Connessi ma non uguali
Evgeny Morozov, sociologo, “Internazionale” n. 1132, anno 23
A metà novembre il congresso statunitense ha approvato con discrezione una legge molto importante che garantisce alle compagnie americane il diritto illimitato di estrarre qualsiasi risorsa mineraria nello spazio, dall’acqua all’oro. Nonostante il Trattato sullo spazio extra-amosferico del 1967 proibisca ai governi di rivendicare le risorse dei corpi celesti, il congresso ha ritenuto che il divieto non si dovesse applicare all’attività mineraria.
Oggi, a investire milioni nelle attività spaziali, non è più la Nasa, bensì sono i miliardari della Silicon valley, come Eric Schmidt e Larry Page di Google, Jeff Bezos di Amazon ed Elon Musk di Tesla. Anche se potrebbero volerci ancora decenni prima di poter realmente estrarre acqua o minerali, la Silicon valley ha già in mente avventure imprenditoriali molto diverse.
Lo spazio, infatti, rappresenta il modo più efficace ed economico di raggiungere le aree del mondo non connesse a internet attraverso un segnale inviato da palloni aerostatici, droni e satelliti. Il Project Loon di Google prevede una rete di palloni sospesi nella stratosfera. Facebook sta sviluppando Aquila, una flotta di droni a energia solare che possono volare ininterrottamente per mesi. Space X di Elon Musk si basa su una potente rete di satelliti che dovrebbe aumentare la connettività globale.
Con la tipica ambiguità della Silicon valley, questi progetti sono stati presentati come un passo avanti nell’emancipazione umana. Google e Facebook hanno promesso di diminuire i costi di connessione, naturalmente a patto che più persone in tutto il mondo utilizzino i loro servizi. Google ha già un accordo con i governi dello Sri Lanka (dove ha promesso di costruire una rete wifi che copra l’intero paese) e dell’Indonesia (dove insieme alle aziende telefoniche locali fornirebbe con il Project Loon una connessione internet agli smartphone in tutto il paese). In India Facebook ha appena lanciato l’iniziativainternet.org – gli utenti hanno accesso gratuito a Facebook e ad alcuni servizi ma devono pagare tutto il resto – per i clienti di Reliance Communications, quarto operatore del paese.
Queste aziende non colonizzano solo lo spazio ma anche il tempo, attraverso la raccolta di dati sulle nostre vite personali, sociali e professionali. Gli assistenti digitali – Google Now, Siri, Cortana e il nuovo Assistant M di Facebook – cercano di produrre tempo libero per gli utenti estraendo i loro dati, non minerali dagli asteroidi. Più lasciamo che Google Now analizzi le nostre attività – dove andiamo, quali notizie leggiamo, in che modo ci rilassiamo – e più tempo ci farà risparmiare con i suoi suggerimenti. E’ nel nostro interesse comunicare più informazioni possibile. Da questo deriva il calo dei costi della connettività, con i progetti paralleli di colonizzazione dello spazio e del tempo che lavorano in simbiosi.
La conseguenza di affidare la ricerca di tempo libero alle aziende anziché ai sindacati o ai partiti politici è ormai chiara: i giganti della Silicon valley diventano insostituibili, perché nessun altra entità sociale o commerciale può mettere a punto e gestire infrastrutture comunicative paragonabili alle loro (per non parlare dei dati che generano).
L’ingresso di Facebook in questo settore con il progetto Assistant M dimostra che ci sono molti modi per guadagnare dai milioni di poveri che improvvisamente hanno avuto accesso ad internet. A differenza di Google Now e di Siri, Assistant M non è interamente virtuale, ma combina l’intelligenza artificiale con il lavoro di una squadra di assistenti assunti da Facebook per svolgere le mansioni avanzate che i suoi rivali completamente automatizzati non possono garantire.
L’unico problema è la scala: con più di un miliardo di utenti da servire ci vorrebbero moltissimi assistenti per far funzionare il servizio. Comunque, con l’arrivo di milioni di nuovi iscritti dai paesi in via di sviluppo, Facebook può lanciare un servizio rivale al Mechanical Turk di Amazon, con i suoi precari sottopagati che si fanno concorrenza per svolgere mansioni noiose. Sarebbe un buon modo di testare Assistant M, ingaggiando i poveri in India e Indonesia per aiutare i ricchi hipster californiani a ordinare un burrito o acquistare un biglietto aereo, il tutto in cambio della connessione gratuita.
Il divario digitale non separa più chi è connesso e chi non lo è, ma chi può permettersi di sfuggire alla brama di dati della Silicon valley e chi è troppo povero per resistere alle tentazioni di Google e Facebook. L’idea secondo cui non importa chi fornisce la connessione e che quando avremo tutti accesso a internet gli squilibri di potere globali spariranno e saranno sostituiti da una beata armonia e da una comprensione globale è una delle più assurde illusioni maturate negli ultimi due decenni.
Il DIGITAL DIVIDE è semplicemente una divisione tra chi ha il potere e chi non lo ha. L’ubiquità delle comunicazioni, almeno quella promossa dalle aziende, non è certo una soluzione.
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