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STOP THE WALL, STOP THE WAR! 11/05/2003
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Murati Vivi

Sabato 8 novembre si svolgera' a Roma a partire dalle ore 14 a Piazza della Repubblica una manifestazione contro il Muro dell'Apartheid costruito dal governo israeliano intorno alla Cisgiordania.

Il 9 novembre 1989 cadeva il muro di Berlino. Nel novembre del 2003, un altro muro sta sorgendo in Palestina, ad opera del governo israeliano di Ariel Sharon. Il muro dell'apartheid (report | mappa) sarà lungo 650 chilometri e permetterà ad Israele di connettere tra di loro e con Israele la maggioranza delle colonie (illegali per la Convenzione di Ginevra e la risoluzione delle Nazioni Unite bloccata dal veto posto dagli Stati Uniti).

Sotto il pretesto della "sicurezza", Israele continua così ad attuare la sua politica di pulizia etnica e di distruzione della base materiale per la sopravvivenza e lo sviluppo della societa' Palestinese. Una volta che il muro sarà ultimato, infatti, i palestinesi saranno chiusi in tre «riserve» (una sorta di salsiccia da Jenin a Ramallah, un'altra da Betlemme a Hebron e una terza attorno a Gerico) separate, su una superficie pari a solo il 40% della Cisgiordania (il 9% della Palestina mandataria). I due terzi delle fonti idriche della Cisgiordania saranno fuori dalla portata dei palestinesi. 80.000 contadini non potranno più accedere alle loro coltivazioni. Oggi 150 km del muro sono stati costruii: il 10% dei palestinesi è già rinchiuso nel ghetto fortificato da Israele.

Oltre alla manifestazione romana, altre iniziative di informazione e protesta sono state organizzate in tutta Italia. Il 9 novembre, inoltre, la campagna Stop the Wall promuove una giornata di mobilitazione internazionale, con manifestazioni in tutto il mondo.

Treni & pullman: Milano | Torino | Napoli | Pisa | Cesena e Ravenna
Iniziative : Napoli manifestazione - università | Bologna
Informazioni Pengon | Stopthewall | ForumPalestina | Petizione

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ARGENTINA 11/01/2003
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La Brukman torna sotto controllo delle operaie

Il 30 ottobre, dopo oltre un anno e mezzo di lotte, la fabbrica tessile Brukman è stata espropriata dalla Legislatura della città di Buenos Aires. Il progetto delle lavoratrici è stato approvato dopo il fallimento dell'impresa, e consegnerà la fabbrica ad una cooperativa formata dalle operaie.
La Brukman è stata occupata il 18 dicembre 2001, dopo la fuga dei padroni, un giorno prima dell'esplosione sociale che ha preso il nome di "Argentinazo" e che ha cominciato a cambiare il corso della storia del paese. In maggioranza donne, hanno dimostrato come si puo' fermare la disoccupazione, hanno vissuto la selvaggia repressione del 18 aprile e si sono trasformate in un esempio di dignità: le operaie della Brukman sono diventate ormai un simbolo in Argentina e nel mondo intero.
Hanno subito tre sgomberi; i primi due impediti grazie alle massiccie mobilitazioni di tutti i settori in lotta nel paese e l'ultimo che aveva buttato fuori dalla fabbrica le operaie, nonostante la resistenza di oltre 10.000 compagn* disoccupat*, assembleist* e lavorator* che appoggiavano la lotta della Brukman.
Quest'ultimo scontro ha innescato un processo di lotta che, tra alti e bassi, ha portato a massiccie mobilitazioni (1 - 2 - 3 - 4 - 5), blocchi stradali, "maquinazos" e attività culturali. I grembiuli azzurri delle operaie sono diventati un simbolo di resistenza e dignità. Un simbolo che oggi torna a brillare con un trionfo per tutto il movimento.
Bentornate, operaie senza padrone!

Foto: 1 - 2 - 3 - 4

ELEZIONI IN COLOMBIA 10/29/2003
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Autoritarismo (mediatico) all'aria

Sabato 25 di ottobre si è votato in Colombia per un referendum populista propagandato dal presidente neoliberale Alvaro Uribe Velez . Lanciato come tentativo per frenare polemiche politiche e corruzione, era in realtà uno strumento che avrebbe facilitato l'applicazione delle rigide esigenze del FMI, per concentrare il potere nelle mani dell'esecutivo. Indirettamente Uribe cercava anche di ottenere il consenso per un'altra modifica costituzionale di largo respiro: la possibilità di farsi rieleggere alla fine del suo mandato nel 2006.
L'l'imponente propaganda finanziata dai principali potentati economici del paese e canalizzata da un regime mediatico che non risparmia sondaggi bulgari (75% di approvazione) per appoggiare il presidente, si è scontrata con una realtà differente: più del 75% si è "astenuta" dal dare al presidente carta bianca per la sua politica di Seguridad Democratica finanziata con il denaro (ed il sangue) delle classi meno abbienti.
Non solo, con i risultati del referendum in sospeso e in odor di frode ( 1, 2 ) domenica 26 si è votato per le elezioni amministrative locali e Lucho Garzon, ex sindacalista lanciatosi con il neonato Polo Democratico Indipendente (figlio meticcio del "movimentista" FSP e del "correntone sinistrorso" di Piedad Cordoba del tradizionale Partido Liberal) è risultato eletto (primo sindaco di sinistra di Bogotà) contro il candidato uribista Juan Lozano. Anche in tutte le altre principali città e regioni del paese i candidati del regime sono stati sconfitti da candidati indipendenti della sinistra (o a tinte sociali) più o meno critici verso il modello neoliberale del governo.
Per il momento la sensazione è che si sia aperto un inusuale spiraglio democratico e che i colombiani abbiano voluto inviare un chiaro messaggio al presidente Uribe: le politiche di austerità e militarizzazione che sono al momento i capisaldi della sua presidenza, sono state bocciate. È un messaggio che dovrebbe essere recepito anche a Washington, che sponsorizza, finanzia e arma (attraverso il Plan Colombia) l'escalation militare voluta da Uribe.
La doppia sconfitta e la conseguente lezione di umiltà hanno colto di sorpresa il presidente che oggi, martedì, ancora non ha accettato di commentare il risultato. Ma la classe politica colombiana è in fermento: da una parte stanno studiando un piano alternativo per fronteggiare la crisi fiscale generata dall'insaziabile debito pubblico aggravato dalle continue spese militari (e rendere conto all'inviato FMI atteso per il 4 di novembre), mentre dall'altra parte si sta preparando un nuovo equilibrio politico cercando un utile capro espiatorio.
La tendenza sembrerebbe quella di giocare la carta dell'opposizione di sinistra al governo di Bogotà per rompere una volta per tutte con la negativa immagine internazionale di un regime autoritario, sacrificare la testa del più controverso dei collaboratori di Uribe, il superministro degli Interni e Giustizia Fernando Londoño Hoyos (il Previti colombiano), e imporre al proprio presidente politiche di compromesso per fare passare il pesante pacchetto fiscale nel congresso dove la vera elite, da sempre al potere, sembra incominciare a pensare che il "nuovo arrivato" Uribe è troppo fragile e "virtuale" e potrebbe essere necessario scendere in campo direttamente nel 2006..
Ma a quel punto la Colombia, come il resto del continente, non sarà più la stessa...
ATTACCO A GAZA 24/10/2003
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Tabula Rasa

I carri armati israeliani tornano a colpire nei campi profughi di Rafah, al confine meridionale della striscia di Gaza, per completarne la "bonifica". L' operazione, durata 72 ore, e' iniziata venerdi scorso e si e' conclusa con 10 palestinesi morti (tra cui 3 bambini), 70 feriti, 114 case abbattute e ben 1200 senza tetto. L'esercito israeliano ha anche emesso 15 ordinanze di deportazione, riguardanti 8 militanti di Hamas e 5 della Jihad islamica residenti in Cisgiordania e ritenuti "implicati in attività terroriste": saranno trasferiti a Gaza, dove saranno costretti a vivere per almeno 2 anni.
Ieri lo stesso presidente Yasser Arafat con una mossa a sorpresa ha dato la sua approvazione al piano di pace messo a punto da un gruppo di politici palestinesi insieme ad alcuni deputati della sinistra israeliana, e noto come "accordo di Ginevra".
Dopo l'attentato ad Erez nella Striscia di Gaza contro un convoglio di auto diplomatiche statunitensi costato la vita ad almeno due americani e ad un palestinese, secca la risposta di Hamas, della Jihad Islamica e del Fronte Popolare che hanno negato il coinvolgimento nell'attentato. La Cia è presente da anni nella striscia di Gaza e, con la scusa di controllare l'applicazione della Roadmap, nuovi osservatori americani si sono aggiunti a quelli già presenti nell'area. A seguito dell'attentato, le autorità diplomatiche statunitensi hanno invitato i connazionali a lasciare la striscia di Gaza a causa delle condizioni di sicurezza. Inoltre, gli Stati Uniti hanno posto il veto ad una risoluzione di sicurezza dell'ONU che condannava Israele per la costruzione del muro di divisione con i territori occupati

Campagne: raccolta di olive - Manal - contro il muro
08.11 Appello per una giornata Internazionale contro il muro dell'Apartheid

.:Aggiornamenti:.
3/11: 'taglia' degli Stati Uniti per l'attacco di Gaza
1/11: testimonianza da B'Tselem [eng] | ISM updates | CPT da Hebron
30/10: crimine e punizione | "incidenti" che accadono
28/10: Tom Hurndall, l'IDF apre un'inchiesta
24/10: Volontaria italiana espulsa da Israele alla frontiera giordana
23/10: Le autorità israeliane ostacolano la Campagna per Manal
22/10: La presidenza dell'UE esprime il "più vivo rammarico" per i raid israeliani contro Gaza | L'Assemblea Generale dell'ONU [ comunicati stampa ] contro il "Muro" israeliano [ 1 | 2 | 3 ]
21/10: F-16 e Apache contro Gaza | Incursioni israeliane in Cisgiordania: irruzione nella sede di Aljazeera a Ramallah
18/10: Rafah: ancora morti | Libano: bloccate auto americane
16/10: Continuano le invasioni israeliane a Rafah: 1 morto e 6 feriti durante l'attacco al campo profughi "Al Brazil"

.:Approfondimenti:.
- Report B'Tselem: "al-Mawasi, Striscia di Gaza." [PDF/ita]
- Un'alternativa alla Road Map: gli accordi di Ginevra [eng]

>> altri aggiornamenti / approfondimenti
ASILO POLITICO 16/10/2003
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Mediatattici per il Kurdistan

Giovedi mattina di fronte l'ambasciata Americana di Roma si e' svolto un sit- in della comunita' kurda per la salvaguardia dei diritti umani, nonche' la liberta' per il Presidente del kadek (ex pkk) Ocalan.
Destano infatti continua e crescente preoccupazione le condizioni di salute di Abdullah Ocalan, recluso ormai da quasi cinque anni nell'isola di Imrali, senza che gli sia consentito di incontrare i suoi avvocati e ne' di ricevere visite mediche da parte di sanitari indipendenti.
E' ormai chiaro che e' in atto una spietata strategia volta alla liquidazione fisica del leader kurdo, come del resto esplicitamente ammesso da un generale turco durante una riunione a Bruxelles, in una dichiarazione che è stata ripresa dalla stampa turca.
In un comunicato del 17 luglio scorso lo stesso Ocalan denunciava la nuova politica turca volta ad allargare la legge sul pentimento e il collaborazionismo ai detenuti politici kurdi in cambio della riduzione della pena.
La "democrazia turca" risulta essere solo una democrazia di facciata: l'influenza dell'esercito sul parlamento rimane ancora incontrastata. Esercito che lontano dai riflettori dei luoghi frequentati da turisti agisce ancora con metodi repressivi indescrivibili ed esercita il suo potere sulle aree rurali in maniera incontrastata.
Le carceri turche hanno ancora le sembianze degli anni '70 e il potere giudiziario risulta fortemente influenzato dalle politiche repressive del governo: un esempio per tutti è quello di Leyla Zana, la parlamentare imprigionata da undici anni insieme a quattro suoi compagni di partito per aver parlato della causa kurda in lingua kurda in un parlamento turco.
Diffondere la cultura e la tradizione kurda rimane l'imperativo categorico per tutti gli attivisti kurdi che si impegnano per la causa del loro popolo. Le uniche armi nelle mani del popolo rimangono la cultura, le tradizioni e il diritto di autodeterminazione. Insabbiare gli ingranaggi di un meccanismo ormai innestato che porterà la Turchia nell'Unione Europea si può solo informando l'opinione pubblica europea, infliggendo al governo turco l'unica punizione che non vorrebbe.
Lavorare per i richiedenti asilo in Europa con le informazioni provenienti dalle associazioni per i diritti umani turche e kurde e lavorare per la diffusione della cultura e la tradizione di quel popolo può essere un altro importante ruolo degli attivisti europei.


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