Le mani sulla città: la gestione (speculativa) dello spazio a Firenze

Si apre una grossa partita in difesa del territorio a Firenze, un territorio che, sempre di più, soffre della cementificazione e dello sfruttamento intensivo.
Uno degli esempi più  eclatanti è proprio la piana di Castello, da anni vittima di un attacco speculativo senza precedenti, che vede da una parte gli interessi di Fondiaria-Sai per l’enorme potenziale che rappresenta la piana e,  dall’altra, un buco nero nel quale vengono sversati milioni di euro destinati a immense opere per chi è in cerca di facili profitti.

Ma andiamo con ordine.
Nel 2008 venne sequestrata dalla procura di Firenze la piana di Castello, un’area di 168 ettari tra Firenze e Prato, di proprietà di Fondiaria-Sai (attualmente è il gruppo Unipol ad avere il possesso dell’area). Il motivo del sequestro? Gli amministratori avrebbero velocizzato e facilitato le pratiche amministrative riguardanti Fondiaria Sai, in cambio di favori. Nell’inchiesta rientrarono l’ “imprenditore” Salvatore Ligresti e un suo assistente, Fausto Rapisarda, insieme a due assessori comunali fiorentini, Graziano Cioni e Gianni Biagi, accusati di corruzione. Il 6 marzo è arrivata la sentenza: tutti assolti tranne Biagi, sbloccandosi così la situazione per lo “sviluppo” urbanistico nella piana (leggi cementificazione). Insieme a questa inchiesta, ce ne è un’altra, il cui processo si sta  svolgendo a Roma, che riguarda la Scuola Marescialli, un mostro di cemento anch’esso costruito nella piana.

Al centro del procedimento c’è Francesco De Vito Piscicelli, l’imprenditore che si rotolava nel letto ridendo all’idea dei futuri profitti  per la ricostruzione post sisma a L’Aquila, accusato di aver corrotto due funzionari della Presidenza del Consiglio per l’appalto della Scuola Marescialli (qui l’articolo de “Il Fatto”).

Dato che una delle principali forme di finanziamento dei Comuni è costituita dagli oneri di urbanizzazione, le amministrazioni locali hanno un forte interesse nel voler sfruttare l’area per costruire grandi opere (visto che il mercato immobiliare non sembra essere più proficuo come qualche tempo fa). Ed ecco che piombano sulla testa degli abitanti della piana l’inceneritore di Case Passerini e l’ampliamento dell’aeroporto Vespucci, senza parlare dell’altro inceneritore previsto dal Piano Interprovinciale dei Rifuti (PIR), quello di Selvapiana, alla Rufina.

Il cemento prende il volo

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Di ampliare l’aeroporto di Peretola se ne parla da anni. Stavolta, però, il progetto per la seconda pista arriva in consiglio regionale e sia Renzi che Rossi hanno dimostrato la volontà di realizzare l’opera, nonostante l’Amerigo Vespucci sia stato classificato come uno scalo periferico dal piano nazionale per lo sviluppo aeroportuale e, per questo, privato di investimenti. Ma a chi giova l’ampliamento della pista? A spingere verso tale progetto sono soggetti ben noti, anche per i legami con il PD: la Società AdF (Aeroporto di Firenze), costituita dalla SAGAT (Società Gestione Aeroporto Torino, gruppo legato ai Benetton) per il 31%; la Meridiana SpA (legata all’Aga Khan) per il 15%; la Camera di Commercio di Firenze per il 13,5%; la So.g.im SpA per l’11%; il Monte dei Paschi di Siena per il 4,9%; il Comune di Firenze per il 2,2% e la Premafin Finanziaria (gruppo Ligresti) per il 2%.

Intanto la Regione Toscana ha già approvato il Pit ( Piano di Indirizzo Territoriale ) in cui è prevista la “qualificazione” dell’aeroporto di Peretola, con annesso un misero spazio per il parco agricolo, tanto per compensare. L’opera prevede la realizzazione di una pista parallela all’autostrada Firenze-Mare. Questo pone molti problemi, non solo per l’inquinamento acustico e dell’aria, visto che un numero crescente di aerei passerà sopra i centri abitati, ma anche per la necessaria riconfigurazione del reticolo e il conseguente spostamento del Fosso Reale (a Campi Bisenzio), quindi, costi che salgono vertiginosamente. Insomma, anziché potenziare il collegamento tra gli aeroporti di Firenze e Pisa, la Regione, e il Comune di Firenze, puntano su infrastrutture colossali e dannose. A questo si aggiunge la faccenda, non da poco, dell’inceneritore di Case Passerini posto nella stessa area. Un progetto animato da pura follia, che metterebbe a serio rischio la salute di centinaia di persone, unendo alle emissioni degli aerei in transito le diossine e le polveri prodotte dall’incenerimento dei rifiuti. Tutto questo in nome delle logiche di sfruttamento e mercificazione del territorio che, peraltro, devastano la Toscana con conseguenze disastrose:

“Territorio trascurato e invaso dal cemento. «Si è costruito dentro canali, impluvi, aree di golena. Non mi era mai capitato nel resto d’Italia, l’ho dovuta vedere a Mulazzo, vicino a Aulla, una casa costruita sotto l’arco di un ponte che fermava le acque del fiume». [...] stupisce il fatto che «in una regione che è stata ed è all’avanguardia per le norme sulla sicurezza del territorio ci sia un consumo del suolo così esagerato e sconsiderato, non giustificato dall’aumento di popolazione, ma solo dalla speculazione edilizia». Nicola Casagli, docente di geologia applicata all’università di Firenze, intervistato da Repubblica dopo l’alluvione di Aulla, qui l’intero articolo.

Sulla questione è intervenuto recentemente Renzi, esattamente due giorni prima della sentenza del processo per corruzione a carico di Biagi e Cioni, affermando che fosse necessario “ripensare” la funzione dell’area di Castello per “evitare quell’eccesso di cemento che vi era stato immaginato, sia perché cambia la direzione della pista, sia perché adesso c’è un piano strutturale a volumi zero che cambia le cose”. Il sindaco, con un gioco di prestigio, fa sparire più di 1.200.000 mc di nuova edificazione, in quanto già attuata dalla tabella del dimensionamento nel famoso Piano Strutturale “a volumi zero”, per poi far ricomparire quei volumi, in quanto da attuare, nella stessa area ma in quantità ridotta (ai tempi di Domenici erano previsti 1.400.000 metri cubi di case e terziario). Matteo Renzi, il niente che avanza, vuole quindi apparire attento ai bisogni dei cittadini e farsi garante del mantenimento della pubblica utilità degli spazi, quando in realtà è il primo sostenitore della speculazione edilizia, per un facile ed immediato profitto.

Nano-polveri sotto il tappeto

Il presidente della regione Toscana, Enrico Rossi, nonché ex-assessore regionale alla sanità, è sempre stato favorevole alla costruzione di inceneritori:

«Bisogna fare la Tirrenica, la Tav, le terze corsie, mettere a posto l’aeroporto, fare gli inceneritori oltre a puntare sulle energie rinnovabili, dall’eolico al biogas alla geotermia. Non mi spaventano i localismi e gli effetti Nimby.>> (E. Rossi)

Infatti, nel Piano Interprovinciale dei Rifuti (PIR), è prevista la costruzione di un altro inceneritore, quello di Selvapiana, nel comune di Rufina. L’impianto costerà esattamente 88 milioni di euro e brucerà una quantità di rifiuti pari a 60.000 tonnellate ogni anno. Questi i numeri che emergono del Piano Economico e Finanziario (PEF) redatto da Aer Impianti, addetta a costruire e gestire l’impianto per i prossimi 18 anni. Sempre dal PEF, apprendiamo che il costo per smaltire una tonnellata di rifiuti passerà dai 233 euro del 2012 ai 323 dell’ultimo anno di gestione. In breve, profitti assicurati per chi vorrà investire nella costruzione, e un salasso da pagare sia con i soldi che con la propria salute, dagli abitanti della zona.

Tra gli 8 inceneritori sparsi per la Toscana, uno in particolare è finito sotto la luce dei riflettori: quello di Montale in provincia di Pistoia. Quest’ultimo è stato al centro della cronaca nel 2007 per gli elevati livelli di diossina emessi. Arrivarono addirittura a chiuderlo temporaneamente. Tornò a calcare le scene il 20 gennaio 2011, dopo che l’ARPAT (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana), comunicò i suoi preoccupanti risultati in merito alla quantità di diossina trovata nei fumi. Inoltre, venne riscontrata la diossina anche in carni di pollo e nel latte materno di donne abitanti a Montale.

In Italia il business dello smaltimento rifiuti ha trovato, non a caso, tutte le forze parlamentari unite intorno ad un’unica politica: la costruzione degli inceneritori. Poco importa se oltre all’emissione di diossina e furani, elementi cancerogeni e mutageni per l’organismo umano, si producono anche polveri sottili e nano-polveri, nocive a causa delle loro piccole dimensioni, poiché trasportano materiali tossici e residui della combustione, come idrocarburi policiclici, benzene, metalli pesanti e diossine (qui il blog del Dott. Stefano Montanari, scopritore, insieme a sua moglie la Dott.ssa Antonietta Gatti, delle nano-particelle).

La banda del buco

Se pensavate che Firenze, città il cui centro storico è patrimonio Unesco, fosse indenne a manovre urbanistiche “azzardate”, vi sbagliavate di grosso. Il Comune, ma anche la Regione per quanto riguarda il progetto Tav, ha dimostrato più volte una clamorosa cialtronaggine e una palese incompetenza nel pensare e presentare progetti urbanistici, scatenando la giusta reazione degli abitanti riuniti in diversi comitati.
Il nodo AV di Firenze, e il progetto dei due parcheggi (in Piazza Brunelleschi uno e in Piazza del Carmine l’altro), ne sono un esempio.

Il primo, il sotto-attraversamento Tav, prevede la costruzione di una nuova stazione sotterranea e due tunnel lunghi 8 km sotto Firenze. Il progetto fa acqua da tutte le parti: rischi ambientali legati all’impatto della stazione con la falda acquifera, numerosi edifici messi a rischio dagli scavi e dal passaggio dei treni, 3.200.000 mc di terre inquinate da gestire e smaltire, inquinamento acustico e atmosferico, costi spropositati. Il progetto di scavo è andato avanti incurante di tutto, fino al recente sequestro dei cantieri.

Il sindaco di Firenze, invece, si è subito affrettato a scaricare le proprie responsabilità sulle aziende coinvolte (tra cui Coopsette, una delle cooperative “rosse” emiliane), come già aveva fatto con la vicenda della linea 2 della tramvia, affermando che “se qualcuno ha fatto tutti i controlli che doveva fare questo è il Comune: chi ci accusa del contrario dà solo fiato alla bocca”. Ma come? I “rigorosi” controlli del Comune non sono bastati a scoprire che la talpa perdeva olio dalle guarnizioni perché costruita con pezzi vecchi? Che i rivestimenti dei tunnel erano fuorilegge e che ci fosse di mezzo la camorra nello smaltimento dei rifiuti? D’altronde la prima preoccupazione per Renzi, da quando il nodo AV fiorentino era solo agli inizi, è stata quella di strappare maggiori compensazioni dalle Ferrovie di Moretti

Quello dei parcheggi interrati di Piazza Brunelleschi e Piazza del Carmine, poi, è un altro terreno di scontro tra cittadini e Comune. Il secondo progetto in special modo, ha suscitato forti proteste dei residenti dell’Oltrarno, culminate durante le assemblee dei 100 luoghi (ma sarebbe meglio dire 100 vetrine) dove i rappresentati del Comune, chiamati a presentare il progetto alla popolazione, sono stati duramente contestati. Il Comune, attraverso la partecipata in via di fallimento Firenze Parcheggi (il cui a.d. è Marco Carrai, imprenditore del settore edile, nonché consigliere d’amministrazione dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze), vorrebbe, con la scusa della “riqualificazione” delle piazze, eliminare i 247 posti gratuiti per i residenti presenti attualmente in piazza del Carmine, e sostituirli con 165 posti di sosta a pagamento e 36 box auto in vendita al prezzo di 65 mila euro. Il progetto, inoltre, non prende in considerazione i rischi rappresentati dalla costruzione di un invaso profondo più di 10-12 metri in prossimità dell’argine dell’Arno. L’investimento per la realizzazione dell’opera si aggira intorno ai 18 milioni di euro di cui, quasi 7 milioni e mezzo, di interessi sul mutuo. Favorevole al parcheggio è la Confesercenti che, attraverso l’iniziativa “Oltrarno oggi, Rive gauche domani?”, ha ritenuto una priorità la realizzazione del parcheggio, per evitare che questa area venga “esclusa dai percorsi turistici e commerciali”. Le conseguenze, se il progetto andasse in porto, sarebbero la drastica riduzione della ZTL (alla faccia del centro storico con le zone pedonali più grandi d’Europa!), quindi un maggior numero di veicoli che circolano per le piccole strade di San Frediano, maggior inquinamento, disagio per i residenti che non avranno, da subito, il posto macchina, e si ritroveranno un lunghissimo cantiere sotto casa. Tutto questo rientra perfettamente nel piano dell’amministrazione comunale per realizzare la “Disneyland del Rinascimento”, una città pensata e costruita intorno all’esigenza dei turisti, dell’uso e del consumo.

Firenze appare quindi come una ciambella marcia, con un buco centrale riuscitissimo.

La gestione della città ad opera della giunta Renzi e della rete di potere a lui legata, è fatta di speculazioni, devitalizzazione di interi quartieri, militarizzazione delle piazze, mercificazione degli spazi quotidiani e privatizzazione dei servizi. Il sindaco ha usato la città per le sue ambizioni di politico nazionale, grazie anche al notevole lavoro d’immagine curato da Giorgio Gori, che segue Renzi dai tempi della Leopolda.

Il boy scout di Rignano ha piazzato uomini di fiducia nelle più importanti istituzioni economiche locali. Dalla Firenze Parcheggi alla Adf, fino all’Ente Cassa di Risparmio di Firenze. Proprio quest’ultima ha investito ben 10 milioni nel fondo d’investimento Algebris di David Serra, uno dei principali finanziatori di Renzi, che ha contribuito alla sua campagna con 100mila euro. Tra gli altri finanziatori del rottamatore ci sono imprese edili, palazzinari, società che acquistano terreni per impianti fotovoltaici, fino ad aziende che progettano e gestiscono inceneritori. Visto il tipo di soggetti che finanziano il sindaco, le scelte che verranno fatte per la piana e non, sono facilmente intuibili.

Dal particolare al generale: l’anticapitalismo delle lotte territoriali

L’urbanizzazione nel corso di tutta la storia del capitalismo è stata un mezzo fondamentale per assorbire le eccedenze di capitale e di lavoro (David Harvey).

Va detto che questo tipo di gestione non è certo un caso particolare, atipico. Rientra perfettamente nelle medesime logiche capitaliste che governano la società. Come si può pensare, in una società capitalista appunto, che l’organizzazione dello spazio possa porsi al di fuori? Certi modus operandi sono insiti al sistema e da esso derivano. (Vedi “Lo spazio-tempo capitalistico e il suo sviluppo tendenziale”).

A Firenze ne abbiamo avuta la conferma attraverso il cosiddetto “Piano a volumi zero” voluto dal sindaco Renzi. Tale piano (oltre a prevedere i parcheggi prima citati) assumeva senza condizioni la vendita di alcuni edifici pubblici e non proponeva una strategia sociale per gli edifici privati dismessi, sancendo la fine di importanti esperienze di autogestione e produzione culturale, come nel caso dell’immobile di Via dei Conciatori, letteralmente svenduto e successivamente sgomberato dalla polizia. Stessa sorte sembra debba toccare anche al Cpa Fi-Sud, fra i beni da vendere per fare cassa, possibilità resa più concreta anche grazie alla legge “Salva Italia” del governo Monti, alla legge regionale del marzo 2011 e al successivo decreto comunale.
Dunque, vista la palese inconsistenza di un piano a volumi zero e il chiaro intento speculativo di quest’ultimo, incentrato sull’edilizia pubblica e privata dismessa, e alla luce del fatto che è proprio attraverso i meccanismi descritti sin ora, che il capitalismo organizza lo spazio, si può dire che le lotte in difesa del territorio sono delle lotte anti-sistema o comunque dovrebbero assumerne i connotati. Alcune di queste battaglie, infatti, possono avere le potenzialità per avviare una ricomposizione di classe, e gettare le basi per un mutamento dei rapporti di forza, per una lotta di classe che non può e non deve essere limitata, ad esempio,  al posto di lavoro (cosa che troppo spesso accade).

Se non assumiamo tale ragionamento finiremo per portare avanti rivendicazioni al ribasso, il cui eventuale significato “tattico” si è già estinto nelle dinamiche di una crisi che lascia sempre meno spazio alla tattica: chi ha l’obbiettivo di abolire lo stato di cose presenti non può concedersi ai canti delle sirene parlamentari, ma ha l’obbligo di mettere in relazione il contesto generale con quello particolare e iniziare a scardinare la retorica dominante, basata sulle ultime briciole che questo sistema (forse) può ancora offrire.

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