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pubblicato il 21.12.11
Il professore, il barone e i bari. Il caso Tolkien e le strategie interpretative della destra
·
POST SCRIPTUM POST-STRAGE.
Nel lungo articolo che segue, WM4 analizza soprattutto la raccolta di saggi «Albero» di Tolkien (Bompiani, 2007, a cura di Gianfranco De Turris), che raduna il gotha della pseudo-tolkienologia di estrema destra.
Avevamo appena terminato l'impaginazione, ieri pomeriggio, quando ci è giunta la notizia: uno degli autori del suddetto libro, Gianluca Casseri, aveva compiuto un massacro razzista a Firenze, uccidendo a colpi di arma da fuoco due ambulanti senegalesi e ferendone gravemente altri tre. Inseguito dalle forze dell'ordine, l'assassino si era infine suicidato.
Ad «Albero» di Tolkien Casseri aveva contribuito con il testo «Frodo Baggins, l'eroe che non ha fallito».
Dedichiamo la nostra piccola opera di controinformazione a Samb Modou, Diop Mor, Moustapha Dieng, Sougou Mor e Mbenghe Cheike, vittime dell'odio fascista. Mentre scriviamo, gli ultimi tre lottano ancora per la vita.

«In fin dei conti, l??opera di Tolkien non è una pagina bianca sulla quale si possa scrivere qualsiasi cosa: al suo interno vi sono precisi concetti impliciti e talvolta anche espliciti.»
Brian Rosebury, «Tolkien, un fenomeno culturale» (Marietti, 2009)

1. Cultura di destra

L??idea di questo articolo nasce dalla recente ripubblicazione di un testo del 1979 di Furio Jesi, Cultura di destra (Nottetempo, 2011), e dalla constatazione di come il caso ??Tolkien in Italia? verifichi proprio certi approcci culturali praticati dalla destra, che Jesi analizzava in quel saggio. Non si tratta di una coincidenza. Jesi prendeva in esame, tra gli altri, l??operato del barone Julius Evola, cultore del ??simbolismo tradizionale?, nonché padre putativo di diversi ammiratori nostrani dell??opera di Tolkien.
Non ripercorrerò qui la storia della mistificazione tolkieniana in Italia e le modalità del suo perpetrarsi, se non altro perché esiste già una ricostruzione fatta da Lucio Del Corso e Paolo Pecere: L??anello che non tiene. Tolkien fra letteratura e mistificazione (Minimum Fax, 2003). A essa si può rimandare per quanto riguarda l??approfondimento del pensiero tradizionalista alle prese con questo autore.
Vorrei invece mostrare alcuni esempi concreti della tecnica di lettura messa in atto dai critici di destra, e utilizzata per erigere un??impalcatura ideologica intorno a Tolkien.

2. Idee senza parole

Jesi trae l??espressione ??idee senza parole? da Oswald Spengler, per riferirsi all??importanza che nella cultura di destra assume la conoscenza della radice primigenia della realtà, raccolta nel segreto inesprimibile, un livello esoterico di consapevolezza a cui solo pochi possono accedere [1]. L??azione conoscitiva razionale viene sostituita da un cammino iniziatico. Tappa fondamentale di questo cammino è cogliere l??essenza dei simboli che ritornano in ogni cultura e fase storica. Tale essenza è per definizione eterna, e compito dell??eletto è precisamente quello di scremare le incrostazioni storiche, contingenti, per recuperare la purezza dell??idea incarnata nel simbolo.
Se dunque i simboli celano un??essenza recondita che prescinde dal contesto (e per la quale le parole saranno comunque insufficienti), va da sé che, come fa notare Jesi, i collegamenti possibili diventano pressoché infiniti, si tratta soltanto di associare le idee in un certo modo:

«I simboli riposanti in se stessi sono, come s??è detto, suscettibili di infinite letture esegetiche. Il fatto di possedere un senso conchiuso nella propria pura presenza sembra quasi conferire loro una amabile disponibilità a lasciarsi usare: tanto, nulla li tocca nel loro vero.» [2]

Questo tipo di approccio al simbolismo è tanto più paradossale quando si applica a un??opera narrativa, cioè a una storia che ha uno svolgimento e un??interconnessione tra ogni sua parte.
Prendiamo, per esempio, il saggio di Sebastiano Fusco «L??uso del simbolo tradizionale in J.R.R.Tolkien», contenuto nella raccolta curata da Gianfranco De Turris ??Albero? di Tolkien (Bompiani, 2007).
Secondo l??autore, Tolkien sapeva «maneggiare i simboli tradizionali con una profondità di conoscenza e soprattutto una capacità di farne oggetto di narrativa non raggiunta da nessun altro autore di romances dall??epoca di Chrétien de Troyes e Wolfram von Eschenbach» [3]. Gli esempi portati a sostegno di questa roboante affermazione sono tre (sic!): la spada di Aragorn; la caduta e risalita di Gandalf dall??abisso di Moria; il salvataggio del medesimo Gandalf da parte di una gigantesca aquila.
«La spada simboleggia la regalità vista come qualità superiore dell??uomo [?] più che comune, [?] persona che si innalza sulla volgare gleba». La trasformazione di Gandalf da Grigio in Bianco sarebbe descritta da Tolkien «come una vera e propria operazione alchemica» [4]; infine il volo in groppa all??aquila sarebbe un simbolo di ??elevazione spirituale? [5].
Innanzi tutto è evidente che se la presenza di una spada regale bastasse a fare di Tolkien un simbolista, allora il primato attribuitogli da Fusco sarebbe insidiato da migliaia di romanzieri e cineasti. Quanto all??innalzamento ??sulla volgare gleba?, è ben difficile che possa essere la qualità di un personaggio del Signore degli Anelli, romanzo i cui protagonisti sono gli Hobbit: esseri minuti, legati proprio alla terra. Ma il vero paradosso è pretendere di verificare l??uso consapevole dei simboli da parte di Tolkien rinvenendo riferimenti alchemici nelle sue storie, quando non risulta che Tolkien si sia mai interessato di alchimia. Tant??è che le implicazioni di tale simbologia ai fini dello sviluppo della vicenda restano inspiegate. Riguardo all??aquila, poi, in molti miti è un animale associato alle divinità celesti: se proprio si volesse trovare un riferimento simbolico, il salvataggio di Gandalf richiamerebbe l??intervento divino che giunge dall??alto, più che un??elevazione spirituale dell??uomo. Per altro, nel ciclo dell??Anello quella non è la prima né l??ultima volta che le medesime aquile salvano i protagonisti dalle peste (e per Gandalf è almeno il secondo passaggio aereo). Evidentemente questo delle libere associazioni simboliche è un gioco che lascia la fantasia libera di galoppare un po?? dove le pare.
Prosegue Fusco:

«Potrei continuare a lungo con notazioni analoghe, ma sarebbe opera immensa: non c??è pagina, non c??è frase in Tolkien che si sottrarrebbe a uno scrutinio del genere» [6].

In effetti questo è vero, e si può aggiungere che non c??è frase in tutta la letteratura che potrebbe sottrarvisi, poiché di ogni cosa, se astratta dal suo contesto narrativo, si può fare simbolo di qualcos??altro. Ancora:

«Può verificarlo chiunque ?? avendo una qualche conoscenza del simbolismo tradizionale acquisita ad esempio attraverso la lettura di opere come La Tradizione Ermetica di Julius Evola o Simboli della Scienza Sacra di René Guénon ?? si ponga a rileggerne i testi con l??animo di chi voglia coglierne queste connessioni» [7].

Insomma, chi cerca il simbolo lo trova.
Infine, Fusco contraddice la premessa iniziale affermando di non credere che «Tolkien si sia reso pienamente conto della elaborazione simbolica che la sua fantasia gli andava suggerendo», e che l??attitudine di Tolkien per il simbolismo sarebbe ??innata? e ??inconsapevole? [8]. Nessuna ??profondità di conoscenza? dunque: Tolkien avrebbe inserito il simbolismo nella propria opera inconsciamente. L??autocontraddizione non sembra turbare l??autore del saggio, che ci spiega come «fu Julius Evola a notare che molti di questi scrittori ??parlavano dell??Arte Regia senza rendersene conto??. Anzi, in loro forse la voce della Tradizione si esprime nel modo più puro, perché non è filtrata attraverso intenti didattici né offuscata da censure razionalistiche» [9].
E?? tutto chiaro: il racconto non è altro che un vettore di simboli, i quali trascendono la storia che l??autore ha scritto e il senso stesso della narrazione.

3. Personaggi senza trama


Il discorso è ancora più evidente per i personaggi dei romanzi di Tolkien. Se astraiamo le figure eroiche dalla pagina, è facile farle combaciare con i modelli del mito, invece di considerarle per quello che sono: declinazioni narrative, cioè originali o perfino critiche, dei suddetti modelli.Prendiamo ad esempio un altro saggio della raccolta già citata: Errico Passaro, La figura dell??eroe in Tolkien. Qui Aragorn viene identificato con l??eroe ??tradizionale?, che «partecipa della natura divina» e che «nasce, vive e muore come un eroe, senza un??esitazione o un crollo, pienamente e fermamente conscio dei diritti e dei doveri connessi al suo status» e per il quale la spada «è strumento per dispensare vita e morte secondo giustizia». In questo senso la sua figura assomiglierebbe «più ad un re e ad un eroe pagano, legato ad un??etica guerriera senza mezzi termini» [10].
Ora, la figura di Aragorn è senz??altro archetipica, ma è anche calata in una trama. La prima cosa che salta agli occhi dunque è la moderna umanità del personaggio che si discosta dalla monodimensionalità degli antichi eroi. Su tutto valga la sua consapevole inadeguatezza come capo della Compagnia, l??indecisione e il fallimento in quel ruolo, risolti soltanto dalla scelta unilaterale di Frodo di proseguire il cammino da solo, alla fine della prima parte del Signore degli Anelli. E questo ci ricorda che l??impresa dell??Anello ?? il viaggio di andata e ritorno attraverso la terra desolata, per riportare la salvezza collettiva, la vita, dalla morte ?? non tocca all??eroe ??solare? Aragorn, ma a una coppia di ??mezzuomini?. Le prove a cui Aragorn viene sottoposto lo reintegrano nella regalità a cui è destinato, ma non garantiranno la salvezza del mondo: occorrerà il sacrificio di Frodo, la tenacia di Sam, e perfino l??intervento provvidenziale di Gollum (con il quale Aragorn, al contrario degli hobbit, non è riuscito a relazionarsi). L??archetipo dunque è sì abilmente riprodotto, ma si presenta fuori centro e intaccato da elementi spuri, nondimeno decisivi.
Quanto alla spada dispensatrice di giustizia, si pensi alle parole di Gandalf a proposito dell??eventualità di uccidere l??infido Gollum:

«Molti tra i vivi meritano la morte. E parecchi che sono morti avrebbero meritato la vita. Sei forse tu in grado di dargliela? E allora non essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi: sappi che nemmeno i più saggi possono vedere tutte le conseguenze» [11].

Dunque non spetta agli uomini, nemmeno ai più saggi, giudicare. Nel Signore degli Anelli la spada, qualunque cosa le si voglia far simboleggiare, è uno strumento di difesa contro le schiere dell??Ombra, non di giustizia. Ciò che gli uomini invece possono esercitare è la pietà, come sottolinea ancora Gandalf [12]. Ma forse è una qualità che non si addice all??eroe dei tradizionalisti, i quali non mancano di ricordare che perfino Frodo ?? identificato con «l??eroe moderno [?] che sintetizza i valori religiosi cristiani» -, «in più di un episodio usa Pungolo in maniera convinta ed efficace, dando un contributo essenziale alla risoluzione armata degli scontri» [13]. Una considerazione che sarebbe almeno in parte condivisibile se non si fondasse sull??esempio sbagliato, tralasciando ancora un dettaglio significativo, e cioè che proprio nell??ultima battaglia Frodo rifiuta di sguainare Pungolo. Ma abbiamo visto che valutare la parabola di un personaggio nel suo insieme non è esercizio a cui il lettore simbolista sia interessato [14].

4. Parole senza traduzione

Laddove la lettura selettiva e la citazione monca non bastano, ai lettori tradizionalisti non resta che ricorrere all??elisione di parole, temi e addirittura interi testi dell??autore. Per quanto riguarda Tolkien questa necessità si verifica quando si tratta di affrontare il complesso rapporto tra paganesimo e cristianesimo presente nella sua produzione narrativa e saggistica.
Tralasciando i più sprovveduti, che si spingono a definire la cosmogonia del mondo tolkieniano come ??univocamente? politeista [15] (smentiti da ogni versione redatta del mito della creazione di Arda, in base al quale in principio esisteva Eru, l??Uno, chiamato anche Ilùvatar, che creò per primi gli Ainur), va detto che la tendenza dei commentatori evoliani è piuttosto quella di rinvenire il simbolismo cristiano nell??opera di Tolkien soltanto per ricollegarlo alla fantomatica Tradizione. Entrando nel merito delle loro interpretazioni infatti si fatica a trovare traccia di temi come la pietà, la provvidenza, ??le piccole mani? che agiscono «per necessità, mentre gli occhi dei grandi sono rivolti altrove» [16]. Occorre qui ricordare che esiste anche una lettura confessionalista dell??opera di Tolkien, la quale si distingue da quella evoliana [17]. Quest??ultima infatti chiama in causa il cattolicesimo conservatore di Tolkien per rivendicare il suo essere ??di destra?, ma poi, presentandolo come un nostalgico del paganesimo, rende lineare quello che nella sua poetica è un passaggio problematico:

«Cioè ?? si deve intendere ?? un cattolico (romano) che non aveva affatto dimenticato le proprie radici pagane delle quali non provava certo vergogna e che nella Realtà Secondaria dei suoi capolavori aveva voluto recuperare i valori di quel mondo ormai irrimediabilmente perduto delle origini, con tutti i suoi eroismi e con tutti i suoi lati negativi, per non lasciarlo abbandonato all??oblio della storia e degli uomini?» [18]

Un??affermazione di questo tipo passa sotto silenzio la questione che almeno da metà anni Trenta animò la narrativa di Tolkien, vale a dire la creazione di un modello eroico che potesse superare la contraddizione tra paganesimo e cristianesimo, separando i lati negativi da quelli positivi. Si tratta di fingere che Tolkien non abbia mai scritto un testo come Il Ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm (1953), vero e proprio j??accuse contro l??ideologia eroico-aristocratica retaggio del paganesimo, nonché contro la perniciosità della tradizione epica se assunta acriticamente come fonte di ispirazione per le gesta dell??eroe [19]. Ma del resto, gli elementi di questa riflessione sono già rintracciabili ne Lo Hobbit e vengono fissati nel Signore degli Anelli.
E?? evidente che le figure eroiche tolkieniane non ricalcano tout court quelle della tradizione antica, bensì mantengono alcuni elementi fondativi dell??eroismo pagano ?? l??idea che si può essere sconfitti ma non sottomessi, la lealtà, lo spirito combattivo ?? per rigettarne altri ?? l??orgoglio aristocratico, l??obbedienza indiscussa al signore, la ricerca della bella morte.
L??elisione tematica è infine agevolata dalla sparizione di una parola chiave nella traduzione italiana del Signore degli Anelli. Si tratta del termine inglese ??heathen??, cioè ??pagano?, un anacronismo troppo evidente per non essere intenzionale da parte di un filologo come Tolkien. La parola compare soltanto due volte in tutto il romanzo, riferita alle usanze degli antichi re del passato, condannate da Gandalf [20]. In questo modo il testo originale comunica una cosa molto chiara: la parte migliore della Terra di Mezzo è già un luogo post-pagano, benché non ancora cristiano, che si colloca sulla faglia tra due mondi e dialoga problematicamente con entrambi, senza identificarsi con l??uno o con l??altro.

5. Poetica senza opera


Per concludere è necessario considerare lo slittamento semantico che in certe letture subisce la poetica tolkieniana. L??immagine che i critici di destra ci restituiscono è quella di un autore in rivolta contro la modernità, intento a riportare in auge gli antichi valori tradizionali:

«Tolkien della Evasione del Prigioniero dal carcere della Modernità ne ha fatto un atteggiamento positivo e costruttivo, indispensabile per uscirne indenni mentre si superano tutti gli ostacoli che si frappongono alla libertà.» [21]

Tolkien, trovandosi a disagio «nel mondo industrializzato del Novecento» ne avrebbe creato un altro «che facesse da contraltare [?] a quello in cui era costretto ad operare» [22].
Non ci sono dubbi che Tolkien rivendicasse l??arcaismo delle proprie ambientazioni narrative come frutto di una coincidenza tra ragioni di ordine estetico e insofferenza per gli sviluppi del progresso contemporaneo. Tuttavia quando nel suo famoso saggio Sulle Fiabe (1939) scriveva che l??evasione del prigioniero non deve essere confusa con la fuga del disertore, non si riferiva all??evasione dalla modernità, bensì dalla realtà. Tolkien rivendica l??uso della fantasia nell??arte creativa e respinge le accuse di escapismo che vengono rivolte alla letteratura fantastica, criticando la limitazione del concetto di ??realtà? al dato che ci circonda (e di conseguenza anche al dato contemporaneo, che non è più ??reale? di quello passato o immaginario). Ciò che resta da chiedersi, però, è quale passato e quali valori inserisce nel suo universo narrativo.
La risposta dei tradizionalisti è semplice: da un lato ci sono i popoli liberi della Terra di Mezzo, che rappresenterebbero la Tradizione; dall??altro Mordor, «simbolo evidente della Modernità [?]: una fusione della dittatura materialista orientale e dell??ipercapitalismo, della tecnologia massificante occidentale» [23].
Questa lettura ignora bellamente le aporie e gli anacronismi che animano la creazione tolkieniana, a partire dal fatto che i protagonisti de Lo Hobbit e del Signore degli Anelli provengono da una parte della Terra di Mezzo che non ha nulla a che vedere con il medioevo o l??antichità. La Contea è un luogo abitato da piccoli proprietari e servitori domestici, che ricevono a domicilio la posta, sorseggiano tè, mangiano ??patate?, stipulano contratti e partecipano ad aste pubbliche. La visione della vita che gli Hobbit esprimono non è affatto arcaica o tradizionale; il loro coraggio non coincide con quello degli antichi guerrieri che incontreranno durante i loro viaggi, ma si fonda essenzialmente sul ricordo del bene e sulle gioie del vivere quotidiano.
Proprio questo consentirà a quei piccoli mezzuomini di rivelarsi più resistenti al potere dell??Anello. Se saranno le loro ??piccole mani? a portarlo fino al luogo della sua distruzione, è perché in quelle degli antichi campioni e dei saggi l??Anello del Potere sarebbe tanto più pericoloso. E?? con questa precisa argomentazione che lo stregone Gandalf e la dama elfica Galadriel rifiutano l??Anello quando viene loro offerto (e vale anche per Aragorn). Come è stato fatto notare, «nessun cronista, autore di romanzi cavallereschi o agiografo medievale si sarebbe trovato d??accordo con tale affermazione»; si tratta di un tema assolutamente moderno [24].
Così come è moderna la voce di Gandalf che riecheggia nella parte più antica della Terra di Mezzo, quando ricorda al Sovrintendente di Gondor che benché detenga l??autorità del comando, i suoi servitori hanno il diritto di opporsi a essa «quando significa pazzia e infamia» [25]. Siamo lontani dall??obbedienza indiscussa al signore o al re. Siamo già oltre la fedeltà alla sorte del capo, quel führerprinzip che aveva spinto gli housecarls di Beorhtnoth a emularne l??inutile fine sulla piana di Maldon (e che riecheggerà nel ??vincere morendo? fascista messo a fuoco da Jesi nel suo saggio [26]).
Nella creazione letteraria tolkieniana compaiono elementi che provengono direttamente dalla modernità e che non sono affatto associati a Mordor, al quale appartengono invece gli aspetti del progresso industriale e materialistico, che Tolkien sintetizza nella triade ??fabbriche?, ??mitragliatrici? e ??bombe? [27].
In definitiva con la sua opera Tolkien non crea un mondo radicalmente alternativo al nostro, bensì problematizza il rapporto tra l??universo valoriale antico e quello moderno, scegliendo come vettori della sua narrazione arcaica piccoli grandi uomini molto più simili a noi che agli eroi dell??epica. E?? questo anacronismo che sancisce l??universale attualità dei suoi personaggi, e non ciò che essi dovrebbero simboleggiare all??interno di una fantomatica Tradizione. Quella Tradizione sciolta dalle parole, dal testo e dalla trama, che sarebbe suonata alle orecchie dell??antimoderno Tolkien come niente più di un flatus vocis.

- NOTE -

1. Va detto che Jesi non ritiene il linguaggio delle idee senza parole un??esclusiva dei teorici e delle formazioni politiche di destra, nonostante sia in quel filone di pensiero che trova la sua origine e compiutezza. Lo considera infatti un tratto distintivo ??di quanto oggi si stampa e si dice?, a dimostrazione del fatto che la cultura di destra, in senso lato, è assai più radicata e permeante di quanto si possa credere. Un esempio di linguaggio delle idee senza parole, per Jesi, è anche quello che va a comporre un certo discorso liturgico sulla Resistenza, o il ??sinistrese? dei gruppi extra-parlamentari (F. Jesi, op. cit., p. 26).
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2. F. Jesi, Cultura di destra, op. cit., p. 48.
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3. S. Fusco, op. cit., pp. 69-70.
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4. Ibidem, p. 70.
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5. Ibidem, p. 72
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6. Ibidem
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7. Ibidem
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8. Ibidem, p. 74
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9. Ibidem
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10. E. Passaro, op. cit., pp. 145-48 e 156.
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11. J.R.R.Tolkien, Il Signore degli Anelli, Rusconi 1977, p. 94
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12. Ibidem. In questo frangente, Gandalf, come spesso accade, riflette il pensiero dell??autore, vedi Lettera 181, in J.R.R.Tolkien, La realtà in trasparenza, Bompiani, 2001, p. 265: «?la salvezza del mondo e la salvezza dello stesso Frodo vengono raggiunte grazie alla sua precedente pietà e capacità di perdonare le offese».
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13. E. Passaro, op. cit., p. 154
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14. In un altro passaggio, lo stesso commentatore non resiste alla tentazione di recuperare alla difesa della Terra di Mezzo la ferina dismisura di ?omer (definito come ??eroe lunare?) nell??episodio in cui rinviene il corpo della sorella sul campo di battaglia, si dispera e si lancia contro le schiere nemiche chiamando la morte su di loro e su se stesso. Si tratterebbe di un «esempio di eroismo cieco, furioso selvaggio, incurante della morte. [?] Questo slancio distruttivo, nichilistico, appunto, ha qualcosa di affascinante ed, insieme, di perverso, ed è solo un tassello nero nell??immane mosaico di una Terra di Mezzo che difende con ogni strumento, anche quello meno ortodosso, la propria libertà» (p. 153).
Insomma, secondo Passaro, ai fini della lotta contro il male anche un ??tassello nero? farebbe brodo. Tuttavia il romanzo ci racconta una storia ben diversa. Infatti la sorella che ?omer crede morta, è in realtà soltanto ferita. La cosa giusta da fare quindi sarebbe prestarle soccorso, anziché farsi prendere dalla disperazione. Se ?omer trovasse davvero la morte in fondo al suo slancio nichilista, morirebbe per niente, per un banale equivoco. In quel passaggio, Tolkien ribadisce ?? con la consapevolezza del reduce della guerra moderna ?? una distinzione netta: i combattenti utili sono quelli che rimangono lucidi e presenti al loro dovere, non quelli che si lasciano trascinare dalla furia come antichi berserker.
A conti fatti, quando si prende in esame la critica tolkieniana prodotta da certi commentatori di destra è difficile distinguere dove finisca l??equivoco dovuto a sovrainterpretazione ideologica e dove cominci la citazione strumentalmente monca. In certi casi addirittura ci si trova in presenza di quella che sembra semplicemente confusione delle fonti, come può essere, ad esempio, lo scambio di brani del Signore degli Anelli con scene del film di Peter Jackson tratto dal romanzo. E?? quel che accade nel saggio di Adolfo Morganti, Un giorno un re verrà?, contenuto nella raccolta già menzionata, dove si citano come fonte primaria le parole che Boromir rivolgerebbe ad Aragorn in punto di morte, chiamandolo ??mio Re? (p. 166). Ebbene, questa battuta è pronunciata nel film dal personaggio interpretato dall??attore Sean Bean, ma non compare affatto nel testo letterario.
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15. Alberto Lombardo, Il sentimento politeista di J.R.R.Tolkien, in ??Albero??, p. 114
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16. J.R.R.Tolkien, Il Signore degli Anelli, p. 340. La mera strumentalità dell??assunzione del cattolicesimo di Tolkien da parte di questi lettori trova conferma anche nella poca accortezza con cui costoro trattano l??argomento, a volte con affermazioni ridicolmente false. Come ad esempio quelle di G. De Turris sul fatto che Tolkien avrebbe convinto l??amico C.S. Lewis ad abbandonare il protestantesimo per farsi cattolico (J.R.R.Tolkien, Il Medioevo e il fantastico, op. cit., nota del curatore n. 49, p. 213) e sulla connotazione ??cattolica? del circolo letterario di cui entrambi facevano parte, gli Inklings (??Insolito e Fantastico? n° 6, 2011, p. 33). Inutile dire che soltanto alcuni dei membri del suddetto circolo erano cattolici e di certo non lo era il suo principale animatore, cioè C.S. Lewis, il quale, una volta abbracciato il cristianesimo, fu anglicano fino al giorno della sua morte.
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17. Si tratta dell??interpretazione che sostiene la stretta coincidenza tra i temi e le figure presenti nella narrativa di Tolkien e quelli della religione cristiano-cattolica. Cfr. J. Pearce, Tolkien, l??uomo e il mito, Marietti, 2010; ma anche S. Caldecott, Il fuoco segreto, Lindau, 2009, e in Italia, ad esempio, la lunga serie di articoli del padre gesuita G. Sommavilla (1920-2007) usciti tra anni Settanta e Novanta sulla rivista ??Letture? (Edizioni San Paolo) e quelli del padre francescano G. Spirito, pubblicati sulla rivista della Società Tolkieniana Italiana ??Minas Tirith?, oltre ai suoi saggi Tra San Francesco e Tolkien. Una lettura spirituale del Signore degli Anelli, Il Cerchio, 2003 e Lo specchio di Galadriel. I francescani celebrano J.R.R.Tolkien, Il Cerchio, 2006. Vedi anche: A. Monda, L??Anello e la Croce, Rubettino, 2008 e G. Bertani, Le radici profonde. Tolkien e le sacre scritture, Il Cerchio, 2011.
Anche questi interpreti si avvalgono di una lettura simbolista, ma la ancorano ai testi sacri e alla teologia cattolica, cioè a qualcosa di più concreto della fantomatica Tradizione. In questo modo forzano l??opera di Tolkien dentro ??una metafora o parabola o profezia evangelica? (G. Sommavilla, ??Letture?, 1988, pag. 693) e la trasformano in un sussidio dottrinale, ritagliando addosso all??autore l??abito che lui stesso rifiutava di indossare. Fu infatti l??avversione per l??uso della letteratura fantastica in chiave allegorico-morale e apologetico-religiosa che produsse la presa di distanza di Tolkien dall??opera di George MacDonald e la sua critica implicita a C.S. Lewis (vedi ??Genesi della storia?, nota per Clyde Kilby, in J.R.R.Tolkien, Fabbro di Wootton Major, Bompiani 2005, p. 59-60).
Se infatti Il Signore degli Anelli ha fondamenta cristiane e cattoliche ?? come ebbe a riconoscere Tolkien stesso (lettera 142) ?? questo è vero non già in senso teologico-dottrinale, bensì etico-culturale, cioè al netto di ogni indirizzo propriamente religioso. Nella storia della Terra di Mezzo si possono rinvenire valori e princìpi cristiani più o meno evidenti, ma non c??è traccia di fedeltà all??evento resurrezionale e, di conseguenza, non c??è nemmeno promessa di redenzione. Le figure di quel mondo non possono essere metafore cristiane, se non incomplete, monche; tutt??al più alludono a simbologie religiose, ma certo non le citano, né le ricalcano.
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18. G. De Turris, Postfazione a La Leggenda di Sigurd e Gudrùn, Bompiani, 2009, p. 436
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19. J.R.R.Tolkien, Il Ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm, Bompiani, 2010. Dopo la recente riedizione (corredata da un intervento esegetico del massimo esperto di Tolkien, il prof. T.A. Shippey), il silenzio su questo testo da parte di certi commentatori non ha potuto continuare. Nella prefazione del saggio di P.H. Kocher, Il Maestro della Terra di Mezzo, Bompiani, 2011, G. De Turris riprende il giudizio dell??autore ?? risalente a quarant??anni fa -, per il quale Il Ritorno di Beorhtnoth ??è assai lontano dall??essere un ripudio delle ballate eroiche del Nord, alle quali Tolkien si è entusiasmato per tutta la vita, né ?? inutile dirlo ?? delle sue opere d??immaginazione che discendono da esse? (p. 12).
Tolkien infatti non ha mai ripudiato un bel niente, tanto meno le proprie stesse opere. Ha invece avuto bisogno di mettere in discussione i limiti del modello eroico esaltato nelle antiche ballate e non di accettarlo acriticamente. E?? precisamente questo lavoro critico sugli archetipi e sulla tradizione epica ?? nel quale Il Ritorno di Beorhtnoth rappresenta il momento antitetico ?? a consentire a Tolkien di raggiungere la sintesi che vediamo incarnata da personaggi come Aragorn e Théoden, da un lato, ma anche i due Baggins e Samwise Gamgee, dall??altro. Prova ne è il fatto che questi eroi portano in sé soltanto alcune delle caratteristiche di prodromi letterari come Beowulf e Beorhtnoth, e ne ignorano completamente altre.
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20. J.R.R.Tolkien, The Lord of the Rings, Harper & Collins, 2007, p. 825 e 852. Il fatto che le società della Terra di Mezzo siano già post-pagane è spiegato dallo stesso Tolkien nella Lettera 156, in La realtà in trasparenza, op. cit., p. 231. Cfr. anche T. Shippey, La via per la Terra di Mezzo, Marietti, 2005, p. 290-291.
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21. G. De Turris, Introduzione a J.R.R.Tolkien, Il Medioevo e il fantastico, Bompiani, 2004, p. 17
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22. G. De Turris, Tolkien fra Tradizione e Modernità, in ??Albero??, op. cit., p. 134
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23. Ibidem, p. 137-138. Altrove, lo stesso G. De Turris definisce il conflitto che anima la creazione tolkieniana in termini di ??Potere temporale negativo? contro ??Autorità spirituale positiva? (Postfazione a J.R.R.Tolkien, I Figli di Hùrin, Bompiani 2007, p. 313-314). E?? una dicotomia solo in apparenza più corretta di quella citata nel corpo del testo, dato che sarebbe più giusto parlare di autorità morale, cioè basata sulle scelte personali, ovvero sulla coltivazione dei talenti interiori anziché sul potenziamento esteriore. Se infatti personaggi come Gandalf o i signori degli Elfi possono anche rimandare a una dimensione ??spirituale?, di certo è difficile dirlo per personaggi come Bilbo, Frodo, Sam, Merry e Pipino, il cui anomalo eroismo è pure al centro del ciclo dell??Anello.
Capita poi che lo stesso commentatore si contraddica, affermando che «L??Unico Anello è il simbolo del potere malvagio e dittatoriale, in contrapposizione agli anelli degli uomini, degli elfi e dei nani» (Tolkien fra Tradizione e Modernità, op. cit., p. 137) e lasciando intendere quindi che gli altri Grandi Anelli rappresenterebbero un potenziamento/potere positivo.
Perfino chi ha letto soltanto l??esergo del Signore degli Anelli sa che l??Unico è stato creato ??to rule them all??. Non esiste alcuna contrapposizione possibile tra l??Unico e gli altri Anelli, poiché questi sono stati fabbricati dagli artigiani elfici sobillati da Sauron, quindi da lui rubati e distribuiti ai re dei Nani e degli Uomini per soggiogarli al potere dell??Unico Anello, che Sauron ha forgiato per se stesso. Gli ultimi Tre Anelli salvati dagli Elfi vengono messi al sicuro e affidati a portatori molto saggi, perché anch??essi potrebbero ricadere sotto il potere dell??Unico qualora Sauron ne tornasse in possesso (vedi J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, Bompiani 2000, p. 362-363 e Il Signore degli Anelli, op. cit., p. 339). Tanto è vero che Gandalf afferma di non credere che, una volta distrutto l??Unico, i Tre Anelli possano ??risanare tutti i mali del mondo causati da lui?, e ritiene invece più probabile che anche i Tre perdano il loro potere ??e molte cose belle svaniscano e cadano nell??oblio? (SdA, p. 339). ??Eppure gli Elfi sono pronti a correre questo rischio, pur di frantumare il potere di Sauron ed allontanare per sempre il terrore del suo dominio? (ibidem). E?? infatti così che andranno le cose: Sauron sarà distrutto e il prezzo da pagare sarà la perdita definitiva del beneficio elfico nella Terra di Mezzo. I portatori dei Tre Anelli, vale a dire Gandalf, Elrond e Galadriel, non parteciperanno attivamente alla ricostruzione del mondo devastato dalla guerra (gli ultimi due non avranno un ruolo attivo nemmeno durante la guerra). Saranno la saggezza di Aragorn e la perseveranza di Sam a risanare i danni causati dall??Oscuro Signore, non il potere degli Elfi e degli stregoni con i loro Anelli. I vecchi custodi della Terra di Mezzo quindi giocano la grande partita contro Sauron sapendo che per loro sarà l??ultima e che dopo dovranno lasciare gli Uomini al loro destino. Gli Uomini non detengono alcun particolare potere, e potranno contrapporre al male, quando si ripresenterà, soltanto la propria forza d??animo, la propria saldezza, se saranno capaci di conservarla. Né potrebbe essere altrimenti, dato che la storia non torna indietro e il cambiamento non può essere bloccato, anche se comporta la perdita dolorosa di ??molte cose belle?.
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24. T. Shippey, J.R.R.Tolkien, La Via?, op. cit., p. 203. Nella sua più recente argomentazione su questo punto, G. De Turris ha sostenuto che sui ??capi dell??Occidente come Gandalf, Elrond, Galadriel e Aragorn?, l??Anello non produce ??nessun effetto?: costoro sarebbero immuni dal potere tentatore dell??Anello, avendo una predisposizione di spirito troppo solidamente rispettosa della libertà individuale per cadere in tentazione (Prefazione a P.H. Kocher, op. cit, p. 11). Ebbene, va detto che nell??intero Signore degli Anelli l??unico personaggio che gode di tale immunità è Tom Bombadil (libro I, cap. VII). Per quanto riguarda ??i capi dell??Occidente? ?? come vengono impropriamente definiti Gandalf, Elrond, Galadriel e Aragorn ?? essi rifiutano di prendere l??Anello proprio perché hanno paura di lasciarsi tentare dall??opportunità di fare il bene attraverso la coercizione del potere (che equivarrebbe a fare il male). Altro che ??nessun effetto?: proprio i più saggi e i più forti sono talmente consapevoli degli effetti che l??Anello potrebbe avere su di loro da evitare finanche di sfiorarlo. Coloro che invece hanno una maggiore resistenza alla tentazione sono i piccoli Hobbit, e per questo sono in grado di prendere su di sé una responsabilità superiore a quella dei nobili guerrieri, degli Elfi e degli stregoni.
Questa constatazione dissolve un??altra forzatura ideologica, cioè l??idea che nella Terra di Mezzo verrebbe riproposta l??antica tripartizione sociale di cui parlava Georges Dumezil: oratores, bellatores, laboratores. Secondo le interpretazioni di destra, gli Hobbit apparterrebbero infatti a quest??ultimo ordine (cfr. S. Giuliano, «La tripartizione funzionale nella Terra di Mezzo», in ??Albero??, op. cit., p. 75-93). Se così fosse si dovrebbe quantomeno acquisire il fatto che nella Terra di Mezzo la partizione gerarchica si presenta completamente ribaltata. Ribaltamento che trova conferma nelle stesse parole dell??autore, il quale afferma, nella celebre lettera 131, che con le ultime vicende legate all??Anello si compie il passaggio dal tempo leggendario ed eroico a quello storico, con un radicale mutamento dei protagonisti. La storia che comincia con l??ingresso degli Hobbit nelle vicende della Terra di Mezzo non è più incentrata sul potere elfico né sulle gesta dell??aristocrazia guerriera: ??così come i primi racconti erano visti attraverso gli occhi degli elfi, quest??ultima grande storia, che dal mito e dalla leggenda scende sulla terra, è vista soprattutto attraverso gli occhi degli hobbit: in questo modo, in effetti, diventa antropocentrica. Ma attraverso gli hobbit, e non gli uomini, perché l??ultima storia deve chiarire del tutto un tema ricorrente: il posto che nelle ??politiche mondiali?? occupano gli atti di volontà imprevisti e imprevedibili, e le buone azioni di chi apparentemente è piccolo, poco eroico e dimenticato invece dai saggi e dai grandi (sia buoni che malvagi).? (J.R.R.Tolkien, La realtà?, op. cit., p. 182).
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25. J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, p. 1024. La scelta della disobbedienza all??autorità è anche quella della sentinella Beregond, che disattende gli ordini ricevuti, abbandona il presidio che gli è stato assegnato e affronta i servitori del proprio signore per salvare Faramir (SdA, p. 1023).
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26. Jesi constata che la mistica fascista della morte si incentra sull??idea di un sacrificio fondativo, e cita Mircea Eliade: «Il transfert rituale della vita per mezzo del sacrificio non si limita alle costruzioni (templi, città, ponti, case) e agli oggetti utilitari: si sacrificano parimenti delle vittime umane per assicurare il successo di un??operazione, o anche la durata storica di un??impresa spirituale» (M. Eliade, Maître Manole et le monastère d??Arges, 1970, in Jesi, op. cit., p. 67). L??idea che muove i combattenti fascisti è quella di una morte che fonda ritualmente l??emancipazione della stirpe, «donde la loro prospettiva non di vincere o morire, ma di vincere morendo» (F. Jesi, op. cit., p. 68).
Da questo punto di vista, un poema come La Battaglia di Maldon (X-XI sec.) esalta il sacrificio dei fedelissimi del conte inglese Beorhtnoth ?? i quali anziché cercare di salvare il salvabile decidono di morire combattendo una battaglia persa, per seguire la sorte del loro signore ?? e celebra così l??eroismo e l??orgoglio inglese, trasformando il sacrificio in un atto ideologicamente fondativo. Se n??era accorto Borges, quando nel suo celebre epilogo narrativo della battaglia di Maldon scriveva che i guerrieri anglosassoni «fin dall??alba avevano combattuto per l??Inghilterra e per il suo vasto impero futuro e non lo sapevano.» (J.L. Borges, Anno Domini 991, in La Moneta di ferro, 1976). Il sacrificio dei guerrieri di Beorhtnoth sancisce quindi la vittoria ideale e la supremazia valoriale inglese (??l??impresa spirituale? di cui parla Eliade).
E?? precisamente l??avversione per questa idea che spinge Tolkien a scrivere un testo come Il Ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm. Tolkien rintraccia la radice pagana di quella concezione dell??eroismo e la rifiuta, da un lato perché la trova incompatibile con la propria fede, dall??altro perché la storia che aveva vissuto ?? in primis la Battaglia d??Inghilterra (1940) ?? aveva dimostrato come si dovesse resistere agli invasori con le unghie e con i denti, assai più che cercare una fine coerentemente eroica. In altre parole, per Tolkien l??eroismo è implicito nelle scelte umane, non può essere la loro premessa ideologica. Ne deriva che è giusto sacrificarsi per sconfiggere il male, ma è sbagliato pensare che la vittoria sia nella lotta stessa e nel conseguimento di una morte nobile.
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27. J.R.R.Tolkien, «Sulle Fiabe», in Il Medioevo e il fantastico, op. cit., p. 221. Nel saggio Sulle Fiabe, Tolkien non afferma di preferire ??cavalli? e ??cavalieri? alla penicillina, all??igiene pubblica o all??alfabetizzazione. La sua concezione del progresso, quella che lui rifiuta, è fatta di macchine di morte e luoghi di produzione seriale che bruciano, inquinano, alienano l??uomo dalla natura e dal paesaggio. Infatti specifica che ??malvagità e bruttezza sembrano essere indissolubilmente collegate? ed è da esse, dall??infelicità che ci provocano, che vogliamo evadere attraverso la letteratura fantastica. Tuttavia, aggiunge, «ci sono cose più torve e terribili da cui fuggire, che non il rumore, il puzzo, la spietatezza e lo sperpero di un motore a combustione interna. Ci sono fame, sete, povertà, dolore, angustia, ingiustizia, morte.» C??è il desiderio recondito di superare ??antiche limitazioni? fisiche, come volare, navigare negli abissi, parlare con gli animali, etc. (Sulle Fiabe, op. cit., p. 222-223). E questo conferma che ??l??evasione del prigioniero? praticata attraverso le fairy stories coincide con il rifiuto del mondo moderno solo in senso contingente, perché è qualcosa di assai più profondo e universale, che sta alla base dell??attività narrativa umana.
In questo senso gli Hobbit protagonisti del ciclo dell??Anello non si avventurano soltanto nel passato, ma soprattutto nel reame fatato. Oltre a re, dame e cavalieri, dovranno incontrare elfi, troll, orchi, ragni giganti, ent, e tutte quelle creature ??fairy? che nella moderna Contea non trovano più spazio e che stanno irreversibilmente abbandonando la stessa Terra di Mezzo. Fungendo da connessione fra i tempi moderni e il mondo arcaico di nani e draghi, gli Hobbit diventano il veicolo di un??indagine sul nostro rapporto perduto ?? ovvero latente ?? con il fantastico, le leggende, i miti, le fiabe.

Wu Ming 4

Fonte: WuMingFoundation

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