Con la decisione del tribunale di sorveglianza di Milano di fare di Marco Furlan un uomo completamente libero (leggi l'articolo), le colpe del duo neonazista ??Ludwig? sono, almeno formalmente, espiate. Ma la parabola che ha portato a compiere svariati omicidi in nome di una furia purificatrice in cui la «giustizia è morte», la «democrazia è sterminio» e dopo aver fatto proprio il motto che fu delle SS, «Gott mit uns», Dio con noi, va raccontata. Perché la sua ??mente?, quella di Abel, non ha mai riconosciuto alcuna responsabilità. E perché è una vicenda che riguarda persone almeno apparentemente normali.
Due ragazzi della Verona-bene
A metà anni 70, infatti, Furlan e Abel, di un anno più vecchio, erano brillanti studenti universitari, il primo in procinto di laurearsi a pieni voti in fisica, il secondo in matematica. Entrambi, come si dice, erano nati con la camicia: il padre di Furlan era primario del centro ustionati di Verona, quello di Abel sedeva nel consiglio di amministrazione di una compagnia assicurativa tedesca.
Erano due ragazzi della Verona-bene dal volto pulito, accomunati dal rigetto di una certa gioventù ??vaga e sconvolta? che bazzicava le discoteche e il divertimento alla moda. Così Marco e Wolfgang si ritrovarono in lunghe passeggiate solitarie dove amavano discutere di filosofia e politica.
Abel, diranno le perizie psichiatriche, era il più sicuro, freddo dei due. Furlan si limitava a subirlo. Senza esitare nemmeno quando l'amico gli propose un'utopia xenofoba in cui omosessuali, tossicodipendenti, barboni e sacerdoti non avevano il diritto di esistere come tutti gli altri esseri umani. Un'utopia chiamata ??Ludwig?.
Nel 1977 il primo delitto, un senzatetto bruciato vivo
Uno dei volantini di rivendicazione di Ludwig.
E così il duo passò dalla teoria ai fatti. Nel 1977 il battesimo del sangue si compì con le fiamme che bruciarono la Fiat 126 di Guerrino Spinello. Il senzatetto perse la vita nell'incendio. Fu il primo omicidio di una scia di morte che andò avanti fino al 1984. Il 17 dicembre 1978 a Padova fu ucciso a bastonate il cameriere omosessuale Luciano Stefanato.
Un anno dopo l'arma del delitto fu un coltello, e a farne le spese fu il tossicodipendente Claudio Costa, appena ventiduenne. Nel 1980 i due passarono all'ascia, che a Vicenza si abbatté su un'ex prostituta, Alice Maria Baretta.
Iniziarono anche le rivendicazioni, accompagnate dall'aquila nazista. Il 25 novembre, dopo un incendio al ricovero di Torretta di Porto San Giorgio a Verona che costò la vita del minorenne Luca Martinotti, giunse un delirante volantino in cui si affermò che Ludwig era una fede sinonimo di nazismo, morte e sterminio.
Nel 1982 e nel 1983 fu la volta di martello e punteruolo: il primo pose fine alle vite di due frati del Santuario della Madonna di Monte Berico a Vicenza, il secondo a quella di un sacerdote di Trento. Come se non bastasse, il punteruolo era sormontato da un crocefisso.
Poi ci furono i roghi. Quello del 17 dicembre 1983 nel club erotico Casa Rossa di Amsterdam, dove persero la vita 13 persone. Quello dell'8 gennaio 1984 alla discoteca Liverpool di Monaco, dove invece la vittima fu una cameriera di origine italiana, Corinna Tartarotti; sette i feriti.
Nel 1984 il passo falso che li portò in carcere
Marco Furlan, uno dei due fondatori della formazione neonazista Ludwig.
Il 3 marzo 1984 i due commisero il primo e unico passo falso. Nel tentativo di appiccare le fiamme alla discoteca Melamara di Castiglione delle Stiviere, nel mantovano, travestiti da Pierrot per mimetizzarsi tra 400 giovani in maschera per il Carnevale, furono colti con le mani nel sacco. Che, in questo caso, erano due taniche di benzina.
Fu un errore fatale. Il 9 maggio 1985 Furlan e Abel furono accusati di sette omicidi volontari e quattro reati di strage. E il 10 febbraio 1987, al termine di 21 udienze durante le quali i due non erano mai comparsi in aula, la corte di Assise di Verona li condannò a 30 anni di carcere, riconoscendo il vizio parziale di mente.
Rimessi in libertà per scadenza dei termini di carcerazione nell'anno seguente, furono costretti entrambi alla dimora obbligata, Abel a Mestrino e Furlan a Casale Scodosia, in provincia di Padova. Entrambi tentarono di fuggire, ma solo Furlan ci riuscì. Soltanto quattro giorni dopo la Cassazione, l'11 febbraio 1991, escludendo l'aggravante della premeditazione, ridusse la pena a 27 anni.
In libertà, con o senza pentimento
Marco Furlan, uno dei due fondatori della formazione neonazista Ludwig.
Ma Furlan era latitante. Lo sarebbe rimasto fino al 1995, quando fu riacciuffato a Creta dalla Criminalpol e portato in carcere. Il resto è storia recente: grazie ad alcuni condoni e alla buona condotta, nel 2008 il quarantottenne Furlan, dopo 18 anni dietro le sbarre, è stato scarcerato e affidato ai servizi sociali. Il 9 gennaio 2009 ha ottenuto la libertà vigilata. Vive a Milano e lavora in un'azienda come progettista di sistemi informatici.
Nel marzo del 2010, durante un'intervista concessa a Enrico Lucci del programma di Italia1, Le Iene, è giunto perfino ad ammettere le proprie responsabilità: «pensavamo che con la violenza e il sangue si potesse migliorare la società».
Abel, invece, tornato in libertà nel giugno 2009, a 50 anni si è trasferito con i genitori ultraottantenni ad Abrizzano, sulle colline del veronese. Continua a proclamarsi innocente. E del pentimento di Furlan dice che è strumentale, che gli è servito solamente «per ingraziarsi i giudici e anticipare il suo ritorno in libertà». In quel caso, missione compiuta.
Venerdì, 12 Novembre 2010
Fonte:
Lettera 32
documentazione
r_veneto