#nessunascusa – La loro “libertà” si chiama diritto, la loro fortezza è il Capitale

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C’erano tante persone martedì in piazza a Firenze per dare una risposta dopo la sentenza di appello del tribunale, in seguito ai fatti della Fortezza. Associazioni, gruppi politici autorganizzati, qualche partito e molte “persone comuni”. Fa sicuramente piacere sapere che, nonostante il poco tempo a disposizione, i mille impegni e l’apatia generale, ci sia stata una presenza simile, specie in una città così propensa alle chiacchiere e così poco concreta come Firenze.

Tuttavia vorremmo richiamare l’attenzione dei lettori, dopo aver partecipato al corteo, su alcuni punti che ci sono sembrati controversi, vista la complessità della situazione e la nostra allergia alle facili partigianerie.

La loro Fortezza, il capitale

Ancora oggi, nel 2015, viviamo tutti in una società violenta, che ha come unico obiettivo il profitto: per questo usiamo spesso il termine “rapporto sociale”, perchè di rapporto tra persone si tratta effettivamente. Noi tutti sappiamo che da questa priorità altrui (il profitto) dipendono le nostre vite, quindi il riflesso dell’economia diventa, sui nostri corpi e sulle nostre menti, un marchio “di fabbrica” riscontrabile tanto nelle varie patologie e sensazioni di cui tutti soffriamo (ansia, allergie, stress, depressione) quanto nelle nostre azioni. Di queste ultime l’elenco è molto lungo e in tal senso siamo tutti parte lesa: dalla competizione sfrenata per un posto di lavoro, quindi di un salario col quale comprare quel che ci serve per vivere, alla violenza vera e propria che esercitiamo contro noi stessi come contro gli altri, fisica e psicologica, repressa o provocata. Purtroppo anche lo stupro rientra tra queste eventualità, il che non significa essere omertosi in tali casi, anzi: fortuna che il tutto non è passato sotto silenzio ! Il problema è che questi eventi non sono un caso isolato e vanno ricondotti alla loro dimensione complessiva, non essendoci una effettiva libertà nel nostro rapporto con la sessualità.

La loro “liberta” (il diritto) e la nostra

Pensiamo che invocare il carcere per le persone coinvolte o una “sentenza giusta”, non c’entri nulla con i fatti della Fortezza e, anzi, mostri quanto ancora siamo assoggettati non solo alla Fortezza del Capitale, quella gabbia che diciplina le nostre vite, ma anche alla sua ideologia, quella dello Stat-us qu-o. Il carcere fa parte di questo regime sociale, in tutto il mondo, ed è un luogo doppiamente disumano: invocarlo equivale ad aderire a questa impostazione; la stessa cosa si può dire rispetto alla fiducia nel diritto stesso, dal momento che è proprio il diritto ad essere una sintesi delle istanze sociali, ma sempre al ribasso, dal momento che la priorità ce l’hanno le esigenze della classe dominante (ad oggi). Chiedere ai morti di amianto e a tutte le vittime delle stragi di Stato, se si vuole una conferma.

Noi dovremmo invece sostenere che l’essere umano non è “cattivo per natura”, come pretendono di insegnarci, ma che è lo specchio del mondo in cui vive, riflette ciò che c’è indipendentemente dalla volontà del singolo, da qui l’inutilità di voler “fare un bel processo” o dimenarsi alla ricerca dell’unico o degli unici “colpevoli” di un singolo caso. Gli adoratori del diritto non aspettano altro, dato che così la loro società non verrà messa in discussione, quindi (quella sì) processata e infine superata.

Se si accetta il piano dei “diritti”, bisogna poi anche accettare il “diritto del più forte” e questo può essere tanto lo Stato, quanto uno sfruttatore, entrambi, come di altro tipo. Affermare ciò non significa certo sottrarsi alle proprie responsabilità sociali o pensare che non esistano parti in causa, ma ricondurre il caso particolare al contesto generale.

Sarebbe “andata bene” un’altra sentenza,“moralmente inattaccabile”? Secondo noi no, in quanto non solo, come già detto, non possiamo riporre alcuna fiducia in chi promuove la società vigente, ma soprattutto perchè la questione, ci perdonino i nostalgici di Berlinguer, non è certo morale…. è’ di classe, oltre che di genere ! Lo riconosce indirettamente anche il giudice nella sentenza, bigottismo a parte.

Cosa possiamo fare noi, da ora in avanti

Se iniziamo a prender coscienza delle nostre necessità e dei nostri bisogni, potremo porre un primo sassolino verso la libertà effettiva, difendendo quelli che potremmo chiamare “i nostri interessi”, ma non basta.

In città, in questo paese e nel mondo, tante sono le questioni che ci riguardano e che ci toccheranno domani: possiamo però interrogarci su come politicizzare ogni argomento in questa direzione e affermare che non è tanto un nostro “diritto” ad esser messo in discussione dai nostri aguzzini (aborto, lavoro, salute, divorzio, ecc) ma la nostra stessa esistenza. La società in cui siamo ha già tutto quello che potrebbe servirci per vivere insieme nell’abbondanza superando tutti i drammi sociali, ma una minoranza, meno dell’1% nel mondo, ha ormai nelle sue mani il 50% della ricchezza e delle risorse. Questo piccolo gruppo di ricchi scarica su di noi tutte le conseguenze negative, mentre i suoi mezzi di informazione, i suoi think tank, i suoi esperti, ci dicono che “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità” e tocca mettersi in fila per “prendere l’ascensore sociale”, quando passa.

Se staremo ad aspettare che questi, gli stupratori delle nostre vite, ci facilitino l’impresa perchè reclamiamo diritti, probabilmente faranno prima loro a far terra bruciata.  Dobbiamo organizzarci, non sarà questione di libertà di scelta, ma di necessità come esseri umani.

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