La nostra voce sugli eventi di venerdì 23 marzo
23 marzo 2012, una data significativa in cui si incrociano, sovrappongono e finiscono per scontrarsi anniversari opposti e relative celebrazioni. Da un lato, c’è chi rende onore ai 335 romani trucidati alle Fosse Ardeatine dai boia nazisti e relativo codazzo di lacchè in camicia nera, dall’altro, chi omaggia Mussolini, la nascita del fascismo e festeggia i suoi inutili 5 anni di esistenza come circolo “futurista”.
23 marzo 2012, nonostante la tanto sbandierata discontinuità -a beneficio di telecamera- verso il proprio passato, con l’attacco squadrista ai Magazzini i così detti fascisti -parola loro- del “III millennio” assolvono pienamente alla missione storica tracciata dai loro antenati in camicia nera.
Il fallito assalto fascista, nel primo pomeriggio, ha come obiettivo un luogo, i Magazzini Popolari, impegnato da anni in una difficile missione: supplire quotidianamente con impegno, dedizione e volontà alla latitanza delle istituzioni verso gli inascoltati bisogni ed esigenze sociali dei cittadini del quartiere, attraverso continui piccoli/grandi gesti quotidiani di solidarietà, mutualismo e giustizia sociale.
Da anni, i Magazzini Popolari combattono al fianco del popolo di Casalbertone contro carovita e caroprezzi, tra i primi a Roma a mettere in piedi l’efficace rete distributiva di generi di prima necessità a prezzo calmierato con l’esperienza dei GAP (gruppi di acquisto popolare).
Da anni, i Magazzini lottano contro lo strozzinaggio legalizzato delle società di riscossione coinvolgendo i cittadini del quartiere nella campagna antisfratti, contro il caro bollette, per il diritto all’abitare.
I Magazzini, inoltre, col tempo sono divenuti sinonimo di sport popolare, cultura e saperi liberi e gratuiti.
Da più di un mese, i Magazzini sono al fianco degli operai delle officine RSI di Portonaccio, in occupazione permanente della loro fabbrica per rivendicare diritto al lavoro, al futuro, alla dignità.
Per Casalbertone, i Magazzini sono questo e molto altro ancora. Non solo nel nome ma anche nel loro nobile piglio etico, richiamano alla mente la grande esperienza storica di quelle che un tempo erano le Case del Popolo, luoghi di alternativa reale e praticabile alla politica intesa solo come malaffare, interesse economico e speculazione. Esempio virtuoso di mutuo soccorso, passione e volontarismo.
I fascisti “di zona”, al contrario, sono e da sempre, completamente estranei a qualsivoglia forma di interlocuzione virtuosa col quartiere e la sua gente. Fantasmi dell’impegno sociale, nonostante l’ipocrita vestizione della maschera “futurista”, essi non richiamano altro che l’ottusa, stupida e boriosa violenza fine a se stessa che da sempre costituisce il tratto distintivo della loro infame genia.
Novant’anni fa, mazzieri e mercenari al soldo di padroni, industriali e latifondisti, oggi, “utili idioti” in cerca d’autore.
Così, l’attuale e funesto clima politico complessivo ben si presta a strumentalizzazioni -più o meno coscienti- del “ribellismo” da operetta di marca fascista. I fino a ieri paladini in doppiopetto di democrazia rappresentativa e sovranità popolare, stretti dalla morsa della crisi economica, hanno svestito i vecchi abiti e l’ormai inservibile partitocrazia democratica ha ceduto il passo ad un governo “tecnico” eterodiretto dai vampiri mittleuropei dell’alta finanza. Un’aristocrazia transnazionale il cui unico fine consiste nel preservare se stessa e propri interessi a scapito di tutto e tutti.
In pochi mesi d’attività, i tecnocrati italioti hanno dimostrato di saper assolvere con grande efficienza alla missione iniziando con successo la sistematica demolizione di quanto rimasto in piedi del vecchio Stato sociale. L’offensiva è stata lanciata lungo tutto il fronte: pensioni, diritti dei lavoratori, perpetuazione perenne del cancro generazionale della precarietà, sacco ambientale e svendita dei territori, genuflessione agli interessi delle grandi multinazionali. Tuttavia, nonostante il monopolio dei mezzi d’informazione, protesi per lo più a magnificare le “misure anticrisi” del governo dei tecnici, dal basso e in forma spontanea, autorganizzata, si moltiplicano i movimenti di protesta e di resistenza che, pur se eterogenei e colpiti dalla censura massmediatica, rappresentano -in potenza- tanti piccoli fuochi pronti ad incendiare la grande prateria di una imminente, rediviva opposizione sociale, la quale non potrà certo essere liquidata attraverso i mezzucci truffaldini con cui sono state facilmente silenziate le più o meno conniventi “opposizioni” parlamentari e sindacali di facciata.
Da nord a sud, ormai da giorni, monta la rabbia e cresce la protesta, il popolo torna nuovamente a scendere in piazza con cortei spontanei e si moltiplicano le occupazioni di fabbriche, in alcuni casi, si torna addirittura ad occupare le terre. I tecnocrati, dal canto loro, fin da subito hanno dato abbondante prova di tollerare assai poco il dissenso in ogni sua forma ed espressione.
In un simile contesto non deve meravigliare, al di là dei proclami populisti, una certa, precisa coazione a ripetere di matrice fascista: idiozia e malafede squadrista ben si prestano a fare nuovamente da stampella a quelle linee d’indirizzo governative che, attraverso la favoletta degli “opposti estremismi”, puntano a delegittimare la giusta e sacrosanta opposizione ai tecnici della macelleria sociale derubricandola a questione di “ordine pubblico”.
In ordine di tempo, la fallita spedizione punitiva a Casalbertone non è che l’ultima di una lunga sequela di aggressioni fasciste. Proprio in questa direzione, l’antifascismo militante, cuore vivifico e pulsante della più ampia lotta anticapitalista, lungi dall’essere anticaglia da museo, mostra, oggi, tutta la sua urgenza come pratica e teoria.
L’esempio dei nostri compagni dei Magazzini che in due (!) tengono testa e riescono a respingere l’attacco di 10 mercenari, armati di tutto punto con caschi e bastoni, è un esempio sul quale riflettere e dal quale partire.
L’antifascismo ha bisogno di meno piagnistei nelle questure e sui mezzi d’informazione, di non fare conto su fantomatici “terzi” -che imparziali non sono come la storia ci ha ben insegnato-.
Per essere esempio, l’antifascismo necessità di sviluppare in autonomia e al meglio tutta la sua forza, il coraggio delle proprie idee, la sua capacità di autodeterminazione.