A quasi un anno dal delitto di Nicola Tommasoli a Porta Leoni e a pochi giorni dall'arresto di otto ultrà dell'Hellas di estrema destra coinvolti nel pestaggio di piazza Viviani dello scorso 3 gennaio, emerge un'altra storia di violenza, questa volta in provincia e con protagonisti tutti minorenni.
È una storia che, stando al racconto dei protagonisti, ha lasciato un segno ancora visibile, una mandibola fratturata da un pugno, preso a tradimento mentre la lama di un coltello a serramanico era puntata nella pancia di un ragazzo di 17 anni da un suo coetaneo. La vicenda ha lasciato anche tanti punti interrogativi sulla condizione giovanile, sull'intolleranza dei bravi ragazzi di paese, ma anche sui silenzi e responsabilità degli adulti.
Secondo quanto si è potuto apprendere, tutto sarebbe successo per strada, a Caldiero, una domenica verso le 21.30 di quasi due anni fa. La vicenda è venuta a galla solo in questi giorni dopo che la Procura della Repubblica presso il tribunale dei minorenni di Venezia ha aperto un procedimento penale, iscrivendo il nome di un ragazzo nel registro delle notizie di reato per lesioni personali e ingiuria. A occuparsi della vicenda, dal luglio del 2008 è il dottor Esposito.
Ma facciamo un salto indietro, a domenica 3 giugno 2007. Un diciassettenne, che chiameremo Carlo e il suo amico, che chiameremo Nicola, 16 anni, straniero, stando al loro racconto, tornano da una giornata in collina. Erano stati nella casa di campagna di Gianni, un coetaneo, dove avevano passato una domenica spensierata. Il padre di Gianni li aveva appena fatti scendere dall'auto sulla regionale 11. Avevano pochi metri da fare per raggiungere le loro abitazioni a piedi, mentre l'auto con Gianni e suo papà proseguiva la strada per il paese vicino, dove abitano.
All'angolo si presenta un gruppo di ragazzi, probabilmente tutti minorenni. «Rosso di m… comunista, devi smetterla di stare con gli extracomunitari e gli zingari», è il complimento rivolto a Carlo quando ha già oltrepassato il gruppo con a fianco Nicola, l'amico straniero.
Carlo non capisce: non ha mai fatto parte di nessuna organizzazione partitica, non ha mai espresso in pubblico le proprie preferenze politiche e fra l'altro non ha ancora mai votato. Porta solo una maglietta rossa, come ne ha di tutti i colori nel suo guardaroba.
«Mi sono girato per guardare chi avesse detto quella frase e chiedere il perché, visto che non potevano sapere nulla delle mie simpatie politiche e mi sono trovato di fronte la faccia di sfida di uno di loro, quasi a voler dire: “Se hai qualcosa da rispondere dillo a me”», racconta Carlo. «Non ho il tempo aprire bocca e mi accorgo della lama del coltello a serramanico puntata sulla pancia. Gli dico solo di stare fermo e di mettere via il coltello. È a quel punto che riconosco nel gruppo Matteo, un mio compagno delle medie che mi spinge a terra. Cerco di difendermi, ma mi arriva il pugno in faccia. Per alcuni istanti non vedo più nulla, sento solo calci e pugni addosso, mentre sono ancora a terra. Cerco di rialzarmi e vedo il ragazzo con il coltello che si è sfilato la cinghia dei pantaloni e mi colpisce con la fibbia come fosse una frusta. Nicola cerca di difendermi, ma viene a sua volta attaccato e deve scappare perché rischia di fare la mia stessa fine».
Fin qui il racconto di Carlo. Poi raggiunge casa sua a pochi metri e i genitori vedendolo con la faccia tumefatta e la bocca storta, incapace di raccontare cosa sia successo, capiscono la gravità della situazione. Di corsa lo portano al Pronto soccorso dell'ospedale di San Bonifacio, dove Tac e radiografie evidenziano una frattura della mandibola e contusioni minori multiple «da riferita aggressione». Prognosi: «Venti giorni clinici», è scritto sul referto.
Carlo viene rimandato a casa con l'impegno a presentarsi il giorno dopo al reparto di chirurgia maxillo facciale dell'ospedale di Borgo Trento per le cure del caso.
Lì sarà operato dopo un paio di giorni; farà due settimana di degenza ospedaliera, resterà 44 giorni con la bocca inchiodata e costretto ad assumere solo cibo liquido con una cannuccia e poi altre due settimane, dal momento della liberazione dai fili e dai ferri, serviranno per ridare tono alla muscolatura della bocca per cominciare a masticare. Per tutta la vita Carlo sarà costretto a portare nella mandibola la placca di titanio che gli tiene unito l'osso «per una frattura scomposta del corpo mandibolare destro ridotta e contenuta con miniplacca e viti di osteosintesi» è spiegato nella sua cartella clinica.
Due giorni dopo l'accaduto, siamo nel 2007, è il padre a sporgere denuncia e la querela è contro anonimi perché Carlo non può ancora raccontare per filo e per segno come sono andate le cose. Quando tornerà dall'ospedale sarà lui a integrare la denuncia, ricostruendo l'accaduto e facendo il nome di Matteo, 16 anni, che ha riconosciuto presente al pestaggio. Altri amici gli forniranno il nome di Renato, quello dal coltello facile, all'epoca diciassettenne, perché sarà lui stesso a vantarsi nei bar del paese dell'impresa portata a termine con valore.
Nicola, l'amico straniero, se l'è cavata con un ematoma sulla spalla e varie escoriazioni sul corpo rilevate sempre dallo stesso Pronto soccorso.
Fonte:
L'Arena di verona
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