Charlie Hebdo – Teorie del complotto e concezione poliziesca della storia

Riceviamo e pubblichiamo:

Un mix reazionario e razzista, erede del fascismo

Il raid contro «Charlie Hebdo» ha subito data la stura alle solite teorie del complotto, ovvero alla concezione poliziesca della storia. Ecco allora balzare agli onori della cronaca le trame dei servizi segreti, rigorosamente Made in Usa. La famigerata Cia o altri organismi più o meno occulti, sempre subalterni agli Usa (Trilaterale, Club di Bildeberg e via complottando), spiegherebbero colpi di Stato, sommosse e attentati contro legittimi governi, in odor di fronda verso lo zio Sam. E quant’altro di male avviene nell’universo mondo. È un mix reazionario e razzista, erede del fascismo, che sparge a piene mani deleterie contaminazioni.

Odor di congiura …demo-pluto-giudaico-massonica?

La concezione poliziesca della storia è figlia del fascismo. Non fa altro che riproporre quella congiura demo-pluto-giudaico-massonica tanto cara a Mussolini e a Hitler. Non per nulla in Italia ha molti adepti. Ma c’è di peggio.

Il gran vociare «al lupo al lupo!» (alla Cia alla Cia!) favorisce la disinformatjia, che fa sempre comodo a lor signori, ma soprattutto svela una mentalità reazionaria[1]. Per prima cosa, inibisce la possibilità di capire l’origine dei fenomeni sociali, dal momento che li riduce al livello di trame perverse, condotte dal demiurgo di turno. E, implicitamente, nega ai proletari e agli sfruttati un autonomo ruolo politico di fronte agli accadimenti. Considera i proletari semplici pedine del grande gioco della politica che passerebbe sopra le loro ignare teste. Ancor peggio, se possibile, l’atteggiamento nei confronti dei proletari del «Terzo Mondo» che sarebbero assolutamente succubi delle classi dominanti locali, abbiano esse il volto «oscurantista» del Fratelli musulmani o il volto «progressista» del fu Chavez.

Tertium non datur … ovvero: sarebbe impossibile l’alternativa proletaria

La teoria del complotto svela anche un ottuso razzismo, poiché ritiene che un’organizzazione del «Terzo Mondo» non sia in grado di dirottare un aereo e dirigerlo contro un macro obiettivo, come le Twin Towers (New York, 11 settembre 2001). Il 29 agosto 1969, Leila Khaled fece molto di più … ed è ancora viva. Ma allora non si parlò di «complotto».

A proposito del raid del 7 gennaio, si obbietta: «Come mai sapevano che la riunione di “Charlie-Hebdo” fosse quel giorno, alla ore 11? Come mai sapevano che la sala fosse al secondo piano? Come mai le armi sono entrate in Francia sotto il naso della polizia? Come mai … ».

Per conoscere la vita di un ufficio basta parlare con un fattorino, con un addetto alle pulizie, con un barista … magari con un impiegato. Queste cose le fa ogni ladro che si rispetti, prima di  fare un bel colpo in un appartamento, in un negozio, in un ufficio. Basta leggere un romanzo noir, non occorre il Manuale del perfetto terrorista. E di armi ne girano molte … basta avere i quattrini per comprarle.

I complottisti, poi, definiscono terrorismo azioni militari come il raid contro «Charlie Hebdo». Mentre, pur deprecando (ma non sempre …), definiscono azioni militari i bombardamenti di massa: Guernica (1937), Dresda (1945), Hiroshima (1945) … Gaza (2014) … l’elenco è lunghissimo. Dando spazio a questo equivoco fetente, giustificano implicitamente il terrorismo di Stato che difende solo i privilegi della classe dominante e dei suoi reggicoda.

Dulcis in fundo, per condire il frutto marcio delle loro teorie, ricorrono al fanatismo religioso. E dimenticano il fanatismo nazional-democratico, oggi riesumato.  A ben vedere, altrettanto fanatici, se di non più, sono i combattenti dei corpi speciali: arditi, paras, kommando, marines, teste di cuoio … kamikaze! Sono fanatici, è inevitabile, altrimenti non potrebbero commettere le nefandezze che commettono. Ma lo fanno in nome della Patria, della libertà, della democrazia …, in breve: della civiltà …

Uno sporco gioco che mostra la corda

Certamente, i servizi segreti fanno uno sporco gioco, assai vecchio peraltro, come lo fanno tutte le associazioni padronali, più o meno occulte. Ma tutti questi organismi statal-padronali operano in un contesto socio-economico le cui caratteristiche politiche solo in parte dipendono dalle loro trame.

Secondo le circostanze, l’intervento dei servizi segreti può mutare o meno una determinata situazione a favore della classe dominante, e questo avviene sia a livello locale sia a livello internazionale. In quest’ultimo caso, il concetto di classe dominante è assimilabile (ma non coincidente) alla nazione dominante, volgarmente con l’imperialismo Usa.

Grandi e piccoli apprendisti stregoni

L’esito più o meno felice degli interventi dipende dal contesto socioeconomico in cui essi avvengono che, per essere precisi, è definito dal processo di accumulazione del capitale. Entrando nello specifico, nel corso del Novecento, i servizi segreti yankee, nonostante i primi passi improvvisati, hanno raccolto risultati più o meno lusinghieri, grazie alla spinta propulsiva che la loro emergente economia (ovvero il processo di accumulazione del capitale) esercitava sulla società del mondo intero. E quindi sulle scelte politiche dei vari Stati. Senza per questo evitare qualche inconveniente. D’altro canto, spesso entrano in campo fattori contingenti, dettati da interessi meschini, come avvenne nel 1971, alla vigilia del conflitto indo-pakistano[2].

La prima vera brutta figura la Cia la fece quando, nel 1974, la «rivoluzione dei garofani» abbatté in Portogallo la dittatura di Caetano. Fu un evento del tutto imprevisto da Fort Lauderdale. Ma ancor peggio fu nel 1979, con l’imprevista caduta dello Sha di Persia, bastione Usa nel Medio Oriente. Dopo di che, gli interventi yankee segnarono il passo. Con le ridicole (seppur prepotenti) eccezioni di Grenada (1983) e di Panama (1989).

Seminano vento … raccolgono tempesta

Qualche cosa non funzionava più come un tempo: la Golden Age era al tramonto e il processo di accumulazione perdeva colpi, negli Usa come nel resto del mondo, senza riuscire a riprendersi, se non con espedienti che si rivelarono peggiori del male. E quando la crisi del processo di accumulazione divenne conclamata (2008), gli Usa si trovarono con l’acqua alla gola, dopo i disastri in Iraq (1991) e in Afghanistan (2001).

Avevano un bel fomentar instabilità nel tentativo di riprendere il controllo della situazione. Come apprendisti stregoni, hanno seminato vento e hanno raccolto tempesta. E tempesta hanno raccolto anche le Potenze capitaliste d’Europa (altre Potenze non ce ne sono sulla faccia della terra) che, come sciacalli, speravano di addentare qualche frattaglia dalle disgrazie yankee. Con le Primavere arabe il disastro è diventato catastrofe. E allora, tirare in ballo Cia & trame è come mangiar cavoli a merenda, mentre la guerra coi suoi orrori lambisce ormai il piccolo mondo occidentale.

La prosaica logica del day by day

Giusto per avere un confronto, ben diversa fu la situazione che si delineò nel corso della Seconda guerra mondiale [3]. Ma anche allora l’improvvisazione prevalse, creando situazioni che solo la schiacciante vittoria yankee avrebbe fatto dimenticare. Sia in seno all’Asse, soprattutto, ma parimenti in seno agli Alleati, ognuno agiva in base ai propri interessi, a volte anche a danno dei compari. E non solo.

«I carteggi diplomatici franco-britannici della turbolenta seconda metà del 1939 mostrano le cancellerie europee disposte a giocare su ogni tavolo, in assoluta libertà, rispetto all’ingessata visione della lotta “fascismo-antifascismo” consacrata dalla propaganda bellica e nel dopoguerra anche sui libri di storia»[4].

Ieri come oggi, nei think tank dell’imperialismo non c’è mai stata alcuna progettualità (se non nella fantasia mistica della piccola borghesia nazionalista), poiché prevale sempre quella logica del day by day che caratterizza il modo di produzione capitalistico, ieri come oggi.

Dino Erba, Milano, 13 gennaio 2015.

[1] E sì che a suo tempo, nel 1958, con Il nostro agente all’Avana, Graham Greene aveva messo in burla le fobie complottiste … Ma è un virus congenito nelle classi dominanti, di cui i pennivendoli si fanno interessati corifei.

[2] Nel marzo 1971, l’ambasciatore a Dacca, Archer Blood, informò la Casa Bianca che il regime dittatoriale di Yahya Khan stava scatenando un massacro di indù (circa 200mila vittime e centinaia di migliaia di profughi). Ciò nonostante, l’amministrazione Nixon-Kissinger (futuro premio Nobel per la Pace) preferì ignorare il genocidio, favorendo la guerra contro l’India, in odor di «comunismo». Per il Pakistan, la guerra sarebbe stata disastrosa (secessione del Bangladesh) e i rapporti degli Stati Uniti con l’India sarebbero stati compromessi, accendendo un focolaio di tensioni mai sopito. Vedi: Danilo Taino, Un telegramma anticipò il flop diplomatico Usa. Errori e malafede. Il 1971 di sangue del console Blood, «La Lettura», 6 agosto 2013, p. 13.

[3] Vedi: Dino Erba, Forze sociali e ruolo dei servizi segreti nel corso della seconda guerra mondiale, Milano, 1987-2014.

[4] Eugenio Di Rienzo, Emilio Gin, Le Potenze dell’Asse e l’Unione Sovietica 1939- 1945, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2013, p. 10. Il concetto di guerra «per la democrazia» per gli Anglo-americani o di «Grande guerra patriottica», per l’Urss, si venne delineando solo a quando le sorti dell’Asse erano ormai segnate. Per inciso, Mussolini, nella primavera del 1943, brigò per una pace separata con l’Unione Sovietica e, in caso di invasione anglo-americana dell’Italia, vagheggiò una guerriglia «fascio-comunista» che avrebbe trovato le sue basi nell’Appennino centrale [ibidem, p. 43].

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