Mercoledì 3 Dicembre: iniziativa sullo sfruttamento delle riserve petrolifere

Mercoledì 3 Dicembre si terrà alle 17:30, presso il Dipartimento di Scienze della Terra, un’iniziativa organizzata dal Collettivo Scientifico Autorganizzato, alcune studentesse e studenti di geologia, il Collettivo Agraria Firenze e CortocircuitO, che vedrà affrontare le tematiche sulle condizioni dello sfruttamento del petrolio in Italia con Ugo Bardi, professore di Chimica presso l’Università di Firenze ed esperto di sfruttamento delle riserve minerarie, e Pietro Dommarco, giornalista free-lance e autore di “Trivelle Italia”.

Riportiamo di seguito due contributi riguardanti i due relatori dell’assemblea, il primo è un articolo di Ugo Bardi di Ottobre 2014, mentre il secondo è la nostra recensione del libro “Trivelle Italia” scritto da Pietro Dommarco.


L’articolo di Ugo Bardi:

Petrolio, il prezzo non è giusto: il barile costa sempre meno, ma non è una buona notizia

Grande fermento nel mondo del petrolio: dopo cinque anni di prezzi relativamente stabili, il mitico “barile” sta scendendo da oltre i 100 dollari a sotto i 90, e la discesa sembra continuare. Cosa sta succedendo? Qualcuno ha trovato nuove grandi risorse? Oppure è l’Arabia Saudita che sta usando “l’arma del petrolio” per far cadere la Russia, l’erede del vecchio “impero del male” sovietico? In realtà, non è niente di tutto questo. Non ci sono grandi nuove scoperte e le armi petrolifere dell’Arabia Saudita sono molto più spuntate di quanto non si legga sui giornali. Ma allora, perché i prezzi si abbassano? Ci sono delle buone ragioni, ma bisogna spiegarle e, soprattutto, spiegare perché il probabile abbassamento dei prezzi petroliferi che ci aspetta NON sarebbe una cosa buona; anzi sarebbe un disastro planetario.

Il petrolio è una risorsa limitata, ma soggiace anch’esso alle leggi della domanda e dell’offerta, come tutto quello che si compra e si vende su questo pianeta e che si trova sotto il controllo di quell’entità che chiamiamo “il mercato”. Per il petrolio, ci sono due tendenze in contrasto. Una è il graduale esaurimento delle risorse cosiddette “convenzionali”; ovvero quel petrolio liquido che si estrae a costi relativamente bassi dai pozzi che lo contengono. L’altra è lo sviluppo del petrolio “non convenzionale”, ovvero liquidi combustibili che si ottengono, per esempio, trattando le sabbie bituminose, oppure biocombustibili, oppure il “petrolio di scisto”, quello che si ottiene mediante il “fracking.”

Lo sviluppo rapido e impetuoso della produzione di petrolio non convenzionale – soprattutto petrolio di scisto negli Stati Uniti – ha compensato fino ad oggi il declino mondiale nella produzione del petrolio convenzionale; anzi, ha creato un moderato eccesso di offerta. Allo stesso tempo, molte delle economie più importanti sono in recessione e stanno riducendo i consumi. L’Italia, per esempio, ha perso il 25% dei suoi consumi petroliferi negli ultimi cinque anni, e la discesa continua. Altre economie, come quella della Germania, sono in difficoltà, anche se non ancora in recessione. Questo causa una certa diminuzione della domanda.

Quindi, i due fattori – aumento dell’offerta e diminuzione della domanda – vanno nella stessa direzione: il mercato vuole che il prezzo del petrolio si abbassi (e in effetti si abbassa). Teniamo conto che questi fenomeni sono spesso fortemente influenzati dalla percezione degli operatori finanziari: se tutti pensano che il prezzo del petrolio debba calare, allora giocheranno al ribasso e questo farà calare sempre di più il prezzo. In pratica, rischiamo di vedere non soltanto un calo dei prezzi, ma addirittura un tracollo, come quello del 2008-2009.

Molta gente pensa che l’abbassamento dei prezzi del petrolio sia una cosa buona. In realtà, non è affatto così e se vedremo ripetersi lo scenario del 2008-2009, sarà un vero disastro (come già lo era stato allora). Il problema è che le risorse petrolifere non sono tutte uguali: produrre certi tipi di petrolio costa molto caro. Tirar fuori petrolio dalle sabbie o dagli scisti bituminosi, per esempio, costa più caro che tirarlo fuori dai pozzi tradizionali. Allora, cosa succede se i prezzi si abbassano? Beh, succede che estrarre e mettere sul mercato certi tipi di petrolio non è più conveniente. Ne consegue che non lo si produce più. Chi mai vorrebbe produrre in perdita?

In pratica, se i prezzi si abbassano, la produzione mondiale diminuisce: avete sentito parlare del “picco del petrolio”? Beh, è proprio questo: il “picco” non vuol dire che il petrolio finisce, assolutamente. Vuol dire semplicemente che non conviene più produrne tanto come se ne produceva prima – e quindi se ne produce di meno. Ed è esattamente quello che può succedere nel prossimo futuro. Il petrolio a oltre 100 dollari al barile consentiva all’industria di mantenere la produzione abbastanza costante – anzi, di aumentarla leggermente. Il petrolio a prezzi più bassi non lo consente più, e forza l’industria a ridurre la produzione. Questo porta, fra altre cose, alla chiusura di molte raffinerie, come sta accadendo qui in Italia.

Alla fine dei conti, il petrolio costerà di meno, ma sarà un’abbondanza soltanto apparente perché ma non avremo i soldi per pagarlo. Che ci volete fare? È il mercato! Ma, soprattutto, è la nostra insipienza a farci continuare a credere che il petrolio possa durare per sempre. Non può. Cominciamo a pensarci già ora.

Di seguito, invece la recensione del libro di Pietro Dommarco

Recensione del libro “Trivelle d’Italia”: i loro sogni sono i nostri mostri

Se credevate che l’Italia fosse un cattivo affare per le compagnie petrolifere, dovrete presto ricredervi. Dalla fine dell’800 a oggi, sono stati perforati 7.010 pozzi e più di 1.000, tra mare e terraferma, sono attualmente funzionanti. Al 31 dicembre 2011 la produzione di greggio si è attestata su 5.283.866 tonnellate di greggio, quasi 40 milioni di barili, l’84% della produzione nazionale di greggio proviene dalla terraferma, il 16% dal mare. Questi numeri spiegano come l’Italia sia posizionata, tra i Paesi europei produttori, al quarto posto per produzione petrolifera (nonché la prima per il costo della benzina). Il libro “Trivelle d’Italia”spiega il motivo di tale interesse: “percentuali di compensazione ambientale” tra le più basse al mondo; spese d’ingresso irrisorie; commercializzazione rapida e legislazioni permissive.

Con una solida analisi sostenuta dai dati e dai fatti, Dommarco ci svela una realtà sconosciuta ai più, e cioè come viene sfruttato il territorio, e per quali ragioni e con quali scopi si perfora la terra e il mare. Scopriamo che le regioni maggiormente interessate dalle trivellazioni sono la Sicilia e, sopratutto, la Basilicata che con la firma del decreto ministeriale 12 settembre 2013, vedrà raddoppiare le estrazioni petrolifere su tutto il territorio lucano. Ma si registrano trivellazioni in cerca di petrolio, anche minimo, e gas un po’ in tutta Italia. Questo perché nel nostro Paese, le società cedono solo il 4% dei ricavati per le estrazioni in mare e il 10% per quelle sulla terraferma, suddivise tra Stato, Regioni e Comuni (che non ricevono nulla nel caso delle estrazioni in mare). Non solo, tali “royalties” vengono erogate solo se la produzione di barili supera una certa franchigia. Insomma, profitto assicurato per le compagnie petrolifere mentre ai territori e alle popolazioni che lo vivono viene lasciato il resto: devastazioni ambientali e malattie per i lavoratori. Il libro infatti, racconta anche la storia delle aree interessate dalle trivellazioni e la vita delle persone vicino agli impianti di raffinazione, tra la paura di incidenti, inquinamento ambientale e un preoccupante aumento di patologie tumorali. Nella zona di Priolo, in Sicilia, il 35% dei decessi avviene per tumore, principalmente quello ai polmoni, ma cifre simile si riscontrato in tutte le popolazioni vicine agli impianti.

Ma quali sono le argomentazioni che i politici e le lobby del petrolio usano per giustificare queste operazioni ad alto impatto ambientale? Diremmo le solite promesse da marinaio di un grande futuro occupazionale e di importanti risvolti economici per l’economia del Paese e per i territori che ospitano tali impianti, a cui si aggiungono le stanche retoriche su “la riduzione delle importazioni di gas e petrolio” e la “riduzione dei prezzi per benzina e gas”.

“Trivelle d’Italia” sfata questi falsi miti, descrivendo il lavoro precario e pericoloso degli operai, delle compensazioni ambientali che non sono altro che briciole rispetto alla devastazioni causate dalle trivellazioni: tra fanghi inquinati, agenti chimici e potenziali fenomeni sismici. Anche la leggenda della riduzione delle importazioni di combustibili fossili ha vita breve. Tutto il lavoro di perforazioni ed estrazione è infatti servito per soddisfare il fabbisogno di petrolio del paese per soli 3-4 mesi!

Ed il gas? L’ambizione della classe dirigente italiana è quella di trasformare la penisola nel mercante di gas dell’Europa del sud, costruendo tutta una serie di infrastrutture per comprare gas a poco prezzo, immagazzinarlo e rivenderlo a prezzo maggiorato ai clienti europei. Entro la fine del 2012 dovremmo produrre internamente 9 miliardi di metri cubi di gas (su un fabbisogno stimato in 85 miliardi di metri cubi). Nel 2011, invece, sono stati estratti poco più di 8 miliardi da 129 concessioni di coltivazione, 82 in terraferma e 47 in mare. Numeri destinati a crescere, perché per rendere l’Italia il “magazzino” di gas per tutta l’Europa servono, appunto, nuove infrastrutture, oltre che un ulteriore sostentamento all’elettricità nazionale. Oggi, infatti, il gas copre oltre il 40% della produzione di energia delle centrali termoelettriche, caso unico nel vecchio continente. Nella testa di chi vuole riprogettare la strategia energetica nazionale, si devono costruire nuovi rigassificatori, nuove estrazioni, nuovi campi di stoccaggio e disponibilità ad ospitare gasdotti intercontinentali. Migliaia di chilometri di tubi ed impianti che sconvolgerebbero entroterra, coste e mare. Scendendo nel dettaglio, i rigassificatori dovrebbero passare dagli attuali due a 9, altre 21 concessioni per lo stoccaggio sotterraneo e la costruzioni di nuovi gasdotti. Tra questi c’è il gasdotto “Rete Adratica”: 687 chilometri di tubo, da Brindisi a Minerbio, che dovrebbe attraversare 10 regioni, 3 parchi nazionali, un parco regionale e 21 aree protette dalla Ue. Inoltre, molte compagnie energetiche stanno strizzando l’occhio allo “shale gas”, una nuova frontiera per il mondo energetico, messo sotto accusa negli USA per la tecnica con cui si estrarre tale materia prima, il fracking. Questa tecnica detta “fratturazione idraulica” pone i territori a forte rischio sismico e ambientale, a causa della contaminazione chimica delle acque sotterranee e dell’aria. In alcuni paesi l’uso di questa tecnica è stata sospesa o addirittura vietata. Se questi progetti dovessero realizzarsi in toto (solo due rigassificatori, tra cui quello di Livorno, peraltro non in funzione, si sono aggiunti a quelli attuali), sarebbe un’ecatombe ambientale. Tutto per il profitto di pochi a svantaggio di molti, una formula comune del capitalismo nostrano e internazionale messa perfettamente a nudo da Dommarco, fornendo agli attivisti e ai comitati territoriali ulteriori argomentazioni scientifiche per contrastare la devastazione e il saccheggio del proprio territorio. Un ottimo antidoto contro le velenose menzogne e le ipnotizzanti retoriche dei signori del petrolio.

Sull’argomento è recentemente intervenuto, sulle pagine de “Il Messaggero”, l’ex-premier Romano Prodi, affermando che:

“L’Italia non è povera di petrolio e di metano, ma assurdamente, preferisce importarli piuttosto che aumentare la produzione interna. Nell’ultimo decennio abbiamo pagato all’estero 500 miliardi di euro per procurarci la necessaria energia. Un lusso che non possiamo più permetterci”

Qui  potrete trovare un sintetico ed efficace articolo in risposta all’articolo di Prodi

Leggi Anche:

La guerra del petrolio che divide il mondo

Un gregge di gatti: l’OPEC e i felini del greggio.

L’ultimo brindisi: sulle “illusioni” dei nuovi giacimenti di petrolio

La nostra assurda guerra contro la natura: il disastro del capitalismo

IL PETROLIO, I MONOPOLI, L’IMPERIALISMO

Il vero Limite dello “Sviluppo”

IL DECLINO DELLA RESA DEGLI INVESTIMENTI NELL’INDUSTRIA PETROLIFERA

LA BOLLA DELLO SHALE GAS

Recensione del libro “L’era del petrolio”, di Leonardo Maugeri

Il fondo del barile 2 – Il ministro Federica Guidi, il petrolio ed il profitto

IL FONDO DEL BARILE, LETTERALMENTE

Facebook

YouTube