18 agosto 1944: viene assassinato, nel lager di Buchenwald, il nemico pubblico n.1 del nazismo: Ernst Thalmann.
Due colpi di pistola sparati alla nuca da sicari (SS) inviati appositamente da Hitler. Da più di 11 undici anni, Thalmann era prigioniero del Regime. Dalla sua infinita detenzione scrisse:
“Si può stimare, nel suo giusto valore, la statura d’un uomo politico giudicandolo non soltanto in base a quello che ha fatto, ma anche a quello che voleva fare. Chi vuole dirigere il corso della storia, aprire nuove strade alla sua epoca, condurre il suo popolo verso un avvenire migliore, chi si sente una vocazione del genere e si pone per obiettivo quello di accendere i cuori degli altri con la sua fiamma interiore, costui getta una sfida al mondo dell’incomprensione, della negazione, al mondo ostile. Solo la lotta infatti ha un senso nella vita!”
Nato nel 1866, le sue credenziali di appartenenza alla classe operaia erano indiscusse, aveva fatto vari lavori precari, compreso l’operaio in una fabbrica di farina di pesce e il manovale in una lavanderia, per essere quindi precettato dall’esercito e inviato a combattere sul fronte occidentale durante la grande guerra. Socialdemocratico di sinistra, nel 1919 venne eletto al parlamento di Amburgo e nel 1922 entro nel partito comunista quale membro del Comitato centrale nazionale. In tutto questo periodo continuò a fare lavori manovali in settori molto pesanti come la demolizione navale.
Privo di istruzione, grande e grosso, e sovversivo per natura, Thalmann incarnava l’ideale comunista di operaio rivoluzionario: era l’esatto contrario di un intellettuale, i suoi discorsi erano passionali piuttosto che precisamente argomentati ma chi lo ascoltava leggeva in questo una dimostrazione di onestà e sincerità. Dato il suo ruolo ufficiale di leader comunista, era spesso costretto a indossare giacca e cravatta ma divenne un tratto tipico dei suoi comizi il fatto che, a un certo punto, se li togliesse, tra l’entusiasmo dei presenti, per ridiventare un semplice operaio.
Il suo odio per generali e padroni era palpabile, la sua sfiducia nei socialdemocratici altrettanto palese.
Nel 1924, divenne capo della neonata “Lega dei combattenti rossi di prima linea”, l’anno successivo, leader indiscusso del partito comunista. Nel 1928, marciò su Berlino alla testa di 100 mila “soldati rossi”, qui, tenne un importante discorso alla gioventù tedesca per un’imminente azione rivoluzionaria.