Per una discussione sui diritti

Proponiamo di seguito alcuni brani come spunto per una discussione sul concetto di “diritti”. Il primo è tratto da La questione ebraica di Karl Marx; qui vengono discussi i diritti dell’uomo nella formulazione fornita durante la rivoluzione francese.

I droits de l’homme, i diritti dell’uomo, vengono in quanto tali distinti dai droits du citoyen, dai diritti del cittadino. Chi è l’homme distinto dal citoyen? Nient’altro che il membro della società civile. Perché il membro della società civile viene chiamato “uomo”, uomo senz’altro, perché i suoi diritti vengono chiamati “diritti dell’uomo”? Donde spieghiamo questo fatto? Dal rapporto dello Stato politico con la società civile,

dall’essenza dell’emancipazione politica.

Innanzi tutto costatiamo il fatto che i cosiddetti diritti dell’uomo, i droits de l’homme, come distinti dai droits du citoyen non sono altro che i diritti del membro della società civile, cioè dell’uomo egoista, dell’uomo separato dall’uomo e dalla comunità. La costituzione più radicale, la costituzione del 1793 può dire:

“Déclar. des droits de l’homme et du citoyen”:

Art. 2.: “Ces droits, etc. (les droits naturels et imprescriptibles) sont: l’égalíté, la líberté, la sûreté, la propriété”.

In che consiste la líberté?

Art. 6.: “La liberté est le pouvoir qui appartient à l’homme de faire tout ce qui ne nuit pas aux droits d’autrui”,

secondo la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1791: “La liberté consiste à pouvoir faire tout ce qui ne nuit pas à autrui”.

La libertà è dunque il diritto di fare ed esercitare tutto ciò che non nuoce ad altri. Il confine entro il quale ciascuno può muoversi senza nocumento altrui, è stabilito per mezzo della legge, come il limite tra due campi è stabilito per mezzo di un cippo. Si tratta della libertà dell’uomo in quanto monade isolata e ripiegata su se stessa. [...] il diritto dell’uomo alla libertà si basa non sul legame dell’uomo con l’uomo, ma piuttosto sull’isolamento dell’uomo dall’uomo. Esso è il diritto a tale isolamento, il diritto dell’individuo limitato, limitato a se stesso.

L’utilizzazione pratica del diritto dell’uomo alla libertà è il diritto dell’uomo alla proprietà privata?

In che consiste il diritto dell’uomo alla proprietà privata?

Art. 16, (Const. de 1793): “Le droít de proprieté est celui qui appartient à tout citoyen de jouir et de disposer à son gré de ses biens, de ses revenus, du fruit de son travaìl et de son industrie” .

Il diritto dell’uomo alla proprietà privata è dunque il diritto di godere arbitrariamente (à son gré), senza riguardo agli altri uomini, indipendentemente dalla società, della propria sostanza e di disporre di essa, il diritto dell’egoismo. Quella libertà individuale, come questa utilizzazione della medesima, costituiscono il fondamento della società civile. Essa lascia che ogni uomo trovi nell’altro uomo non già la realizzazione, ma piuttosto il limite della sua libertà. Ma essa proclama innanzi tutto il diritto dell’uomo “de jouir et de disposer

à son gré de ses biens, de ses revenus, du fruit de son travail et de son industrie”.

Restano ancora gli altri diritti dell’uomo, la égalité e la sûreté.

L’égalité, qui nel suo significato non politico, non è altro che l’uguaglianza della libertà sopra descritta, e cioè: che ogni uomo viene ugualmente considerato come una siffatta monade che riposa su se stessa. La Costituzione del 1795 stabilisce così il concetto di tale uguaglianza, conforme al suo significato:

Art. 5 (Const. de 1795): “L’egalité consiste en ce que la loi est la même pour tous, soit qu’elle protège, soit qu’elle punisse”.

E la sûreté?

Art. 8 (Const. de 1795): “La sûreté consiste dans la Protection accordée par la société à chacun de ses membres pour la conservation de sa personne, de ses droits et des ses propriétés”.

La sicurezza è il più alto concetto sociale della società civile, il concetto della polizia, che l’intera società esiste unicamente per garantire a ciascuno dei suoi membri la conservazione della sua persona, dei suoi diritti e della sua proprietà. In tal senso Hegel chiama la società civile: “Lo Stato del bisogno e dell’intelletto”.

Per il concetto di sicurezza la società civile non si innalza oltre il suo egoismo. La sicurezza è piuttosto l’assicurazione del suo egoismo.

Nessuno dei cosiddetti diritti dell’uomo oltrepassa dunque l’uomo egoistico, l’uomo in quanto è membro della

società civile, cioè individuo ripiegato su se stesso, sul suo interesse privato e sul suo arbitrio privato, e isolato dalla comunità. Ben lungi dall’essere l’uomo inteso in essi come specie, la stessa vita della specie, la società, appare piuttosto come una cornice esterna agli individui, come limitazione della loro indipendenza originaria. L’unico legame che li tiene insieme è la necessità naturale, il bisogno e l’interesse privato, la conservazione della loro proprietà e della loro persona egoistica.

È già abbastanza enigmatico il fatto che un popolo, il quale appunto incomincia a liberarsi, ad abbattere tutte le barriere tra i diversi membri del popolo, a fondare una comunità politica, che un tale popolo proclami solennemente (Déclar. de 1791) il diritto dell’uomo egoista, isolato dal suo simile e dalla comunità, anzi ripeta tale proclamazione in un momento in cui soltanto la più eroica dedizione può salvare la Nazione ed è perciò imperiosamente richiesta, in un momento in cui dev’essere posto all’ordine del giorno il sacrificio di tutti gli interessi della società civile, e l’egoismo dev’essere punito come un delitto (Décl. des droits de l’homme etc. de 1793). Ancor più enigmatico diviene questo fatto quando vediamo che la cittadinanza, la comunità politica viene abbassata dagli emancipatori politici addirittura a mero mezzo per la conservazione di questi cosiddetti diritti dell’uomo, che pertanto il citoyen viene considerato servo dell’homme egoista, che la sfera nella quale l’uomo si comporta come ente comune viene degradata al di sotto della sfera nella quale esso si comporta come ente parziale, infine che non l’uomo come citoyen, bensì l’uomo come bourgeois viene preso per l’uomo vero e proprio.

Karl Marx, La questione ebraica, 1844

Il secondo brano è tratto da La persuasione e la rettorica, tesi di laurea di Carlo Michelstastaedter, giovane filosofo italiano morto suicida nel 1910 all’età di ventitre anni subito dopo la stesura di questo testo, dove viene formulata una critica radicale della civiltà umana in ogni suo aspetto.

[…] quando v’adattate ai modi del corpo, della famiglia, della città, della religione, dite: «faccio i miei doveri d’uomo, di figlio, di cittadino, di cristiano» e a questi doveri commisurate i diritti. Ma il conto non torna.

[…] Conviene pensare meno alle equazioni e tanto più all’equità.

Quanti sono schiavi del “bisogna vivere” che attndono tutto dal futuro e si protendono verso le cose, pretendono da queste le consuete relazioni come con persona sufficiente che avendo in sé la ragione avesse diritto di chiedere. Tutti dicono: «ma infine ho diritto anch’io… ; «se sapeste cosa ho sofferto, capireste che ho ragione…; «bisogna provare! mettetevi nei miei panni, e poi giudicate!… E infatti, infatti hanno tutti ragione – tutti vi possono così enumerare le cause, i bisogni che il suo atto o la sua pretesa resultino matematicamente giusti: ha ragione il sasso di cadere, se così la terra lo attragga; ha ragione la formica oppressa di protestare, se così il sasso la gravi; ha ragione la zanzara di suggere il sangue dell’uomo, se così fame la spinga; ha ragione l’uomo d’ucciderla, se così essa lo punga – hanno ragione le pulci, i cani arrabbiati, la filossera, la peste, i doganieri, le guardie di pubblica sicurezza: – tutti hanno ragione di vivere… che hanno avuto il torto di nascere.

[…] Il diritto di vivere non si paga con un lavoro finito, ma con un’infinita attività.

[…] Poiché prendi parte alla violenza di tutte le cose, è nel tuo debito verso la giustizia tutta questa violenza. A toglier questa dalle radici deve andar tutta la tua attività: –tutto dare e niente chiedere: questo è il dovere – dove sono i doveri e i diritti io non so.

L’attività che non chiede è il beneficio, che fa non per avere, ma facendo dà.

[…] Io sono debole di corpo e d’anima – messo in mezzo alla natura sarei presto vittima della fame, delle intemperie, delle fiere – messo in possesso di ciò che mi è necessario, al riparo delle forze della natura ma in mezzo alla cupidigia degli altri uomini – sarei in breve privato di tutto e perirei miseramente. La società mi prende, m’insegna a muover le mani secondo regole stabilite e per questo povero lavoro della mia povera macchina mi adula dicendo che sono una persona, che ho diritti acquisiti pel solo fatto che sono nato, mi dà tutto ciò che m’è necessario e non solo il puro sostentamento ma tutti i raffinati prodotti del lavoro altrui; mi dà la sicurezza di fronte a tutti gli altri. Gli uomini hanno trovato nella società un padrone migliore dei singoli padroni, perché non chiede loro una varietà di lavori, una potenza bastante alla sicurezza di fronte alla natura – ma solo quel piccolo e facile lavoro famigliare ed oscuro – purché lo si faccia così come a lei è utile, purché non Si urti in nessun modo cogli interessi del padrone: se essi devono vivere liberi, bisogna che obbediscano in tutto a chi detiene il potere [in greco nel testo originale].

[...] Ma in cambio, la società fa quello che nessun padrone farebbe; essa rende partecipi i suoi schiavi della sua autorità – in ciò che il loro lavoro essa trasforma in danaro, e al danaro dà forza di legge.

[…] Così dunque nella società organizzata ognuno violenta l’altro attraverso l’onnipotenza dell’organizzazione, ognuno è materia e forma, schiavo e padrone ad un tempo per ciò che la comune convenienza a tutti comuni diritti conceda ed imponga comuni doveri. L’organizzazione è onnipotente ed è incorruttibile poiché consiste per la deficienza del singolo e per la sua paura.

-Carlo Michelstastaedter, La persuasione e la rettorica, 1910

Il terzo che proponiamo è tratto da Fanteria dello spazio, un romanzo di fantascienza del 1959 di Robert Heinlein; qui un professore di storia e filosofia (il professor Dubois) di una futura società militarista, dove i diritti politici sono concessi unicamente a coloro che hanno prestato servizio militare volontario, discute del problema della delinquenza minorile nelle vecchie democrazie liberali.

“Quei giovani delinquenti si erano fermati al gradino più basso. Nati con l’istinto di conservazione, come tutti, la più alta moralità che riuscirono a raggiungere fu una specie di vacillante lealtà verso un gruppo di pari, la banda di strada. I benpensanti tentarono di ‘fare appello ai loro sentimenti migliori’, di ‘toccare i loro cuori’, di ‘risvegliare il loro senso morale’. Sciocchezze! Quei ragazzi non avevano ‘sentimenti migliori’, l’esperienza aveva insegnato loro che ciò che facevano era il modo per sopravvivere. I cuccioli non avevano ricevuto sculacciate al momento opportuno, di con-seguenza tutto quello che facevano con piacere e sortiva buoni risultati risultava ai loro occhi ‘morale’.

“La base di ogni moralità è il dovere, un concetto legato alla collettività dalla stessa relazione che l’egocentrismo intrattiene con l’individuo. Nessuno predicò a quei ragazzi il senso del dovere, in un linguaggio che potessero intendere, e cioè per mezzo di sonori ceffoni. Invece, la società in cui vissero parlava loro incessantemente di diritti. I risultati avrebbero dovuto essere facilmente prevedibili, dato che un essere umano non possiede diritti naturali di nessun genere.”

Il signor Dubois aveva fatto una pausa. Qualcuno abboccò all’amo. — Professore? Ma allora come la mettiamo con la vita, la libertà e la ricerca della felicità?

Ah, sicuro, i “diritti inalienabili”! Ogni anno qualcuno mi cita quello splendido brano di poesia. Diritto alla vita? Quale diritto alla vita possiede un uomo che sta annegando nel Pacifico? L’oceano non ascolta le sue invocazioni. Che diritto alla vita ha un uomo che deve morire se vuole salvare i suoi figli? E se sceglie di salvare la propria vita, lo fa in nome del diritto? Se due uomini stanno per morire di fame e l’unica alternativa è il cannibalismo, a quale dei due spetta di mangiare l’altro in quanto il suo diritto a vivere risulta inalienabile? E si tratta proprio di un diritto? Quanto alla libertà, gli eroi che la conquistarono misero in gioco la loro vita per conseguirla. La libertà non è mai inalienabile; deve essere riscattata di regola con il sangue dei patrioti, altrimenti inevitabilmente sfuma. Di tutti i cosiddetti “diritti umani inalienabili”, la libertà è quello che ha meno probabilità di essere acquisito a buon mercato, e non è mai gratuito.

“E il terzo diritto? La ricerca della felicità? Sarà anche inalienabile, ma non è un diritto. È semplicemente una condizione universale che i tiranni non possono eliminare e i patrioti non possono riscattare. Gettatemi in un carcere sotterraneo, legatemi al palo del supplizio, incoronatemi re dei re, e io posso ugualmente inseguire la felicità fin tanto che mi resta un alito di vita. Ma né gli dei, né i santi, né i sapienti, né i maghi potranno assicurarmi che la raggiungerò.”

Dubois si era rivolto ancora a me. — Come ti ho detto, “minore delinquente” è una contraddizione di termini. “Delinquente” significa mancante ai propri doveri. Ma il dovere è una virtù da adulti, e infatti un giovane diventa adulto quando acquisisce il concetto di dovere, e lo pone prima dell’amore per se stesso, istinto con cui è nato. Non è mai esistito, né ci potrà mai essere, un vero minore delinquente. Ma poiché la definizione è questa, diremo che per ogni minore delinquente ci sono sempre uno o più delinquenti adulti, persone che hanno raggiunto la maggiore età, che non sanno qual è il loro dovere o pur sapendolo non sono riusciti ad agire appropriatamente. Fu questo punto debole a distruggere quella che per molti versi era stata una civiltà ammirevole. I giovani teppisti che imperversavano per le strade erano i sintomi di una grave malattia. I cittadini di quel periodo (tutti erano tali) esaltarono la loro mitologia dei diritti e persero completamente di vista i doveri. Nessuna nazione così costituita può durare.

-Robert A. Henilein, Fanteria dello spazio, 1959

Concludiamo con un breve passaggio di un intervento tenuto nel 2005 a Cuba da Luigi Lombardi Vallauri, filosofo del diritto che ha insegnato a Firenze (Trovate qui il testo integrale).

I diritti dell’uomo, se devono essere i diritti di ogni uomo, non possono essere i diritti di un qualsiasi uomo. Non possono essere i diritti dell’uomo individualista possessivo.

Universalizzare i diritti dell’uomo nel senso di estenderli a tutti gli uomini è impossibile, o rischia di essere catastrofico, se l’uomo in questione è l’individualista possessivo o anche solo il consumista. Non è proponibile, per esempio, che tutti gli uomini facciano uso dei loro diritti consumando petrolio e carne quanto uno statunitense. Il modello di sviluppo nel quale gli Stati Uniti sono “all’avanguardia” non è universalizzabile.

Facebook

YouTube