Farro per fermare il declino. Ovvero, il vestito nuovo di CasaPound
Un’indagine iconografica sui simboli utilizzati da “Sovranità”, una nuova formazione politica, chiamata a puntellare la Lega fuori dal territorio padano.
Quello del valore della terra è un luogo comune radicato nel buon senso popolare, come conferma un recente studio del Censis per conto della Confederazione Italiana Agricoltori: 82% degli italiani pensa che, per uscire dalla crisi, si debba tornare all’agricoltura. Ma se è indubbio che l’autonomia agricola rappresenta una sicurezza a fronte di un mercato internazionale instabile, o ancora di più, una precondizione per lo sviluppo degli altri settori economici — e tutto questo indipendentemente da ogni valutazione sul peso relativo del settore nel PIL, basso e decrescente nelle economie avanzate — è anche vero che da un’eventuale riconversione al settore primario non si possono certo attendere miracoli come ne promette Marine Le Pen. Nella loro foga di appropriarsi del buon senso popolare, gli alfieri del nuovo protezionismo dimenticano una cosa soltanto: che il benessere di cui godono gli occidentali non lo hanno prodotto ma lo hanno scambiato.
La retorica fisiocratica si ritrova nei più svariati contesti, e nei più svariati contesti è stata prima invocata come soluzione di tutti i mali e poi rapidamente abbandonata: per esempio le spighe di grano erano un elemento ricorrente anche nell’iconografia sovietica. In pratica però l’Unione Sovietica a partire dal 1929 cessò di considerare prioritaria l’agricoltura, e a partire dagli anni Sessanta iniziò a vivere del surplus granario statunitense. I russi si erano accorti di essere in grado di esportare beni più redditizi dei cereali — petrolio, gas naturali, macchinari, ecc. — e così importavano dall’estero il loro fabbisogno di cereali. Insomma gli inaspettati vantaggi del commercio internazionale spedirono in soffitta ogni tentazione pseudo-fisiocratica…
A quanto pare si tratta di una tentazione che riaffiora quando la globalizzazione torna a essere svantaggiosa. Eppure il mito dell’autosufficienza alimentare non apre nessun orizzonte diverso dalla pura e semplice economia di sussistenza: ovvero proprio quella “austerità” che i partiti anti-europeisti pretendono di denunciare, e verso la quale invece mirano con i loro programmi.
Per l’elettore italiano le tre spighe portano con sé un terzo e ultimo significato ovvero un riferimento storico alla famosa campagna nota come “Battaglia del grano”, lanciata da Mussolini nel 1925 allo scopo di perseguire l’autosufficienza di frumento in Italia. Nel discorso fascista, il grano è simbolo e strumento dell’autarchia alimentare ovvero della sovranità pienamente realizzata. Per citare un vecchio documentario dell’Istituto Luce:
Il Duce della nuova Italia ha bandito la santa battaglia. Rendere nuovamente la Patria l’alma parens frugum [“madre dei cereali” come dicevano i romani per via della centralità del settore fino ai secoli III-II a. C.], toglierla dalla servitù straniera! Fare si che il pane, puro alimento di vita, non venga come elemosina oltre confine.
Sullo scudo della lista Sovranità quelle tre spighe di grano possono dunque essere interpretate non più soltanto come evocazione nostalgica della lira e degli anni del boom in cui l’Italia produceva vera ricchezza, ma inoltre — e non dovrebbe costituire una sorpresa — come evocazione nostalgica dell’Italia fascista.
Concatenando nel loro nuovo simbolo tre diverse interpretazioni di un medesimo motivo iconografico, i “fascisti del terzo millennio” indicano che la ripresa economica italiana dovrà necessariamente passare dall’uscita dall’euro e dall’instaurazione di un regime autarchico. Uno “Stato commerciale chiuso” come quello progettato da Johann Gottlieb Fichte nel suo omonimo libro del 1800, feticcio di una certa destra che va da Franco Freda (che lo ha ripubblicato nel 2009) a Diego Fusaro (che gli ha dedicato uno studio nel 2014).
D’altra parte, se risaliamo la corrente del nazionalismo socialista fino alle sue origini torniamo sempre alle spighe di grano: quelle spighe di grano il cui valore di mercato venne fatto precipitare dalle riforme della Rivoluzione francese, così rovinando la classe dei proprietari terrieri che reagì affidando al visconte Louis de Bonald il compito di riformulare l’ideologia dell’Ancien Régime e, contemporaneamente, la matrice di un anti-liberalismo per i secoli a venire.
Non condividere il programma sovranista non significa ignorare i seri problemi sollevati — cavalcati? — o, peggio, voler evacuare ogni possibile dibattito limitandosi alle consuete accuse di razzismo, ignoranza e antipolitica. Nel 2008 la crisi americana dei subprime ha attirato l’attenzione sulla massa di capitale fittizio circolante nelle arterie del sistema finanziario mondiale; successivamente, la crisi del debito sovrano nell’Eurozona ha messo in evidenza la crescente difficoltà delle economie avanzate a produrre ed esportare una ricchezza che ripaghi le risorse investite.
Ma col pretesto di rispondere a queste sfide in maniera radicale, i sovranisti di CasaPound sembrano in realtà — fin dal loro simbolo — proporre come rimedio un best of degli errori già praticati: primo, emettere ulteriore capitale fittizio sotto forma di moneta sovrana (ritorno alla lira); secondo, inseguire settori produttivi senza avvenire per soddisfare qualche impulso romantico da bourgeois bohème virato a destra (ritorno alla terra); e infine terzo, affidarsi sempre e comunque al culto dello Stato Provvidenza, qui nella versione mussoliniana (ritorno al fascismo).
Farro per fermare il declino? Se soltanto le cose fossero così semplici!
da http://www.conversomag.com/
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