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15 anni di carcere. Omicidio volontario.
Finisce così il primo grado di giudizio su Vittorio Emiliani, uno dei due assassini che il 27 agosto scorso ha ucciso Renato sul lungomare di Focene.
Nessuna gioia, nessuna “soddisfazione”, nessuna consolazione. Siamo andati via da quel tribunale con la tristezza negli occhi, col sangue al cervello, con tanta rabbia. I compagni, gli amici, la mamma, il fratello di Renato. Come abbiamo sempre ribadito, non è nelle aule di un tribunale che cerchiamo o ci aspettiamo la verità. Nessuna sentenza ci ridarà il sorriso, la gioia, l’intelligenza, la vivida creatività, l’amore e la passione per la vita che tutt@ noi trovavamo ogni giorno negli occhi profondi di Renato.
La verità la conoscevamo già, forse anche prima di quella terribile notte. Conoscevamo la violenza cieca e stupida delle aggressioni razziste per strada, conoscevamo le lame fasciste e il sangue dei compagni, dei ragazzi, degli omosessuali, dei migranti vittime dei raid, nei centri sociali, nelle strade, nelle periferie di questa città. Conoscevamo i mandanti, lo sfondo e le motivazioni politiche delle imboscate, la viltà e l’infamità dell’intolleranza che genera mostri, conoscevamo la stupidità e l’arroganza degli autori materiali di raid e aggressioni, conoscevamo i disegni della destra, i doppiopetto in primo piano e le squadracce sullo sfondo nella notte.
Conoscevamo Renato. E da subito abbiamo denunciato a gran voce nella società, nelle strade e nella rete, che quella di Focene non è stata una rissa tra balordi, ma un’aggressione, un omicidio commesso da due fascistelli, giovanissimi ma cresciuti in fretta in un clima dalla lama facile fatto di intolleranza, odio e razzismo. Non ci siamo mai nascosti dietro a un dito e, pur leggendo e denunciando le contraddizioni della giustizia dello Stato e della vendicatività inutile delle istituzioni carcerarie – sapendo che comunque la verità non si cerca nelle aule dei tribunali – da subito abbiamo detto che avremmo seguito il processo contro i due autori di quell’omicidio. Abbiamo scelto di essere presenti ad un processo estremamente difficile che fin da subito evidenziava omissioni, deviazioni nelle indagini, strane coperture, preoccupanti connivenze. La celtica tatuata sul braccio di uno degli aggressori, la parentela diretta dello stesso con un Carabiniere di istanza proprio al commissariato che ha condotto le prime indagini, il mancato ritrovamento del secondo coltello, la “strana” connivenza della cittadinanza di Focene che nulla ha visto o sentito quella notte, il fatto che il minore, ai domiciliari quasi da subito, vivesse a pochi metri dal luogo dell’assassinio con la sua famiglia.
Ora che il primo grado di giudizio è concluso e una pesante condanna per uno dei due assassini è stata emessa vorremmo dire, ancora una volta, la nostra e fare un bilancio della situazione con gli occhi di chi si ostina a seguire inchieste e processi come quello di Civitavecchia (come a Genova sul G8, a Ferrara per Federico Aldrovandi, a Milano per Dax e i fatti del S.Paolo) e di chi ha altre motivazioni che la “giusta pena”. Di chi vuole spezzare quel sudicio e indegno apparato di potere e di disinformazione che scatta quando un episodio rischia di rivelare una verità scomoda, in modo che la volta successiva non succeda o al limite accada con qualche difficoltà in più.
Come più volte abbiamo denunciato pubblicamente fin sotto al Ministero dell’Interno, l’omissione più grave riguarda la scomparsa dei verbali con le dichiarazioni rese da Renato ai Carabinieri all’ospedale Grassi di Ostia poco prima di morire e poi riapparse sotto la pressione degli avvocati della famiglia Biagetti. I Carabinieri avevano stranamente dimenticato di trascrivere quelle parole importantissime per la ricostruzione dei fatti, e hanno poi depositato al GUP un’integrazione agli atti basata sulla memoria confusa e lacunosa di un Carabiniere di Ponte Galeria. Poi c’è stata la richiesta di costituzione di parte civile del Comune di Roma, gesto senz’altro simbolico ma non solo, dato che Veltroni dopo l’omicidio non si espresse mai chiaramente sulla vicenda dando adito alla famiglia Biagetti e ai suoi compagni e amici di pensare che si volesse nascondere la vicenda per coprire il riemergere del neofascismo, i problemi, i conflitti aperti, i disagi della sua città-vetrina. Per rimediare e dimostrare l’interesse della giunta, Veltroni decise di prendere posizione nel processo.
La decisione del tribunale di rifiutare quest’istanza ha favorito dunque la deresponsabilizzazione di chi, come Veltroni, su una Roma pacificata in nome del profitto sta costruendo una carriera politica e un modello di governo che non guarda solo ai confini della capitale.
Essere parte in causa, seppur defilata, in un processo che parla del disagio delle periferie romane non avrebbe aiutato certo l’operazione di immagine e anzi, avrebbe dato al processo stesso un risalto probabilmente indesiderato. Il rigetto della costituzione di parte civile, in poche parole, autorizza il Comune a credersi assolto. In secondo luogo, con la sua decisione, il tribunale manda un segnale alla politica, intesa in senso lato: le istituzioni, i movimenti, i media si tengano fuori da questa vicenda. Il giudice vuole eliminare il rischio che la vicenda di Renato suggerisca analisi e prese di posizione, che vada oltre il semplice fatto di cronaca e di tribunale: che qualcuno che non sia un testimone, un imputato o un avvocato dica la sua, foss’anche un sindaco. Già ci sono i compagni di Renato a piangere e a lottare per esprimere l’amore, la rabbia e i sogni di Renato.
Anche il rifiuto di costituzione di parte civile da parte dell’ANPI, Associazione Nazionale Partigiani, si inserisce in questo quadro che diviene così ancora più grave. Noi per primi abbiamo parlato fin dall’inizio di un’aggressione, ma chiaramente non di un’aggressione premeditata e organizzata da militanti di una struttura neofascista organizzata, quanto invece di un atto forse ancor più grave e preoccupante: ovvero di un omicidio commesso per mano di giovani sicuramente simpatizzanti della destra radicale ma che hanno agito da cani sciolti, sentendosi però legittimati da un clima culturale, sociale e politico costruito ad arte da alcuni personaggi politici della destra istituzionale che in diverse forme hanno dato indicazioni politiche su “chi” colpire e criminalizzare, costruendo il comodo meccanismo del nemico pubblico numero uno. Target sociale da colpire e che secondo il peso elettorale e di consenso politico che può riscuotere di volta in volta viene sostituito a rotazione: dai centri sociali agli immigrati, dalle battaglie ipocrite contro le droghe alle campagne contro gay, lesbiche e trans. Un clima che si manifesta su più livelli. Uno macroscopico sostenuto e costruito da politici più o meno popolari come Alemanno, Storace e Berlusconi che proprio nei giorni della morte di Renato rilasciavano dichiarazioni a difesa della “nazione contro l’invasione degli immigrati”, con slogan tipo: “Italia agli italiani”. Uno intermedio, militante e meno visibile, incarnato dalle strutture della destra radicale come Fiamma Tricolore che giocando strumentalmente sull’emergenza abitativa di Roma, occupa e fa occupare ai suoi militanti palazzine e spazi abbandonati trasformandoli in covi di neofascisti dove circolano apertamente posizioni politiche e culturali dichiaratamente neofasciste. Covi come Casa Pound e altre occupazioni così dette non conformi – le OSA – o altri covi più o meno attivi come quelli di Forza Nuova, da cui molte volte partono squadracce di picchiatori e potenziali assassini che con lame e bastoni aggrediscono il loro target del momento e che sostanzialmente agiscono anche indipendentemente dal primo e macroscopico livello, ma proseguono sulla traccia della stessa traiettoria.
E poi c’è il livello sociale di una parte minoritaria di giovani e pischelli di questa città che affascinati da questo immaginario dell’aggressione infame e al buio, con le lame alla mano, più o meno gratuitamente agiscono come hanno agito i due fascistelli di focene, con un livello di consapevolezza politica molto bassa ma quanto basta per sentirsi legittimati ad agire dentro questo clima di razzismo e intolleranza.
Quindi negare la matrice politica dell’aggressione e dell’omicidio è un atto gravissimo. I due ragazzi sono infatti innegabilmente legati all’ambiente della destra del litorale romano, e la celtica tatuata ne è conferma, tanto quanto l’atteggiamento razzista e prevaricatore che ha spinto i due ad aggredire, armati di coltelli, un gruppo di ragazzi usciti da una dance-hall reggae palesemente organizzata da realtà locali di sinistra. Questa è la verità, scomoda per molti, troppi poteri, più o meno influenti.
In ultimo ci preme sottolineare come Vittorio Emiliani sia solo uno dei due responsabili diretti di quell’omicidio. Poco si parla, anche nelle aule dei tribunali, della situazione del minorenne affidato ai genitori poco dopo l’arresto, reinserito quindi a “rieducarsi” nello stesso ambiente in cui è maturato l’omicidio, con tanto di amici giovanissimi e esultanti che fin fuori al tribunale hanno dimostrato per il ragazzo la propria stima, Amoroso, diciassette – ormai diciotto – anni di Nola, è responsabile dell’omicidio e delle coltellate di quella notte tanto quanto l’Emiliani. Il gioco delle parti per rimpallarsi la responsabilità e uscirne entrambi più o meno puliti, non funzionerà perché giorno dopo giorno noi saremo insieme, compagni, amici, familiari di Renato a gridare che la verità non si cancella. Aspettiamo le motivazioni della sentenza tra 90 giorni, ma non vogliamo contribuire al clima che sembra circondare il minore, scaricando la responsabilità solo su uno dei due ragazzi.
Quella notte del 27 agosto ’06 a Focene due persone armate di coltelli hanno aggredito e ferito tre persone. Una, Renato, è morta. Tanta era la determinazione di uccidere.
Queste sono le nostre verità. Per affermare questa unica e veritiera versione dei fatti: un omicidio come atto politico, un aggressione di stampo fascista e non una rissa tra bande o tra balordi. Per questo continueremo a lottare giorno dopo giorno.
Col sorriso di Renato nel cuore
“Anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti”
I familiari di Renato, l’ Associazione Culturale “I sogni di Renato”, i compagni e le compagne di Acrobax, gli amici e i fratelli di Renato.
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