Livorno – Giusti, il vescovo del potere e delle banalità

Nella omelia pasquale il vescovo immobiliarista di Livorno si è distinto, come al solito, con frasi ad effetto sulla situazione politica, economica e sociale di Livorno e come sempre lo ha fatto distribuendo luoghi comuni e una cultura politica, deleteria, molto affine a quella dei poteri forti della città che anche in questa occasione erano in prima fila ad ascoltarlo.

Giusti mc donaldI soldi della Darsena Europa. “C’è questa opportunità dei 650 milioni per il porto, smettiamola con le polemiche e con i tentennamenti: sono l’occasione per dare lavoro”. Uno che sente questa frase potrebbe pensare di essere al barrino del dopolavoro o su un autobus nell’ora di punta, invece queste parole sono state dette in Duomo la sera di Pasqua da monsignor Giusti, il vescovo più amato dal potere, che ha ripetuto come un disco rotto la solita frase che per decenni i livornesi si sono sentiti dire: arrivano i soldi, arriva il lavoro, accettiamo tutto e non rompete i coglioni. È la stessa mentalità che ha rincorso la cittadinanza sui giornali, nelle omelie e nei dibattiti tra pochi intimi in Consiglio Comunale quando c’era da liquidare in tre balletti l’operazione Odeon, il rigassificatore o la Porta a Terra solo per fare alcuni esempi. Tutte questioni che il sindaco, il vescovo o il presidente di Confindustria di turno spacciavano come nuovo sintomo di una ripresa e nuove opportunità a cui non si poteva dire di no. Per la prima volta, invece, sulla questione Variante, Prp e Darsena Europa c’è stato un dibattito dignitoso in città e se anche noi alla fine pensavamo che non ci fossero alternative praticabili a quella di far passare la Variante (vista anche la legge regionale che avrebbe commissariato il Consiglio e dato un gigantesco alibi a Rossi e ai suoi tanti bluff presenti e passati), consideriamo più che legittime le polemiche e le perplessità che molti hanno espresso dentro e fuori le sedi istituzionali. E pensiamo che sia un dovere della città difendere quel piano da appetiti speculatori e immobiliari obbligando Regione e Autorità Portuale a rispettare l’accordo politico firmato con Nogarin su quelle aree di confine tra porto e città.

Sabato e domenica si lavora! “Il lavoro non si rifiuta e questo vale anche se c’è da lavorare il sabato o la domenica”. Alla faccia di Di Vittorio! Anche nel mondo globalizzato, nel mondo della produzione just in time e nel mondo del consumismo compulsivo 24h, i rapporti tra capitale e lavoro sono disciplinati da leggi e contratti. Forse il vescovo non lo sa ma nelle fabbriche livornesi si lavora già con gli interinali il sabato e la domenica con contratti a chiamata a rinnovo settimanale e nella grande distribuzione si lavora tutti i sabati e quasi tutte le domeniche. Leggi e contratti ormai pendono totalmente dalla parte del capitale e il lavoro e i lavoratori sono compressi sotto un’unica legge universale: il ricatto. Pare il minimo che i lavoratori cerchino di resistere e far valere i propri diritti contro chi pensa che i tempi dell’azienda siano diventati quelli della società e che il profitto sia l’unico interesse legittimo che le istituzioni debbano riconoscere. Di sabati, domeniche e festivi lavorativi quindi se ne occuperanno i lavoratori e le aziende, ognuno portando avanti i propri interessi che spesso succede siano conflittuali, nonostante che a Giusti diano noia le polemiche. C’è da dire anche che Giusti, probabilmente, non ha mai letto o ascoltato cosa pensa Papa Francesco sulle domeniche: “La domenica libera dal lavoro, eccettuati i servizi necessari, sta ad affermare che la priorità non è all’economico, ma all’umano, al gratuito, alle relazioni non commerciali ma familiari, amicali, per i credenti alla relazione con Dio e con la comunità”. Oppure Giusti con quella frase faceva cenno alla polemica scaturita nel mondo Coop per l’apertura del 25 aprile e trattandosi di festività laica a lui non gliene può fregare di meno.

La strage in Kenya. “L’Occidente, sempre attentissimo ai diritti civili, e sordo di fronte alla strage dei 150 studenti in Kenya solo perché cristiani. Quando vedremo i paladini dei diritti civili fare una mobilitazione di massa per questi morti? Al termine della messa poi ha detto: “Ci si arrabbia giustamente per un gesto di omofobia, ma perché non si fa lo stesso per questi massacri? Ricordo in città una grande manifestazioni per Gaza, mi domando quando vedremo uno striscione in municipio anche per i martiri cristiani”. Qui si raggiunge l’apice dei discorsi buttati lì, quando si scende dall’autobus e ci si infila dalla parrucchiera. Intanto, se esiste una “gerarchia delle morti”, quello è un criterio che sta dentro l’informazione mainstream e le reti di potere che le gestiscono. Ad ogni fatto di sangue viene dato risalto se fa audience o se serve per portare avanti interessi precisi (fare una guerra o una propaganda negativa ad un nemico economico o militare oppure deviare su eventi esterni dei problemi interni oppure far passare leggi liberticide che in condizioni normali non passerebbero). È dunque chiaro che l’attentato di Charlie Hebdo faccia più audience per il principio di prossimità per cui le persone si interessano dei fatti a loro più vicini. C’è poi la questione dell’interesse politico, perché un attacco a quello che viene considerato il cuore dell’Europa ha delle implicazioni a livello politico che non sono certo misurabili con quello che accade nella periferia africana. Così ragiona chi ci comanda e chi segue i flussi delle informazioni. Ma il vescovo non ha detto queste frasi per riferirsi ai grandi poteri dell’informazione ma per menzionare in termini dispregiativi coloro che a suo avviso sono rei di mettere gli striscioni o fare i cortei per Gaza ma non per i morti cristiani in Kenya. Non ci vorrebbe molto a capire che chi si è mosso per Gaza lo ha fatto perché riteneva che con una pressione mediatica e una mobilitazione come il boicottaggio si possa fare pressione sulle comunità ebraiche locali, sulle rappresentanze diplomatiche e sul governo israeliano stesso. E così è successo anche a Livorno dove la comunità ebraica è supinamente allineata al governo israeliano in maniera del tutto acritica quando invece nel mondo l’operato di Netanyahu è quotidianamente messo in discussione anche dagli alleati politici e militari. Chi ha fatto i cortei o gli striscioni per Gaza è stato il primo poi a sostenere i curdi in modo concreto nella loro battaglia quasi solitaria contro Isis. Il terrorismo fondamentalista è una piaga che purtroppo si è espansa anche nel mezzo dell’Africa. In medioriente il terrorismo fondamentalista è stato foraggiato ed è tutt’ora usato dagli alleati della Nato (Qatar e Arabia Saudita in testa) in funzione antisciita. Cosa molto apprezzata anche da Israele che difficilmente spende parole di terrore su Isis a differenza del nemico iraniano. In Africa invece, i danni perpetrati in questi secoli, anche e soprattutto dall’Occidente, stanno uscendo in tutta la loro drammaticità e il fondamentalismo islamico sta prendendo piede. Ma bisognerebbe ricordare a Giusti che le prime vittime di queste fazioni sono in primis i musulmani stessi, quindi la lotta contro questo nuovo medioevo è una questione politica mondiale. A prescindere dai cristiani, in Iraq di questi attentati ce n’è uno al giorno. E pensare che quasi tutti i governi composti da cristiani del mondo hanno appoggiato quella guerra-truffa. Ma noi striscioni fuori dal Duomo non ne abbiamo mai visti. Probabilmente perchè Giusti si occupa di politica estera solo se riguarda cristiani. Probabilmente altri, che lui denigra, hanno una visione un po’ più larga di lui e della sua Chiesa complice. Quindi al di là della solidarietà umana per questi cristiani kenioti, la domanda da fare a Giusti è: quale sarebbe l’obiettivo di un eventuale striscione o corteo? Convincere o fare pressione su gruppi terroristici come Isis o Al Shabab? Intanto il vescovo e tutti i benpensanti che erano in Duomo, prima di guardare agli striscioni altrui dovrebbero ricordarsi del loro silenzio assordante o del loro sostegno alla guerra in Libia del 2011, ennesimo intervento vergognoso e dannoso a pochi kilometri dalla nostre coste. Ma forse per non dare noia al manovratore è meglio occuparsi con un po’ di retorica del lontano Kenya.

Emergenza abitativa. Riferendosi all’occupazione del palazzo Maurogordato il vescovo si è espresso così: “Episodi come questo sono gesti estremi. Quello che bisogna fare subito è un censimento del patrimonio degli immobili pubblici sfitti affidandone la gestione ai privati, cioè le associazioni del terzo settore”. Insomma, per il vescovo il nodo di tutto è fare come a Pisa l’accordo tra Comune e Caritas. Gira e rigira il problema è che la Caritas riprenda a fatturare come prima dei tagli fatti dal Comune. Il problema dell’emergenza abitativa viene da lontano e viene dalla vendita del patrimonio Erp agli inquilini, viene dalle briciole che vengono lasciate al pubblico quando vengono fatti accordi pubblico-privato, viene da una gestione Casalp inefficiente e da un saldo sempre negativo di appartamenti tra gli immobili che vengono abbattuti e quelli che, con notevole ritardo, vengono ricostruiti. Naturalmente tutte queste complessità sono spesso ridotte al fatto che siccome le case vengono date agli immigrati, gli italiani rimangono senza. Partendo dal dato che le case assegnate agli immigrati che hanno i requisiti sono circa il 20%, il problema abitativo c’è perché a fronte di sempre meno reddito da lavoro ci sono sempre meno case pubbliche da mettere a disposizione. E gli affitti privati rimangono altissimi perché il mercato privato preferisce tenere 4000 alloggi sfitti prima di far crollare i prezzi degli stessi. Il sistema è marcio. Ogni tanto andrebbe ricordato. Comunque monsignor Giusti non si deve preoccupare perché, per fortuna, sulla mappatura del patrimonio pubblico sono già attivi gruppi di lavoro nella cittadinanza attiva e presto usciranno i risultati dell’indagine. Semmai sarebbe da mappare anche quello della chiesa.

 - 7 aprile 2015 

da http://senzasoste.it/

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