Comunicato sull’assemblea dei metalmeccanici del 19 dicembre a Bologna

Sabato 19 dicembre si è svolta la seconda assemblea nazionale autoconvocata dei lavoratori metalmeccanici presso la sede del SI-Cobas di Bologna.

Presenti delegazioni di alcune importanti fabbriche: Fiat di Pomigliano, Fincantieri di Marghera, Officine Carraro di Padova, Titan di Bologna, Carpigiana di Modena e piccole aziende metalmeccaniche di Modena, mentre rappresentanti dalla FCA di Melfi e Termoli, pur avendo dato la loro adesione all’iniziativa, sono stati impossibilitati a partecipare a causa di contrattempi personali o lavorativi (nel caso di Melfi, tempio del “modello-Marchionne”, agli operai e agli stessi delegati sindacali vengono quasi sempre negate le richieste di permesso sindacale…).

Durante l’assemblea, che si proponeva di andare oltre la pur importantissima scadenza del rinnovo del CCNL metalmeccanici e di costruire un collegamento reale con le lotte sviluppate nelle altre categorie (in primo luogo la logistica), è emersa in più interventi la necessità di veicolare all’interno delle fabbriche i contenuti e le parole d’ordine lanciate dall’appello, sviluppando ove possibile momenti di discussione e azione congiunta a livello cittadino o provinciale.

Al contempo, da più parti è emersa la necessità di non limitare l’azione a un piano rivendicativo-sindacale: la portata dell’attacco sferrato dal governo col Jobs act e la stessa impalcatura ideologica su cui fanno leva le associazioni padronali in occasione della tornata di rinnovi contrattuali assumono una valenza politica generale per tutta la classe.

L’impianto della proposta (ma sarebbe meglio dire diktat) di Federmeccanica è tutto volto a scardinare il concetto stesso di contrattazione nazionale: sempre più centralità ai livelli territoriali e aziendali, nessun aumento salariale e addirittura la restituzione di 75 euro ai padroni a titolo di differenza tra l’inflazione reale e quella programmata nell’ultimo triennio, il tutto sullo sfondo della oramai consueta volontà di ancorare i salari alla produttività, quindi all’aumento dei ritmi e dello sfruttamento in fabbrica.

Tutto ciò in un contesto in cui la conflittualità nelle fabbriche è resa ancor più difficile dalle norme introdotte dal Jobs Act che precarizzano e rendono ricattabili a vita i neoassunti, riducono i lavoratori a tempo indeterminato a favore di contratti a tempo determinato da trasformare poi dopo 6 mesi in contratti a tempo indeterminato a “tutele crescenti” (per rendere sempre precaria la condizione operaia con la riduzione del salario complessivo di una forza lavoro sempre piu’ ricattabile e flessibile), e dallo scandaloso accordo sulla rappresentanza sindacale del 10 gennaio 2014 che sancisce per decreto l’esclusione delle lotte dei lavoratori e dei sindacati combattivi dai tavoli di trattativa e limita fortemente il diritto di sciopero.

Stiamo dunque assistendo a un vero e proprio assalto alla diligenza da parte di un padronato sempre più arrogante nella propria furia antioperaia, cui fa da contraltare la solita resa incondizionata di FIM-UILM-UGL e la balbettante complicità della stessa Fiom.

L’azione della “sinistra” interna di quest’ultima, che viene ancora vista come punto di riferimento degli operai più combattivi, sembra finalizzata unicamente a riconquistare uno strapuntino ai tavoli di trattativa con una “presunta” lotta di classe proprio a partire dal rinnovo del CCNL: non è un caso che la stessa dirigenza Fiom, per dar prova di credibilità e di affidabilità di fronte ai padroni, in questi mesi è giunta al punto di boicottare gli scioperi indetti dalle sue stesse RSA, come accaduto negli stabilimenti FCA di Melfi e Termoli, depotenziando così le iniziative degli operai più combattivi e i loro sforzi di dare vita a dei reali coordinamenti di lotta.

In sintesi, al di la dei contenuti della piattaforma e delle dichiarazioni rese sui media da Landini, i fatti ci dicono in maniera inequivocabile che la maggioranza del gruppo dirigente Fiom dopo avere approvato perfino il pessimo contratto dei chimici, sta progressivamente rinunciando ad usare la stessa arma dello sciopero, che resta per noi, più che mai, l’unica efficace forma di lotta contro i piani dei padroni e del governo Renzi. Davanti a questo sempre più palese e completo rientro nei ranghi della FIOM, la “sinistra” interna alla FIOM, se non vuole ridursi a cianciare su quella che dovrebbe essere in astratto una lotta di classe vera, è chiamata a confrontarsi con iniziative come la nostra per tracciare in concreto una reale alternativa alla resa delle burocrazie sindacali, quella della FIOM inclusa.

In queste settimane, nonostante il clima tutt’altro che favorevole, in importanti realtà di fabbrica si sono manifestate delle spinte ad opporsi con la lotta all’offensiva padronale, che in alcuni casi hanno portato anche alla bocciatura della piattaforma Fiom nei referendum indetti tra i lavoratori.

Questi importanti segnali di disponibilità al conflitto restano tuttavia confinati nelle singole officine e sono tuttora privi di uno strumento organizzativo politico-sindacale che sappia coordinare e collegare i lavoratori combattivi su un piano nazionale: l’iniziativa del 19 a Bologna si proponeva esattamente questo scopo, puntando a costruire una piattaforma di lotta dal basso che indipendentemente dall’appartenenza a questa o quella sigla sindacale o politica punti a sviluppare una mobilitazione nazionale per la riduzione dell’orario di lavoro a salario pieno e la garanzia di salario ai lavoratori disoccupati.

Nel corso del dibattito è stato significativo il contributo degli operai della logistica, protagonisti di lotte e scioperi che quasi quotidianamente vedono protagonisti migliaia di lavoratori in tutta Italia, i quali hanno lanciato un appello ai metalmeccanici (presenti e non in sala) per costruire un fronte di lotta unitario.

 Una volontà che ha accomunato gran parte degli interventi dei metalmeccanici, dai licenziati Fiat agli operai Titan di Bologna e Fincantieri di Marghera fino ad arrivare a Francesco Doro, operaio delle officine Carraro di Padova, membro del comitato centrale della Fiom ed esponente del Partito comunista dei lavoratori, recentemente colpito da provvedimenti disciplinari tesi a reprimere la sua attività sindacale.

Per rispondere alla repressione e ai licenziamenti politici che hanno colpito e continuano a colpire ogni giorno delegati e lavoratori combattivi, diviene sempre più urgente e improcastinabile la nasciata di un coordinamento dei lavoratori in un fronte unito sostenuto da una cassa di resistenza unificata.

Tuttavia, la strada da percorrere è ancora lunga e impervia: alle difficoltà legate alla fase generale si sommano la ritrosia di gran parte delle sigle del sindacalismo di base e combattivo (sempre meno) a dar vita a fronti di lotta unitari che vadano oltre il proprio orticello, testimoniate dal fatto che gli operai intervenuti al dibattito l’hanno fatto a nome della propria fabbrica o della propria area o organizzazione politica.

Da parte nostra, pur tra innumerevoli ostacoli intendiamo proseguire sulla strada dell’unificazione delle lotte e delle vertenze fin dalle prossime settimane: la crisi del capitalismo e i venti di guerra che spirano oramai a livello mondiale dimostrano che questo sistema, in Italia e non solo, non ha altro da offrire agli operai se non sfruttamento, fame, miseria e morte. Alla guerra dei borghesi e dei loro governi si può solo rispondere con battaglie unificanti della forza lavoro occupata, disoccupata e precaria per una prospettiva classista e non solo di difesa economica.

Sta a noi organizzarci e prendere l’iniziativa nelle nostre mani.

COMITATO DI SOSTEGNO AI LAVORATORI FINCANTIERI
COMITATO DI LOTTA CASSINTEGRATI E LICENZIATI FIAT
COMITATO OPERAI AUTORGANIZZATI TERMOLI
SI COBAS NAZIONALE

da http://sicobas.org/

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