Ancora sul vittimismo dell’UDU: l’intervento di un ex studente di Scienze politiche

Pubblichiamo da Facebook questo commento al nostro recente articolo sull’UDU, scritto in seguito alle polemiche dovute alla mancata visita di Caselli a Novoli. L’autore è un ex studente di Scienze politiche e lo ringraziamo per aver espresso come meglio non avremmo potuto il disprezzo per l’opportunismo politico che attraversa certe realtà studentesche sedicenti “di sinistra”.

Ai miei tempi, quando anche io ero uno studente del Polo di Scienze Sociali di Novoli – impegnato politicamente, s’intende – l’UDU era guidata da Alessio Branciamore, alias Sogliola (qualcuno sa perché). Ricordo come i ragazzi fossero i più aggiornati su quanto accadeva in consiglio di facoltà, in consiglio di laurea, sul peso dei singoli docenti, sulle baronie. Erano inoltre perfettamente integrati nel sistema di co-gestione tipico dell’accademia: accettavano, per esempio, il fatto che i rappresentanti degli studenti fossero una manciata (meno di dieci, se non ricordo male) rispetto a tutto il corpo docente, che era composto da un centinaio di persone. Per questa via, totalmente subordinata, stabilivano dei veri e propri accordi con il Consiglio, accordi che non incidevano minimamente sui rapporti di forza, sulla subordinazione che gli studenti vivevano e vivono ancora rispetto alle logiche di selezione e di cooptazione tipiche dell’Accademia. Erano accordi consociativi: tu mi dai un appello straordinario in più oggi e io non ti rompo le scatole domani. In questo modo, se ai miei tempi c’era una media di due appelli e mezzo ogni due mesi, grazie anche all’”opposizione” di UDU il numero di appelli oggi è dimezzato. Nonostante l’incapacità di ottenere delle vere conquiste che fossero tali, i valenti “Sinistri” – come li chiamavamo noi – (ai tempi, UDU si chiamava Sinistra Universitaria) tappezzavano le apposite bacheche di manifestoni pagati dalla facoltà e dalla CGIL, che suonavano inevitabilmente così: “abbiamo vinto! l’UDU ha ottenuto una conquista strepitosa per tutti gli studenti!”. Le tasse universitarie crescono, la selezione di classe aumenta a dismisura, l’ideologizzazione dell’insegnamento e il potere di cooptazione dei professori-baroni non sono state minimamente scalfite, ma loro hanno vinto…

E forse hanno vinto davvero. Sì, perché noi dei collettivi, ricordo, ci siamo sempre fatti il fegato amaro per batterci contro le cosiddette “contro-riforme” dell’Università: Forse abbiamo pagato in termini di isolamento, anche nei confronti di molti studenti, una nostra incapacità tattica, una difficoltà mentale nell’aprirci a strumenti di intervento nuovi, nonché a dialogare con i nostri colleghi mediamente anti-comunisti. Un certo feticcio dell’identità. Eravamo, e probabilmente siamo ancora, troppo assoluti. Eppure ciò che ci muoveva – e ci muove tuttora – era una passione civile, un’ansia di mostrare agli altri studenti che il mondo in ci vivevamo e viviamo è un mondo capovolto, in cui ti vendono lo sfruttamento come un’occasione formativa, sei costretto a pagare per i tuoi diritti, le istituzioni educative puntano a disciplinare, a selezionare, a dividere, invece che a coltivare le nostre attitudini, a farci saggiare il gusto per la ricerca della verità. Abbiamo pagato questa passione civile con la sotto-occupazione, una vita accademica mortificante, spesso anni di fuoricorso, incomprensioni, fino alla repressione, i processi, la galera.

Quelli di UDU invece no: loro, almeno i loro dirigenti, hanno vinto, ce l’hanno fatta. Forse hanno lasciato l’Università peggio di come l’hanno trovata, più competitiva, mortificante e selettiva, però HANNO VINTO. Qualche mese fa, ad esempio, mentre scendevo le scale del palazzo dove abitava la mia compagna, ho incrociato Alessio Branciamore per le scale. Non lo vedevo da anni, l’ho salutato tranquillamente, davvero. In fondo, ho fatto come fanno tutti: mi sono conformato quel minimo per continuare a campare. Non sono uno di quelli che pensa che “ceder un peu c’est capitoler beaucoup”, ma forse quella volta feci una cazzata. Me ne resi conto di lì a poco. Alessio infatti aveva fatto carriera: dall’UDU era entrato direttamente nella Nidil CGIL, da funzionario, senza aver mai lavorato un giorno in vita sua. U-N-O. Nello stesso periodo, io stavo seguendo per il mio collettivo, i Clash City Workers, la vertenza dei lavoratori di Eataly, una storia emblematica, di infamia, ma anche di coraggio. Riuscimmo a organizzare uno sciopero simbolico, contro le condizioni di estrema precarietà che si vivevano là dentro, e ottenemmo una piccola vittoria: quella di far conoscere al mondo che anche dietro le immagini patinate di una multinazionale “responsabile” ci fosse il solito vecchio sfruttamento, ma che organizzandosi, anche in pochi, era possibile ribaltare il tavolo e ottenere avanzamenti reali. Lo sciopero lo organizzammo noi, insieme ai lavoratori, sostenuti dai Cobas. Ricordo come Francesco Farinetti, a.d. del gruppo Eataly, fosse costretto a precipitarsi a Firenze per tentare di placare le acque, ristabilire l’ordine e “smacchiare” il brand di famiglia. Tentò prima una mossa dal sapore repressivo. Ordinò, cioè, che 92 dipendenti firmassero un foglio scritto dall’azienda di presa di distanza dagli scioperanti. Fortunatamente, nonostante le pressioni dei capi-area, firmò meno della metà dei lavoratori. Farinetti non sapeva dove sbattere la testa, c’era la possibilità di un effetto a catena, rischiava di perdere potenziali profitti faticosamente guadagnati col sudore (degli altri).

Fortunatamente, venne in suo soccorso la CGIL. Quei funzionari che fino a quel momento aveva tollerato un’evasione contrattuale pazzesca – e di cui erano da tempo a conoscenza – dopo aver mangiato a sbafo al tavolo di Farinetti, firmarono un accordo di merda, una sanatoria, che avrebbe concesso alla società di rientrare lentamente nei ranghi, mentre chi era stato licenziato (gli scioperanti) sarebbero rimasti fuori dal negozio. Loro erano troppo pericolosi, che si andassero a cercare un altro lavoro. Ricordo ancora – era il 4 settembre 2014 – che nonostante le mille estenuanti chiamate fatte solo per capire chi e come avesse siglato quell’accordo, i lavoratori dovettero assistere alla conferenza stampa della CGIL, per sapere che cosa era stato firmato sulla loro pelle. Al tavolo dei conferenzieri, sbarbato e inamidato, c’era anche lui, Alessio Branciamore, alla sua prima conferenza stampa e al suo primo accordo. Lui e gli altri funzionari, perenni vincitori di questa società.

Ebbene, quando ho saputo che cosa era successo a Novoli, quando ho visto questa foto, questi giovani, rampanti vincitori con la bocca fasciata, non ho saputo nascondere lo sdegno. Mi fanno proprio schifo e lo voglio scrivere. Per quanto mi riguarda, se qualcuno volesse pubblicare questo piccolo commento, Lo faccia pure. Non ho paura di dire quello che penso, né all’UDU, né ad Alessio Branciamore, né a questi suoi piccoli sosia, pronti a difendere i potenti, i baroni, i padroni, o gli inquisitori come Caselli, pur di poter scrivere ABBIAMO VINTO nelle loro misere vite.

La vittoria, quella vera, verrà un giorno e sarà per tutti.

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