Raddoppierà il Canale di Suez, Netanyahu premia il ruolo di Sisi

http://www.inventati.org/cortocircuito/wp-content/uploads/2014/08/06est2-gaza-sisi.jpgSuez rad­dop­pia. La media­zione egi­ziana per il ces­sate il fuoco, sorda alle richie­ste di Hamas, ha frut­tato il disco verde dell’esercito israe­liano al Cairo per la rea­liz­za­zione della con­tro­versa opera pub­blica, già voluta dagli ex pre­si­denti Hosni Muba­rak e Moham­med Morsi, ma mai rea­liz­zata. L’annuncio è arri­vato pro­prio men­tre fer­vono i col­lo­qui indi­retti al Cairo con i rap­pre­sen­tanti di Hamas e la media­zione egi­ziana sem­bra aver tro­vato nuova linfa dopo l’impasse dei giorni scorsi.

Il rad­dop­pio del canale di Suez è stato annun­ciato ieri ad Ismai­lia, alle porte della peni­sola del Sinai, dall’ufficiale Mohab Mamish. Il secondo canale sarà lungo 72 chi­lo­me­tri, paral­lelo al Canale attuale, nazio­na­liz­zato dall’ex pre­si­dente Gamal Abdel Nas­ser, il 26 luglio 1956. Secondo le auto­rità egi­ziane, il nuovo pro­getto sarà dato in appalto ad imprese gestite dall’esercito e per­met­terà la crea­zione di «un milione di posti di lavoro». Il pro­getto costerà 12 miliardi di dol­lari.

L’ex gene­rale Abdel Fat­tah al-Sisi ha assi­cu­rato che l’esercito «super­vi­sio­nerà» i lavori dell’imponente opera pub­blica che dovrebbe essere rea­liz­zata «entro un anno». Non solo, secondo la stampa locale, Sisi si recherà nei pros­simi giorni a Mosca, per fir­mare una serie di accordi eco­no­mici e stra­te­gici. Il pre­si­dente egi­ziano era volato nell’inverno scorso dal suo omo­logo, Vla­di­mir Putin, per sug­gel­lare il nuovo asse tra Cairo e Mosca, dopo il colpo di stato mili­tare del 3 luglio 2013, sulle orme del suo pre­de­ces­sore, Gamal Abdel Nas­ser, lea­der al quale l’uomo forte del nuovo Egitto dice di ispirarsi.

Il canale di Suez ha una fun­zione cen­trale per i com­merci marit­timi in Africa e nel Mar rosso. Inau­gu­rato nel 1869, dopo i lavori di allar­ga­mento del 2010, il canale è lungo 193 chi­lo­me­tri. Suez è una delle mag­giori fonti di valuta stra­niera per l’Egitto: nel 2013, il Canale ha regi­strato i più alti incassi della sua sto­ria rac­co­gliendo oltre 5,3 miliardi di dol­lari. L’Egitto è poi il secondo pro­dut­tore di gas in Africa: que­sto gra­zie alla gestione del Canale di Suez e della Suez-Med Pipe­line. Dopo gli attac­chi jiha­di­sti ai gasdotti nel Sinai e lo stop all’esportazione di gas verso Israele e Gior­da­nia (2012), le imprese ener­ge­ti­che Usa (Noble) e l’israeliana Delek si sono impe­gnate a rimet­tere in moto il mer­cato ener­ge­tico egi­ziano, riat­ti­vando la pro­du­zione dei gasdotti, fermi o a basso regime dalle rivolte del 2011.

La stra­te­gia egi­ziana nel con­flitto a Gaza sem­bra così aver cam­biato rotta. «Non si tratta più di una media­zione. Sisi ora parla con Hamas. Il movi­mento pale­sti­nese gli sta con­se­gnando una lista di richie­ste pro­ble­ma­ti­che ma inde­ro­ga­bili che Sisi a sua volta con­se­gnerà ad Israele», ha assi­cu­rato in un’intervista al mani­fe­sto il grande sto­rico dell’Università di Los Ange­les (Cali­for­nia), James Gel­vin. «Gli egi­ziani vogliono nego­ziare la que­stione cru­ciale della ria­per­tura del valico di Rafah (che finora è rima­sto quasi sem­pre chiuso, nono­stante le vio­lenze, ndr) diret­ta­mente con i pale­sti­nesi. In altre parole l’esercito vuole stral­ciare la que­stione Rafah dai nego­ziati per il ces­sate il fuoco», ci ha spie­gato Gelvin.

«A que­sto punto l’Egitto ha otte­nuto tutto, inclusa l’umiliazione di Hamas, che è sem­pre stato lo stesso obiet­tivo di Neta­nyahu, insieme alla distru­zione dei tun­nel tra Gaza e Israele. Per que­sto il Cairo è in una posi­zione diplo­ma­tica migliore di qual­che set­ti­mana fa», ha aggiunto il docente. «In caso di ces­sate il fuoco dura­turo, Hamas potrà dire di aver costretto l’esercito israe­liano al ritiro. E così la logica, che va avanti sin dalle ope­ra­zioni israe­liane del 2006, ‘umi­lia­zione del movi­mento e suc­ces­siva rico­stru­zione del suo arse­nale’ potrà ripe­tersi ancora nei pros­simi anni», ha ammesso Gel­vin. I col­lo­qui indi­retti in corso al Cairo dimo­strano il fal­li­mento della media­zione inter­na­zio­nale. «La media­zione di Stati uniti e Unione euro­pea è stata disa­strosa. Il Segre­ta­rio di Stato John Kerry ha incon­trato tur­chi e qata­rini solo per par­lare indi­ret­ta­mente con Hamas, non per­ché ci sia mai stata una pro­po­sta reale di tre­gua pro­ve­niente da que­sti due paesi», ha aggiunto Gelvin.

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