Tra ordine e disordine: il free jazz

La dodecafonia ed il jazz sono state due tra le più profonde innovazioni che ha avuto la musica nel XX secolo. Probabilmente questi nuovi lessici musicali, essendo fenomeni recenti, devono essere ancora maturati ed interiorizzati sia dal pubblico che dai musicisti. Come ha suggerito Claude Lévi-Strauss, chi ascolta si attende qualcosa dalla musica: sta al musicista giocare su questo qualcosa in modo tale da creare piacevoli sorprese al pubblico. “Mancando – invece – un riferimento, non può esistere, nell’ascoltatore, un sistema di attese che permetta quella successione ininterrotta di previsioni degli eventi musicali in svolgimento che è condizione sine qua non per la comprensione e per il godimento di qualsiasi musica” (A. Polillo, “Il Jazz”). Cos’è che fa la differenza tra questi due casi? Possiamo rispondere: l’ordine.
In base al concetto di entropia, sono definiti ordinati quegli stati caratterizzati da asimmetria, separazione, movimento, organizzazione; mentre per disordinati si intendono quegli stati caratterizzati da simmetria, regolarità, uniformità, equilibrio, quiete, disorganizzazione. Prendiamo un esempio pratico, una palla da baseball che si sposta in volo ad una certa velocità.
L’intero corpo (sistema) si comporta come una singola particella di grande massa, la quale obbedisce alle leggi della dinamica. Tutte le sue particelle sono orientate in una direzione ed hanno un verso ben definiti; il moto è coerente e organizzato(fig. sottostante a sinistra moto coerente delle particelle – frecce rosse orientate – mentre la palla è in volo).
Nelle collisioni che avvengono quando la palla rimbalza sul terreno non tutta l’energia cinetica rimane in essa sotto forma di moto coerente: una parte va “dissipata” al contatto dei suoi atomi con il terreno; l’energia ha perso la coerenza della direzione del moto degli atomi (Fig. sottostante, a destra: moto incoerente delle particelle della palla -in rosso- e del terreno -in giallo- durante i rimbalzi).

Infine, quando la palla è ferma, il moto delle sue particelle ha in- finite direzioni: non esiste una direzione privi- legiata.

L’energia della palla, del terreno, eccetera, si conserva, ma non essendoci alcun movimento netto, il moto risulta incoerente, ed è chiamato moto termico. L’energia cinetica ordinata si è trasformata in energia interna disordinata del sistema palla-terreno, distribuita, ovvero dispersa. L’energia ha conservato la sua quantità ma non la sua qualità. Essa si è “degradata” e l’universo è più disordinato di prima. In musica, con “ordine” si intende quell’insieme di strutture che rendono possibili le aspettative del pubblico, tutto ciò che all’ascoltatore può dare dei punti di riferimento, anche sfocati, solo accennati, o appena, e faticosamente, intelligibili. Ma come definire una musica “ordinata”? Sarà ordinata quella musica in cui i suoni, i silenzi, le armonie, ed i singoli musicisti formeranno un “movimento” coerente come quello delle particelle della palla da baseball in volo. Quindi la musica di un gruppo di artisti, sia esso un’orchestra sinfonica o una jazz band, che hanno buon feeling tra loro…la musica la cui armonia risponda ad una qualche regola, e tutta la musica che riesca a produrre comunicazione sarà ordinata. In questi casi la comprensione:

“è possibile, anche se ardua, e questa possibilità ricorre ogni qualvolta nel continuo sonoro sono riconosciuti […] dei temi strutturali e / o ritmici, delle linee di tensione, che costituiscono […] principi di organizzazione. In questi casi l’entropia del sistema non è tanto alta da non lasciare intravedere delle strutture, sia pur gracili, e un codice, naturalmente personalissimo, viene utilizzato dall’artista e viene individuato dal fruitore. In questi casi la comunicazione ha luogo”.

Prendiamo dei casi che possono considerarsi musica ordinata. Nel blues, ad esempio, si ha una “indifferenza armonica”, cioè ci troviamo spesso a suonare una scala minore su un accordo maggiore, giocando proprio sulle cosiddette blue notes. In questi casi è come se suonassimo in due “opposte” tonalità contemporaneamente. Questo è sicuramente un caso di disordine simile ad un altro esempio estrapolato dal principio dell’entropia: un gas che si espande liberamente raddoppiando il suo volume ci impedisce, terminata la sua espansione, di trovare con certezza i

Ordine e disordinesuoi atomi che erano tutti precedentemente disposti nella prima metà del contenitore. In figura, a sinistra abbiamo il gas “ordinatamente” collocato nella sinistra del contenitore, a destra abbiamo il gas espanso “disordinatamente” collocato ovunque.
Nel caso della musica avremmo la seguente situazione (v. figura sottostante): a sinistra abbiamo le due tonalità ordinatamente ed

asimmetricamente disposte, a destra non possiamo più sapere se la tonalità di do maggiore si “trova” a sinistra o a destra del contenitore. Mib e sib sono le due blue notes che causano questa situazione. Se avviciniamo la dicotomia maggiore-minore a quella vero-falso nella logica classica potremo interpretare il caso del blues come situazione fuzzy. Il blues, nel suo complesso, risulta però ordinato per i suoi accenti, i suoi tipici controtempi asimmetrici che ne fanno una musica piacevole, semplice quanto profonda, e comprensibile.

Nel caso della dodecafonia, invece, tutte le tonalità sono “mescolate”, esiste una sola “tonalità”. Tra la musica ordinata, la dodecafonia sembrerebbe certo la più disordinata, ma l’entropia prodotta dalla pantonalità – Schoenberg rifiutò sempre di definire la sua musica atonale – è più che bilanciata dall’ordine prodotto dalla serie, materia “microcosmica della dodecafonia”. Complessivamente, la dodecafonia risulta quindi musica ordinata. «Schoenberg combatte un sistema, ma non la necessità di un nuovo ordine che, come quello passato, tende ad un ordine superiore: può darsi che questo ordine possa aver seguito “in qualche caso, la volontà della natura”; tuttavia “l’origine storica è un fenomeno diverso dall’origine naturale”: essa “serve solo a constatare in quale ordine e per quale via quelle armonie sono entrate nella musica, ma non in quale rapporto stanno con lo scopo ultimo dell’attività dell’uomo” (Arnold Schoenberg, Manuale di armonia, cit., pag. 398)».

Altro caso è il sestetto inserito da Mozart nel terzo atto delle Nozze di Figaro: se sei persone parlassero contemporaneamente, chiunque impazzirebbe se cercasse di capire ciò che stanno dicendo: saremmo in una situazione di entropia massima, e non potremmo parlare di musica, ma di rumore. Grazie alla musica è possibile seguire sei cantanti contemporaneamente perchè questi sei cantanti sono nella stessa condizione delle particelle della palla da baseball quando è in volo: questa musica dà loro delle regole, delle strutture, in modo che il gruppo sia coerente e ordinato. Mozart ha fatto tesoro della lezione del contrappunto e ci regala un meraviglioso esempio di musica ordinata.

Se il blues, la dodecafonia, ed il sestetto mozartiano sono esempi di musica diversamente ordinata, il free jazz – improvvisazione libera e collettiva – si  pone come confine tra l’ordine ed il disordine. Ornette Coleman, nel suo Free Jazz,mantiene il minimo di struttura e di convenzioni per non scivolare nel caos. Per l’occasione egli riunì un “doppio quartetto”: nel primo c’erano Ornette Coleman (sassofono alto), Don Cherry (tromba), Scott LaFaro (contrabbasso), Billy Higgins (batteria); nel secondo c’erano Eric Dolphy (clarinetto basso), Freddie Hubbard (tromba), Charlie Haden (contrabbasso), Ed Blackwell (batteria). La copertina originale del disco riportava un’opera di Pollock. Coleman, come Pollock, riteneva che l’intuizione artistica emergesse dal caos proponendosi come ordine – bellezza. Con queste premesse l’entropia non poteva costituire un rischio: per evitare completamente questo pericolo egli decise di incidere il primo quartetto sul canale sinistro, il secondo sul canale destro – ordinata asimmetria paragonabile all’esempio del gas quando si trova tutto nella parte sinistra del contenitore. Coleman dette ai suoi collaboratori pochissime direttive, solo alcune vaghe, elastiche indicazioni. Le sue erano pur sempre strutture; non propose disordine, propose un ordine diverso, non l’anarchia, ma una diversa organizzazione. Cecil Taylor, nel suo Conquistador, cercò, a nostro modesto avviso, qualcosa di impossibile: produrre informazione attraverso il disordine. Sembra quasi che questo grande pianista, i cui lavori solistici rimangono artisticamente ineguagliati, abbia tentato di realizzare l’utopia anarchica. In Conquistador sentiamo fraseggi che si sommano senza un perché, senza dare all’ascoltatore la possibilità di apprezzarli nella loro differenza reciproca, ritmi senza tempo, accenti casuali, in una parola: caos.

Come abbiamo visto, con la musica si può produrre, localmente, sia ordine che disordine, ma, in questo caso – stranamente, possiamo avvalerci di una certa reversibilità. La musica è una passeggera privilegiata della freccia del tempo: la musica è nel tempo, ed il tempo è in essa. Questo saldo legame fa sì che da situazioni di disordine musicale, si possa tornare a situazioni di ordine: in un blues, ad esempio, dopo aver suonato il tema del brano, possiamo improvvisare un a solo che contenga le blue notes, ponendo disordine a livello tonale, per poi tornare all’ordine (vedi fig. sotto) della melodia del tema (…il pubblico applaude).

Nel sestetto di Mozart, altro esempio, le sei voci che cantano contemporaneamente generano comunque, nonostante sia un caso di musica ordinata, più disordine rispetto ad una voce singola; Mozart, infatti, vi pospone un recitativo (atto III, scena VII) in cui due attori cantano uno alla volta, riconducendo la partitura ad una situazione ordinata.

Sembra quasi che la musica ci piaccia perché grazie a questa ci possiamo permettere di “giocare” versus natura. Con la musica siamo saldamente legati alla nostra – nostra in quanto specie umana – freccia del tempo che ci spinge verso l’ordine…nel mentre possiamo “mascherarci” da esseri disordinati, usare le blue notes, costruire sestetti, sicuri di poter tornare, quando vogliamo, a situazioni neg-entropiche: una vittoria (apparente e “temporanea”) contro la irreversibilità della Natura. Così Ligeti, parlando del suo brano, significativamente intitolato Désordre, allude alla possibilità di generare reversibilmente disordine musicale:

«My knowledge of the super-fast “elementary pulse” in African musical thinking made the polyrhythm (and “polytempo”) in the  Étude possible. But I am using only an idea from African notions of movement, not the music itself. In Africacycles or periods of constantly equal length are supported by a regular beat (which is usually danced, not played). The individual beats can be divided into two, three, sometimes even four or five “elementary pulse” as an underlying gridwork. I use the same principle in Désordre for accent shifting, which allows illusory pattern deformations to emerge: the pianist plays a steady rhythm, but the irregular distribution of accents leads to seemingly chaotic configurations. Another fundamental characteristic of African music was significant to me: the simultaneity of symmetry and asymmetry. The cycles are always structured asymmetrically (e. g. twelve pulses in 7 + 5), although the beat, as conceived by the musician, proceeds in even pulses. Further influences that enriched me come from the field of geometry (pattern deformation from topology and self-similar forms from fractal geometry), whereby I am indebted to Benoît Mandelbrot and Heinz-Otto Peitgen for vital stimulus» (Dalle note dello stesso Ligeti al CD Album György Ligeti, Works for piano, Sony Classical, SK 62308 1996, pagg. 10-11, il corsivo è nostro). Riportiamo di seguito le prime due righe della partitura del Désordre di Ligeti (da Études pour piano, Premier livre). Comprendiamo subito le scelte che assicurano l’ordine – tra cui l’asimmetria tra la mano destra che suona in do maggiore, e la sinistra che suona in si maggiore – e ciò che allude all’illusorio disordine: come ci ha anticipato l’artista nelle note al CD Album, nonostante “il pianista suoni un ritmo regolare (steady), la irregolare distribuzione di accenti conduce apparentemente a configurazioni caotiche”.

 

L’ordine di cui abbiamo parlato non è quindi qualcosa di precostituito ma una tendenza, un movimento, un qualcosa al quale possiamo tendere, o dal quale possiamo allontanarci, provocando in chi  ascolta profondi aspettative; nella sicurezza che tutto questo si risolverà – solo in musica! –, meglio se senza preavviso, in uno stato di ordine: la quiete dopo la tempesta. Una maestra nel generare queste tensioni elastiche è stata sicuramente Billie Holiday, che cantava “sempre in ritardo sul tempo, per poi accelerare, cadendo perfettamente sulla battuta”.

Il free jazz suonato in Conquistador, a differenza di quello di Ornette Coleman, non si avvale di questa virtuale reversibilità, ma resta fermo, con il suo incessante movimento, in uno stato di disordine: la libera improvvisazione è quindi il limite musicale tra entropia positiva e negativa. Così Arrigo Polillo:

Ascoltando alcune esecuzioni di free jazz c’è da chiedersi da qual punto in poi il livello di ordine strutturale può ritenersi sufficientemente alto perché si possa parlare di arte – e, prima, di comunicazione nel senso pieno del termine, e cioè non di mera trasmissione di stimoli”.

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