Da tangentopoli a mafia capitale: tanto rumore per nulla

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Dai ladri mi guardi iddio, che dagli onesti mi guardo io …

La complicità ambientale creata attorno alla fase irregolare di accumulazione del profitto è la spiegazione della grottesca impunità di cui godono i caporali presso i Tribunali Civili e Penali; le cooperative falliscono a frotte e distribuiscono la refurtiva senza che Procure e Magistrati del lavoro, Servizi Ispettivi e Guardia di Finanza, Deputati e Senatori, Maggioranza e Opposizione agiscano. Tutti sembrano anzi sentire l’obbligo di non intervenire e rimuovono con fastidio le poche voci di dissonanza.

Gianni Giovannelli, Segui il denaro, Mimesis, Milano, 2003, p. 9.

Gli ultimi «scandali» hanno dato la stura al solito can can moralista & giustizialista. Ci mancherebbe! Buona parte degli italiani sta facendo i conti con licenziamenti & tasse (non ancora fame & miseria), mentre lor signori rubano a piene mani. Troppo facile scandalizzarsi!

Di fronte a questo obbrobrio, si dimentica che, ogni giorno, onesti imprenditori, onesti industriali, onesti padroni … si intascano il lavoro non pagato di milioni e milioni di proletari. Non solo, per derubarli, rinchiudono i proletari in fetide galere, chiamate fabbriche, a onor del vero assai peggio delle galere. Li tengono in ostaggio, costringendoli a lavorare in condizioni disumane, in ambienti malsani. Li liberano solo quando, con il loro lavoro, i proletari hanno prodotto la ricchezza che il padrone pretende, il cosiddetto plusvalore o profitto. In parole povere, è lavoro non pagato[1]. Questo furto avviene ogni sacrosanto giorno, alla luce del sole, nel pieno rispetto della legalità.

Legalità, quanti misfatti in tuo nome!

La legalità nei rapporti di lavoro non cade dal cielo. È il frutto di un compromesso, grazie al quale gli sfruttati cercano di difendersi. E il compromesso, buono o cattivo, è sempre determinato dai rapporti di forza tra sfruttati e sfruttatori. Gli sfruttati partono però handicappati e, quando va bene, possono solo limitare il furto che subiscono. Per eliminarlo, dovrebbero eliminare i padroni e i rapporti di produzione capitalistici. Non è uno scherzo.

Contro i proletari, gli sfruttatori schierano una grande armata di mercenari: politicati & sbirri, preti & pennivendoli, tutti ben interessati a mantenere lo stato di cose presente, il modo di produzione capitalistico, di cui essi sono le creature. E in Italia sono tanti. I politicanti sarebbero più di un milione (Servizio Politiche Territoriali della Uil); gli sbirri sono circa 550mila (Piero Laporta, Troppe polizie in Italia, Dalla Ps alla mortuaria, private e locali: sono 25, «Italia Oggi», 19 maggio 2010). Magistrati, pennivendoli d’alto bordo e prelati sono pochi ma costano caro. Ci sono poi le Forze Armate che contano circa 180mila militari, ormai tutti di «mestiere». Complessivamente, i proletari italiani mantengono almeno 1.700.000 mercenari (il 7,5% della popolazione attiva) che, per di più, lavorano contro di loro. Oltre al danno, la beffa.

Mercenari e clienti

Resta allora da chiedersi come mai, se la pacchia è assicurata e protetta da un sì forte apparato (che coarta mente e corpo), c’è chi vuol rubare ancora? E sempre di più? Non basta il maltolto arraffato?

Il capitalismo è un sistema instabile e volubile, o meglio è un sistema critico, soggetto a crisi. I rapidi mutamenti che ne conseguono creano emergenze, di fronte alle quali, gli sfruttati spesso abbassano la guardia, arretrano e perdono terreno. Questo sta avvenendo oggi con la crisi del modo di produzione capitalistico che, in seguito alla riduzione  dei margini di profitto, ha scatenato l’assalto all’estorsione di plusvalore, al furto sfacciato di «lavoro» altrui. Motivo per cui i padroni vogliono rimettere in discussione ogni passato accordo o meglio compromesso in materia di lavoro, come sta facendo Renzi col Jobs Act. Ma ci avevano pensato già da tempo illustri giuslavoristi, almeno a partire dal pacchetto Treu, nel 1997, passando per la legge Biagi nel 2003, giungendo al Salva-Italia Monti-Fornero, nel 2011. Tutti provvedimenti che, nelle parole di lor signori, avrebbero incrementato l’occupazione. I risultati si son visti: meno occupati più sfruttamento, meno salario più profitti. Ma non son contenti!

L’assalto al salario è tanto più virulento quanto più sono i mercenari che i padroni devono «sfamare». In Italia, l’armata mercenaria supera del 20%, con punte del 50%, quella di altri Paesi dell’Unione Europea. Con risultati assai deludenti, in termini di legalità, almeno per i cittadini-lavoratori. Non per nulla, l’Italia è prima in Europa per corruzione (Corsera, Redonline, 3 dicembre 2014). Ma non finisce qui.

Non ci sono solo i mercenari da sfamare, ci sono anche le «clientele», ovvero ci sono strati sociali mantenuti ad arte, come garanzia di stabilità. E in questo, l’Italia è un esempio più unico che raro di Paese capitalista in cui i «ceti medi», piccoli imprenditori e lavoratori autonomi, invece di diminuire sono aumentati, prima grazie al fascismo e poi grazie al connubio Dc-Pci. Connubio che, dal dopoguerra, ha plasmato la compagine socio-economica nazionale, caratterizzata da alcuni grandi poli industriali, di Stato e privati, alla cui ombra allignavano le piccole imprese con meno di dieci dipendenti che, ancor oggi, sono oltre 4milioni. C’è poi una pletora di micro imprese individuali e familiari, tra cui la scombinata legione dei professionisti (un milioncino), in tutto circa 4milioni di «autonomi»[2].

Piccoli e grandi papponi

Piccolo è bello? Col cazzo! La vita delle piccole imprese era ed è frutto di un diffuso supersfruttamento dei salariati, grazie all’art. 18 (che NON tutela il 47% della forza lavoro italiana). La vita delle micro imprese artigiane, commerciali, contadine e degli studi professionali si basa invece sul superlavoro che spesso coinvolge anche le famiglie. Per la collettività, i costi sociali sono altissimi. Quando è necessario, per far quadrare i conti, interveniva (interviene) lo Stato, con agevolazioni fiscali e sovvenzioni, sempre a scapito dei contribuenti, ovvero dei lavoratori dipendenti e dei pensionati (su cui grava l’80% dell’Irpef).

Ma quei tempi sono al tramonto. All’orizzonte si profila una redistribuzione del reddito che potrebbe penalizzare piccola e micro impresa, a tutto vantaggio della grande. Così dev’essere.

Con la crisi economica, la torta dei profitti da dividere si è fatta sempre più risicata e quel mondo antico, tutt’altro che piccolo, ha visto scemare le proprie fonti di reddito e già qualche batosta gli è arrivata. Ma non sono scemate le ragioni della sua esistenza che, anzi, con l’aria che tira, assumono un ruolo politico forse ancor più delicato. Uno strato sociale che, in Italia, conta milioni di persone non può uscire di scena dall’oggi al domani, e in silenzio. Sintomi di reazione si sono visti da tempo, prima con la Lega e poi con 5 Stelle e i Forconi. Ma sono movimenti pronti al compromesso.

La crisi crea nuove opportunità di redistribuzione del reddito. Per vie legali o meno, chi se ne frega. I faccendieri sono all’opera, proprio nella fonte della ricchezza, il lavoro, dove rilanciano l’outsourcing (lavoro in affitto o meglio papponaggio). Trasformando le miserie dei proletari in risorse, come dicono politicanti & affaristi. Le lotte dei lavoratori della logistica hanno svelato un mondo di porcherie, all’ombra della grande industria e delle cooperative «rosse». Il Ministro del Lavoro, Poletti, è un vecchio boss delle cooperative. Lui sì che se ne intende!

Invisibili al fisco, sovvenzionati dallo Stato, propensi al malaffare …

Difficile quantificare il malaffare di Mafia Capitale (o della Milano dell’Expo), comunque sia, è una piccola cosa di fronte al Grande Furto legale consumato dalle imprese oneste. Oltre allo sfruttamento diretto dei proletari ci sono appalti e commesse, sempre a carico dei contribuenti, che sempre proletari sono. Unici contribuenti. I padroni, più grandi sono, meno conoscono le tasse. Loro, sono invisibili al fisco!

La grande industria, grazie agli appalti, ha le mani in pasta nelle grandi opere inutili & dannose: Tav, Mose, Expo … A lato, ma non tanto, c’è il settore bellico, con la Finmeccanica, sempre al centro di ricchi intrallazzi. Ci sono poi tante industrie come la Fiat (oggi Fca) che privatizzano i profitti e socializzano le perdite. È la regola della libera impresa.

Le banche, non appena qualche spericolata speculazione finanziaria va male, battono cassa allo Stato. Nel 2013, il Monte dei Paschi di Siena si è cuccato almeno 5 miliardi (un quinto dell’incasso Imu di quell’anno). Dopo di che, parte alla grande la sinfonia della Spending Review: aggiustamento della spesa pubblica attraverso il taglio dei servizi (Stato sociale) e aumento delle imposte, sempre a carico dei lavoratori dipendenti. Mazziati e cornuti.

Come si vede, i consigli di amministrazione delle SpA sono le cupole della grande cosca che, in piena impunità, commette il crimine dei crimini: lo sfruttamento e l’oppressione dei proletari.

Ai suoi margini, pascolano i piccoli racket di periferia, le cui attività prosperano finché rispettano ferree leggi non scritte, altrimenti, se va bene, si finisce in galera, il più delle volte si muore ammazzati, in regolamenti di conti che restano misteriosi solo per gli ingenui.

Sarebbe ora di riprendere il maltolto.

Dino Erba, Milano, 26 dicembre 2014.

[1] Sulla coercizione al lavoro e i disastri che ne conseguono, vedi: Alberto Tognola, Lavoro? No grazie! Ovvero, la vita è altrove, Edizioni La Baronata, Lugano, 2010.

[2] Sulla struttura socio-economica italiana rimando a: Clash City Workers, Dove sono i nostri. Lavoro, classe e movimenti nell’Italia della crisi, La Casa Usher, Lucca, 2014, in particolare p. 51, Lavoratori e lavoratrici in Italia, e p. 55,  Dimensione delle aziende. Il calcolo delle micro imprese (lavoratori autonomi) è stato depurato da circa 1.700.000 lavoratori «parasubordinati», lavoratori dipendenti mascherati. In Italia, i lavoratori indipendenti rappresentano il 24% della forza lavoro complessiva, in Francia e in Germania sono l’11-12%, la metà! Vedi: Costanzo Ranci: Chi e quanti sono i lavoratori autonomi? [http://www.consiglioscienzesociali.org/]; i dati sono leggermente diversi da quelli di Clash City Workers, poiché è diverso l’universo statistico considerato.

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