oggi ne produce solo il 3 per cento. Questo ha spinto molti a concludere che Hong Kong sta scivolando verso l’irrilevanza economica. Ma è davvero così?

Non esattamente. Limitarsi ai numeri è troppo semplicistico. Lo sviluppo della Cina negli ultimi vent’anni ha migliorato la situazione economica in tutto il paese, ma la sfera finanziaria di Hong Kong è rimasta indispensabile per Pechino. In diversi ambiti la posizione della città si è perfino consolidata negli ultimi anni. Hong Kong ha dimostrato di essere la fonte più affidabile di capitale privato. Dal 2012 le aziende cinesi hanno raccolto più di 43 miliardi di dollari in offerte pubbliche d’acquisto sul mercato di Hong Kong, contro i 25 miliardi raccol ti nel continente. Più di qualsiasi altro luogo al mondo, Hong Kong ha fornito alle azien- de cinesi un accesso ai prestiti sui mercati finanziari globali. Inoltre è il centro nevralgico per gli investimenti che attraversano i confini cinesi: nel 2013 sono confluiti qui i due terzi degli investimenti diretti stranieri in Cina (contro il 30 per cento del 2005).

Anche se gran parte di questo denaro si limita a transitare a Hong Kong, le aziende straniere usano la città anche come tappa fondamentale quando investono in Cina, perché offre qualcosa di unico: un ambiente stabile, protetto da tribunali trasparenti che fanno rispettare leggi ben radicate. A rivolgere lo sguardo verso Hong Kong non sono solo le aziende e gli investitori stranieri. Negli ultimi cinque anni Pechino ha trasformato la città in un banco di prova per una serie di riforme finanziarie.

Il cammino dello yuan verso l’accettazione come valuta globale è cominciato a Hong Kong nel 2009 sperimentando scambi commerciali con questa moneta. Inoltre Hong Kong è diventata il primo mercato di titoli in yuan emessi all’estero, mentre la borsa avvierà un programma che per la prima volta permetterà a qualsiasi investitore straniero di acquistare azioni quotate in Cina. La città ha accettato que- sti esperimenti nella convinzione (fondata) che fossero essenziali per la sua sopravvivenza come importante centro finanziario.

Destini intrecciati

La verità è che la Cina ha beneficiato am- piamente dello status particolare di Hong Kong, una città separata ma intimamente legata al continente e un territorio pienamente integrato nell’economia globale ma controllato dal Partito comunista. Tuttavia, è evidente quale sia il rapporto di forza tra la Cina e Hong Kong: un quinto degli asset bancari di Hong Kong è fatto di prestiti a clienti cinesi, mentre la spesa turistica e commerciale (proveniente soprattutto dalla Cina) rappresenta il 10 per cento del pil di Hong Kong. Al contrario, l’esposizione diretta dell’economia cinese nella regione è minima.

In ogni caso sarebbe un grave errore pensare che Hong Kong non abbia alcuna rilevanza per la Cina. Se Pechino dovesse mettere a repentaglio questo rapporto speciale, Hong Kong pagherebbe il prezzo più alto. Ma anche la Cina soffrirebbe, e non poco.

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