L’imperialismo cinese e le sue contraddizioni

Dopo aver raggiunto negli ultimi anni la potenza produttiva degli Stati Uniti, ora i dati economici della Cina dimostrano una crescita solo del 6,9%, bassa, ma in linea con le aspettative del Governo.

Una delle caratteristiche principali dell’economia cinese, che ha portato il Paese a divenire una delle prime economie del pianeta, è la manodopera. La possibilità di usufruire di manodopera numerosa e sfruttata. La globalizzazione ha portato il resto del mondo capitalistico ad approfittare del basso costo del lavoro offerto dal Paese”socialista”, che è stato pronto ad esportare la più grande industria manifatturiera del mondo.

L’eccesso di capacità produttiva nel settore industriale cinese preoccupa il mercato capitalistico globale. Il Governo cinese ha cercato di far fronte al calo delle esportazioni nel corso dell’ultimo anno. I GOVERNANTI CINESI vogliono spazzare via le aziende “non redditizie” nel settore dell’acciaio e del carbone. Nel 2016 si prevede il licenziamento per 1,3 milioni di lavoratori dell’industria del carbone e 500mila lavoratori del settore dell’acciaio. Con il rallentamento dell’economia, scioperi e proteste sono aumentati e, negli ultimi mesi, c’è stata un’ondata di arresti.

Nel Dicembre 2015 quattro organizzazioni di lavoratori dei poli manufatturieri di Guangzhou e Foshan, nel Sud della Cina, sono finite nel mirino delle autorità. Decine di lavoratori e di loro familiari sono stati interrogati e sette sono rimasti in prigione per più di un mese. Quattro sono stati incriminati formalmente, tre per “adunata finalizzata alla sovversione dell’ordine sociale” e uno per “peculato”. Un gruppo di sessanta (60) avvocati si è offerto di rappresentare gli attivisti, ma è stato proibito loro di incontrarli. Nel frattempo, i mezzi di informazione di Stato hanno scatenato una campagna di diffamazione per distruggere la reputazione personale degli attivisti e legittimare la repressione.

Questo giro di vite non è arrivato all’improvviso. In Cina le associazioni dei lavoratori e i militanti sono sistematicamente vittime della repressione dello Stato. La differenza rispetto al passato è che oggi le organizzazioni dei lavoratori (chiamate anche “ONG del lavoro”) e singoli attivisti presi di mira sono più numerosi ed i capi d’accusa più gravi. L’obiettivo del Governo cinese è stroncare questi gruppi, intimidendoli. Lo Stato cinese si sente minacciato da queste organizzazioni.

In Cina il monopolio della rappresentanza dei lavoratori è nelle mani della Federazione dei sindacati cinesi (FSC), mentre l’attività sindacale indipendente è vietata. Le ONG del lavoro, però, si sono ritagliate un minimo spazio di manovra, contribuendo alla proliferazione di sigle e di iscritti. L’organizzazione più nota è il Centro Panyu Dagongzu, un gruppo antico e consolidato a livello nazionale.

I primi gruppi sono stati fondati per rispondere alle istanze dei milioni di lavoratori arrivati nelle città industriali dalle campagne. Questi nuovi operai non conoscevano le leggi sul lavoro e subivano palesi violazioni dei loro diritti. Sfruttando il crescente dibattito nella società civile, sono spuntate ONG attive su diversi temi: dal lavoro all’ambiente, dalle questioni di genere alla sanità. Ma l’esistenza di questi gruppi è precaria: devono resistere come organizzazioni no profit e sottoporsi ad un attento esame da parte delle autorità. Oggi ce ne sono decine in tutta la Cina, concentrate nelle zone manifatturiere. Mentre la maggior parte si occupa esclusivamente di assistenza legale e si tiene a distanza dalle dispute collettive, alcuni gruppi (quelli presi di mira dal Governo) hanno capito i limiti delle strategie individuali e delle cause singole portate in tribunale e sono passati a forme collettive di lotta contro le dirigenze aziendali.

La FSC NON HA PRESO BENE LE INIZIATIVE DELLE ong del lavoro, E LE HA ATTACCATE PUBBLICAMENTE NEI DISCORSI RIVOLTI AI LAVORATORI IN SCIOPERO. La repressione delle ONG del lavoro è parte di una duplice strategia in cui da un lato lo Stato “socialista” seleziona e integra alcuni gruppi, comprando il loro consenso politico, e dall’altra sopprime quelli che non collaborano. La repressione è una risposta deliberata alle sfide economiche e sociali con cui il Partito “comunista” deve fare i conti: gestire un’economia gravata dalla crisi (crollo della Borsa del 2015), salvare il Governo “socialista” da una crisi di legittimità, che ha portato all’espulsione di decine di migliaia di dirigenti politici istituzionali e burocrati, e contenere i movimenti sociali.

Tuttavia bisogna ammettere che anche le più impegnate tra le Ong sono tutt’altro che coerentemente rivoluzionarie ed internazionaliste. Nella maggior parte dei casi riflettono la personalità dei fondatori e sono poco democratiche e trasparenti. Questa opacità è soprattutto il frutto delle circostanze in cui nascono; intanto non sono autorizzate a raccogliere fondi in Cina, perchè non possono costituirsi come organizzazioni no profit, e quindi dipendono in larga misura da finanziamenti esterni. Anche se il movimento dei lavoratori cinesi è ancora agli albori e pieno di contraddizioni, in poco più di dieci anni, partendo da una vaga consapevolezza dei diritti e del sindacalismo come strumento per il cambiamento, sta emergendo la coscienza che la rappresentanza collettiva attraverso delegati sindacali eletti democraticamente è importante. Il movimento dei lavoratori cinesi potrà crescere e maturare con il sostegno e la solidarietà del proletariato internazionale.

In politica estera il Governo di Pechino schiera missili sulle isole Paracels, per mostrare i muscoli agli altri imperialismi. L’arcipelago delle Paracels è una delle zone politicamente più calde dell’Asia, sulla cui sovranità si scontrano diversi Paesi: Cina, Vietnam, Filippine e Taiwan, tutti convinti di avere in parte il diritto di controllare questa fetta di Pacifico.

Negli ultimi anni la Cina è andata rafforzando la sua presenza a scapito dei concorrenti, creando una serie di isole artificiali ove in passato si trovavano solo scogli. Il dispiego di missili rappresenta una escalation significativa, in contrasto con quanto affermato nel Settembre 2015 dal presidente Xi Yimping sulla non intenzione di militarizzare il Mar cinese meridionale. La Cina considera le isole come proprie, ne ha fatto una questione di orgoglio nazionale e continua a costruire infrastrutture nella zona e realizza tre piste aeree, una delle quali è stata testata lo scorso Gennaio.

Un rapporto sulla ricchezza globale redatto dall’azienda cinese Hurun, come abitualmente fa la bibbia americana del capitalismo, Forbes, dice che Pechino supera New York come “capitale dei miliardari”. Nella capitale cinese RISIEDONO 100 MILIARDARI CONTRO I 95 DI NEW YORK. La Cina in generale ha superato gli Stati Uniti per numero di miliardari.

La fraseologia pseudo-socialista dei dirigenti cinesi serve soltanto a mascherare la vera dittatura che là esiste, la dittatura dei capi, il predominio della borghesia e di un pugno di politici. In tale situazione è fatale che maturi un imbarbarimento della vita pubblica: arresti, attentati e discriminazioni. Un Paese che si definisce “socialista”, ma è troppo identico alla giungla capitalista!

Alternativa di Classe

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