Corrispondenza da Parigi: sulla giornata di sciopero contro la Loi Travail

Riceviamo da Parigi e pubblichiamo (nella foto, i lacrimogeni sparati dalla polizia)

Sveglia presto, mi alzo, sono quasi le 5 del mattino. 28 aprile 2016. Un caffè al volo, un bus notturno acchiappato per un pelo (la metro ancora non è aperta), direzione St-Lazare. Mi addormento per mezz’ora nell’autobus.

A St-Lazare entro nella metro, scendo a Marie de St-Ouen e ci sono 300 persone ad accogliermi sul marciapiede della stazione: tutti eccitati e marchiati dal grigiore di stanchezza sotto gli occhi, la quarta giornata di sciopero generale è cominciata, ci muoviamo tutti insieme per colpire il flusso incessante di questa metropoli. E’ un’azione chiamata dall’assemblea interprofessionale del dipartimento 93 riunitasi negli ultimi giorni alla borsa del lavoro di St-Denis, banlieue nord di Parigi.

Il sole fa capolino tra i palazzi di Gennevilliers mentre ci mettiamo a correre verso una piccola rotonda di fronte a un canale, un porto merci sullo sfondo e tanti camion carichi che ci sfrecciano accanto: da questo snodo ogni giorno passa circa il 20% delle merci circolanti nella regione, sono centinaia di ettari di capannoni, darsene e container. Raccogliamo degli pneumatici sul bordo della strada mentre si riconoscono già svariate macchine della BAC (brigade anti-criminalité) che ci ronzano attorno. Una volta bloccata fisicamente la rotonda e i viali circostanti e aver ricevuto claxonate di sostegno dai camionisti, ovviamente arriva la polizia. Non sono i soliti CRS, sono normali agenti di polizia in tenuta anti-sommossa, mobilitati d’emergenza. Lo stato francese sta affannando nella gestione dell’ordine pubblico, le reclute mancano e succede spesso che la prefettura prendo questo tipo di misure.

Dopo esserci guardati male per una buona mezz’ora, i flics cominciano ad avanzare con spray al peperoncino e manganelli pronti a far male, provano ad accerchiarci ma non sono abbastanza, scandiamo cori di vendetta contro la “police nationale, milice du capital!”
Si vede che non sono esperti, quando parte la prima carica nemmeno facciamo a tempo a toccare gli scudi in plexiglass che già ci hanno lanciato in mezzo alle gambe due o tre lacrimogeni; così, per dire buongiorno. Bisogna prendere una decisione velocemente, i sindacalisti di SUD 93 dicono di partire in manifestazione bloccando i viali, forziamo il blocco e partiamo, le sirene squillanti dei furgoni degli sbirri dietro di noi. Rientriamo nella metro, siamo ancora svariate centinaia di persone, andiamo verso St-Denis; nei vagoni c’è buon umore, cantiamo e ci scambiamo biscotti per colazione.

Appena usciti dalla metro un elicottero sta già volteggiando poco sopra le nostre teste, corriamo tutti insieme verso il centro città bloccando gli svincoli dell’autostrada, la polizia sempre dietro: ci stavano aspettando. Sbagliamo strada, facciamo marcia indietro ed ecco i celerini ad aspettarci in blocco; facciamo dei cordoni, parte qualche sventola e riusciamo a farli indietreggiare. Qualcuno si disperde e scappa in tante direzioni diverse, si fa acchiappare puntualmente dai poliziotti; mai restare soli, il blocco deve restare compatto, la BAC è lì proprio per arrestare chi si allontana dalla folla.
Procediamo verso la borsa del lavoro bloccando di nuovo il traffico, siamo fermati un’altra volta, accerchiati velocemente e lasciati a cuocere sotto il sole che è già alto.

Gli sbirri se la prendono comoda, ci filmano tutti con calma per arricchire i loro archivi e dentro il cerchio facciamo partire centinaia di messaggi, qualcuno deve venire a sostenerci e fare pressione sulla polizia da dietro. Dopo un paio d’ore il gruppo in custodia è addirittura aumentato di numero: quelli che sono venuti in sostegno dalla borsa del lavoro sono portati di forza dentro la nassa. Alla fine il commissario responsabile dell’unità di polizia decide cosa fare di noi: non ci stupisce che ignori addirittura le richieste di rilascio del sindaco di St-Denis (del partito comunista), che passava per caso in bicicletta (non è che si sia sforzato molto in fondo, è ripartito dopo qualche minuto di trattative). Dopo averci meticolosamente strappati ai nostri compagni uno a uno, aggiungendo qualche gasata o spintone a chi resisteva, ci perquisiscono tutti, ci caricano su un pullaman e ci portano via, tutti arrestati. Nessuno è particolarmente spaventato, dentro al bus cantiamo e sghignazziamo, attacchiamo adesivi che chiamano allo sciopero generale.

In commissariato ci riperquisiscono, ci schedano e ci mandano via nel giro di una mezz’ora. D’altra parte, quali capi d’accusa potevano giustificare un trattenimento più lungo per quello che era successo? Hanno voluto farci “buh!” per spaventarci, invece ridiamo di gioia quando scopriamo che fuori dal commissariato dell’Evangile nel 18esimo arrondissement ci sono già decine di compagni a scandire cori per farci rilasciare. Siamo tutti un po’ stanchi, andiamo a riposarci un po’.

La tappa seguente è il corteo delle 14, a Denfert-Rochereau, nel sud di Parigi. Uscendo dalla metro (che evidentemente funzione regolarmente oggi, lo sciopero della RATP tocca soprattutto i treni extra-urbani) mi ritrovo in mezzo a decine di migliaia di persone, in mezzo alle quali riesco a riconoscere qualche volto dei comitati d’azione, una riunione di studenti, intermittenti, interinali e altri lavoratori precari che hanno deciso di costituire delle assemblee indipendenti alla borsa del lavoro di république; i sindacati c’entrano poco con questi ambienti, non riescono a radicarsi proprio a causa dell’instabilità dei contratti, che obbligano la gente a cambiare lavoro di continuo e a non avere il tempo per organizzarsi sindacalmente.
I comitati d’azione prenderanno la testa del corteo, uno spezzone misto che accoglie anche liceali e studenti universitari in pausa primaverile (le vacanze prima degli esami).
Ci sono tanti italiani e tedeschi nello spezzone, c’è stata una chiamata generale che ha portato tanti compagni a sostenere la nostra lotta contro la legge sul lavoro, e perchè no contro il lavoro salariato in generale.

Il corteo è tranquillo all’inizio: ci godiamo il sole, pochi cori, tante chiacchere, tensione con la polizia smorzata ma già vagamente presente, a un certo punto la celere ha provato a infilarsi in mezzo ai manifestanti per spezzare il corteo e sono stati mandati via a male parole; vola qualche bottiglia. La seconda parte del corteo è stata decisamente più movimentata. Arrivati alla gare d’austerlitz, ci fermiamo per dieci minuti buoni a scaldare un po’ la situazione con i fumogeni e le nostre voci; inspiegabilmente parte una carica della polizia (o a causa di qualcosa che non ho visto, cambia poco), tirano qualche granata al cs e cominciamo tutti ad agitarci. Le migliaia di persone presenti nello spezzone si spaccano e rimaniamo per metà sul ponte di austerlitz mentre un’altra metà si rifugia dietro al servizio d’ordine della cgt. Quando proviamo ad avanzare di nuovo verso i compagni più avanti, la cgt si rifiuta di avanzare e di coprirci le spalle per non farci spaccare una seconda volta; dopo qualche trattativa ripartono anche loro, molto lentamente. La polizia però è ormai tra le due metà dello spezzone, davanti continuano a gasare e dietro ci mettiamo a correre per raggiungere gli altri: il rischio accerchiamento è alto, gli sbirri francesi lo fanno sistematicamente.

Tanti lacrimogeni nell’aria, troppi, è ora che investa in un paio di occhialini gommati, mi dico; cerco lo stesso di volantinare i fogli del comitato, li metto nei tergicristalli delle macchine che non sono state danneggiate dal gruppo di testa: sarebbe un po’ di cattivo gusto lasciare al proprietario un finestrino spaccato e un volantino esplicativo.
Arrancando tra i rifiuti bruciati, le banche saccheggiate e le barricate improvvisate, arriviamo in place de la nation, dove si dovrebbe sciogliere il corteo. Gli agenti della BAC provano ad avanzare verso il centro dell’immensa piazza per acchiappare qualche povero diavolo che avevano preso di mira, sono costretti a ripiegare sotto la pioggia di sassi che arrivano in risposta.

Non è ancora finita; gli scontri continuano per un’altra ora buona, i lacrimogeni ormai non si contano più ma ne sono stati sparati certamente qualche centinaio. Il prossimo obiettivo è place de la république, chiamata ormai da un mese a questa parte place de la commune: il prefetto ha vietato l’accesso alla piazza tutta la notte, ce ne freghiamo e dopo essere arrivati in metro ci mettiamo a costruire rifugi in legno per tenere la nuit debout anche questa notte (sinceramente sono rimasto solo fino a quando gli scontri sono ricominciati verso le una del mattino, non mi reggevo più in piedi).

Il tramonto, un’assemblea di migliaia di persone, gruppetti di gente a bere dappertutto, una meritata festa improvvisata da qualche compagno appassionato di musica: questo è stato place de la république in questo mese, e nonostante tutte le contraddizioni che ci ho riscontrato (la maggior parte delle persone sono bianchi, pochi immigrati e poche prospettive rivoluzionarie, un cittadinismo strisciante che esaspera i discorsi… per dirne alcune), mentre mi prendo una pausa dai lavori in corso guardo tutto questo e mi dico che voglio che continui. Questa piazza è stata in ogni caso un luogo di libertà, di socialità, una zona franca per ridere e magari litigare, una piattaforma indipendente nonostante tutti i tentativi di manipolazione dei partiti e sindacati di sinistra, un progetto popolare con le sue virtù e i suoi errori; nessuno ci ha mai insegnato come organizzare un movimento, ci tocca impararlo da soli e si cresce, tutti insieme.

Chi lo sa dove andrà a finire tutto ciò, quando e come finirà. Per ora non mi pongo il problema, per come era andata la giornata mi sono accontentato di una sana dormita.

E domani ricominceremo, altre giornate di rabbia e di gioia sono previste prossimamente… Come il primo maggio, la festa del non-lavoro.

P.

Facebook

YouTube