10 anni di ultras Lebowski
Per raccontare la storia di questi 10 anni dovremmo essere capaci di rispondere a una domanda: “ma l’avete fatto perchè avevate un’idea, una visione, o l’avete fatto a caso?”. Io non l’ho ancora capito e anche chi c’era quel primissimo giorno risponde cose diverse a seconda dei momenti. “Era contro il calcio moderno”, “era per sbronzarci”, “era perchè eravamo già sbronzi”, “era contro la noia del sabato pomeriggio”, “era contro il pacifismo del social forum”. La risposta non si può sapere, non la sa nessuno, e dobbiamo rassegnarci che la storia nasca senza un filo conduttore.
Questa caratteristica si ripeterà più volte, in molte svolte importanti, ed è parecchio strana per una storia che ha portato a dei risultati impossibili. Di solito sapere con forza dove si vuole arrivare è la chiave per arrivarci. Qui di posti in cui siamo arrivati ce ne sono stati tanti ma spesso ne abbiamo preso atto solo dopo esservi giunti, un po’ stupiti. Sicuramente ci sono delle cose che sono oggettive: il calcio stava cambiando, diventava sempre più fotogenico e falso. Anche le curve stavano cambiando, meno selvagge e libere. Ma nel 2004, nel 2005, nel 2006, queste cose le capivamo? Ne parlavamo? E in quanti?
Il calcio è una cosa che si regge su due gambe. La prima gamba è il personaggio, quello che fa sognare, Batistuta alla bandierina, Cecchi Gori sulla balaustra, Terim sotto la Fiesole, Mazzone contro la curva bergamasca, Cantona che tira sù il colletto. La seconda gamba sono i tifosi che ci sognano, che ci affidano chissà quali desideri e conti con se stesso, che scandiscono con le stagioni calcistiche le tappe della propria vita. Gli esempi sono banali: il babbo che non vede l’ora di portare il figlio allo stadio, la prima volta che si entra in curva da soli, la prima trasferta, 10000 persone che cantano un nome e uno solo. Sono due gambe che vivono di eccessi e per questo il calcio è uno sport selvaggio. E’ bello perchè lo impacchetti quanto vuoi ma resta una cosa rozza e viscerale.
Ora, per raccontare cos’è stato “il Lebowski” per fortuna ci sono delle foto, con dei personaggi e dei tifosi dentro, sennò non ci crederemmo nemmeno noi di avere tutta questa storia dietro. L’esordio fu il 6 Novembre 2004 al Campo Staccioli, allora del Porta Romana, contro la Laurenziana:
«La prima partita della nostra storia al fianco dell’AC Lebowski, III Cat. fiorentina stagione 2004/2005 a campionato già in corso, fu la settimana seguente a quando sarebbe dovuto esserci stato il primo contatto ufficiale. Il Sabato prima infatti (a decisione di formare il gruppo presa) Zwinga che era l’unico che sapeva organizzarsi, ma che non sarebbe potuto essere presente, ci disse di andare a presentarsi ai ragazzi parlandogli del nostro progetto di volerli seguire. Poi vuoi una tedesca di troppo in D’Azeglio, vuoi che putacaso giocavano alla Sales che aveva fatto da scuola calcio ad alcuni di noi, inventammo una scusa sicuramente poco plausibile a Z e liquidammo la presentazione. Il Sabato seguente, senza striscione al seguito perché non lo avevamo pitturato, ci troviamo dopo scuola (e il Guano nel dopo lavoro) alla fermata dell’autobus. Siamo un gruppo di gente abbastanza eterogeneo con il nucleo centrale rappresentato da studenti di un liceo classico in centro, ci sono anche molte ragazze e gente che odia il calcio dal profondo. Fosco per esempio che è qui da dieci anni penso che lo odi tutt’ora. Qualcuno parte in motorino, altri con l’ataf per tentare di raggiungere il campo. Arrivati a destinazione ci accorgiamo di aver sbagliato ovviamente impianto, tra una peripezia e l’altra riusciamo ad arrivare al campo ma siamo quasi alla fine del primo tempo, non sappiamo se i nostri in campo sono quelli con la maglia rossa o nera e non abbiamo una lira in tasca per pagare il biglietto. All’ingresso quindi ci fanno storie, entriamo a questo punto durante l’intervallo. In campo l’AC Lebowski (squadra autogestita da un gruppo di amici in maglia grigio-nera perché, si scoprirà poi, la più economica in commercio) sta perdendo 0-3 contro la capolista Laurenziana. Inizia il secondo tempo, Duccio lancia i cori e iniziamo a cantare. Il tifo risulta anche buono e in campo in ragazzi reggono tant’è che la partita finisce sul risultato di 0-3 come fissato dal primo tempo, si potrebbe anche dire che all’esordio la nostra partita l’abbiamo pareggiata! Al triplice fischio i grigioneri che si son sentiti sostenere a gran voce si domandano ovviamente chi cazzo siamo e da dove siamo venuti, qualcuno è davvero incazzato perché pensa che siamo andati a prenderli per il culo.. arrivano dunque sotto la curva e uno di loro ci domanda “ma chi v’ha mandato, la Misericordia?”.. In qualche modo rispondiamo che siamo degli sbandati e che da quel momento il Lebowski sarebbe diventata la nostra squadra del cuore».
Le prime foto risalgono alla terza apparizione degli ultras lebowski. 21 presenze. Anche un buon numero. Solo che poi tutto è durato 10 anni e il fatto è inspiegabile.
Sempre nel 2004, arriva la trasferta di Greve, definita «la più bella di sempre».
Appare lo striscione fatto malissimo «Veniamo in massa». In realtà eravamo 11. Era la prima trasferta lontana. «Ci trovammo alla stazione della Sita ad estrarre a sorte per chi andava in macchina col Guano e chi andava in Sita, roba grave che è meglio non raccontare!»
E infatti ce ne tornammo in pedalò.
Le grafiche elaborate al tempo incutevano timore nell’avversario.
E quando ci spostavamo eravamo il terrore di TrenItalia e dei pendolari:
Nel gennaio del 2005 ci fu un’amichevole contro il Mugello 2001, primo gemellaggio dei Drugati con la Guerrilla 2001, sciolto dopo sei mesi con parole pesanti tra le due fazioni. Su internet. «Perché non vennero all’ultima giornata, in casa contro la $ancat dopo l’inizio della prima rivalità ! Loro motivarono che non volevano avere un’impronta fortemente ultras come la nostra… Facevano cori per i giocatori che erano loro amici, stavano a sedere e suonavano tipo i bonghi, la storia dei bonghi per Guano Skin era troppo». Si scorge lo stendardo «Odio il Cervia», contro il reality show sul calcio.
La squadra continuava a non fare un punto e a prendere una vagonata di gol. «Ecco alla Sancat arrivammo belli carichi perché già non ci stavano simpatici chissà perché, poi nonostante le rimballate che prendevamo ogni Sabato quel giorno davvero ci credevamo, poi eravamo tanti, c’era il sentore forse che stavamo diventando realtà. Poi siccome nella prima mezzora non avevamo ancora preso gol allora abbiamo iniziato a crederci ma se non ricordo male nel finire del primo tempo hanno fatto uno e due. il secondo tempo è ricominciato con due Carabinieri accompagnati da un loro dirigente che sosteneva che non avessimo pagato il biglietto -vero- , nonostante subito dopo il babbo di Montelatici si propose di pagare il biglietto per tutti (rifiutato). Insomma un po’ di maretta due cazzate e tutto rientrato. Sul finire della partita il Lebowski segna l’1-2, tutto frutto del caso probabilmente, noi iniziamo a crederci e dei ragazzotti nativi iniziano a bofonchiare. Al 90’ poi succede il delirio, fallo su Ciampaglia circa 1 metro fuori dall’area di rigore e l’arbitro indica il dischetto: pareggio del Lebowski che per noi era già il massimo che ci si potesse aspettare dalla vita. I ragazzotti, che erano più grandi di noi per età e stazza, vengono da noi ragionando boh che gli stavamo rubando la partita e che non avevamo pagato il biglietto. Ci fu allora un po’ di tensione così e cosa’ se non che al 94’ Pioggia si imbuca in area di rigore e segna il 2-3, questi ragazzotti magari continuavano a parlare ma a quel punto tutto il Lebowski era sotto il nostro settore e noi con loro a scuotere la rete, per esultare la gente s’arrampicava, partivano calci alle recinzioni, tacchettate nei denti, un delirio, fango, una roba mostruosa, non ricordo di aver esultato mai tanto in vita mia, s’era vinto».
«In settimana ci arrivò una multa perché ci arrivò una multa per scoppio di petardi (mai accesi) ed una richiesta di risarcimento danni da parte della $ancat alle recinzioni. Ma le recenzioni s’andò a vedere erano integre. Nulla di più, cosa vuoi che fosse, s’era i Drugati! ahahaha»
E contro la multa di 62 euro e la squadra odiata, si fece il primo striscione ultras. Gennaio 2005, Sorms San Mauro a Signa – Lebowski.
La prima sciarpata, Rinascita-Lebowski. Qualcuno si commosse.
Per capire davvero quanto è strano che oggi festeggiamo i 10 anni bisogna vedere la foto qui sotto e pensare che i pomeriggi così sono stati la netta maggioranza dei primi anni. Una decina di persone a cantare come scemi per una squadra che non vinceva mai. Lo striscione di carta. Nessun mezzo di locomozione.
Nel 2005, per Colonnata-Lebowski, arriva il primo pareggio della storia ed esibiamo per la prima volta lo striscione in plastica.
Ultima di campionato della prima stagione, la nuova sfida con la Sancat vede «la coreografia più bella della storia: Lebowski-$ancat 2005. Perso 4 a 2. Bruno para un rigore sullo zero a zero, Oiha in coma etilico a fine primo tempo. Inseguiamo alcuni giocatori della $ancat con cinghie, bottiglie di vetro e un palo di 6 metri. Si danno alla fuga. E quindi gli lanciamo una torcia. Fortissimi».
Al Paganelli, con Mister Fabbri in curva e Guano al megafono che sostituisce Duccio che non si ripigliava.
Lebowski – Francesco Ferrucci, squadra di Radda in Chianti. Stagione 2005/06, novembre. Primo anno di Drugati, come si vede dallo striscione quadrato «Da un anno è sempre sabato». Striscione «Ultras Liberi» per alcuni amici nostri ultras del Montevarchi che erano stati diffidati.
Un’altra foto che racconta l’insensatezza dell’impresa. Lebowski – Ludus Firenze, «non so se 2006 o 2007, cmq risultato di 1 a 8. Si passò in vantaggio contro la capolista che in meno di dieci minuti ce ne fece tipo 5. Dopo un primo tempo a cantare, si decise di seguire una partita tennistica a sedere e in silenzio. Ci fece gol anche Matta, che non esultò». Da notare, sulla destra, la pezza «Piazza Fardella», che poi diverrà «Urban Kaos».
Calenzano-Cecina del 2005… si scavalcò la rete per vederla e loro s’innamorarono di noi. Nascita del gemellaggio coi rossoblù.
Qui, con fare da duri, facciamo visita agli amici della Rondine.
Ad Aprile della seconda stagione è morta una delle anime del gruppo, Gaetano. Un anno dopo, a Scarperia, lo ricordiamo così:
«La partita era Sant’Agata – Lebowski 2-0 (mi pare) del 2007, trasfertone storico in pullman documentato anche da un video di Fosco che sul tubo ai tempi aveva tipo 14.000 visualizzazioni. Autista il Liga, freno a mano sulla faentina, lotteria erotica e soprattutto prima ricorrenza della morte di Gaetano e prima apparizione del magico copricurva, fatto in 3 giorni da demone nel garage di Vanni». Si vede bene la pezza «Urban Kaos. Piazza Fardella».
«Alle Piagge ma non ricordo l’anno… forse 2007… ricordo che qualcuno delle Piagge ci cantò “Era meglio se andavate a gardaland” e noi si rispose “era meglio se andavamo ad amsterdam”. Si stava tipo 4 a 0 per loro…»
Al Paganelli AC Lebowski vs Sancat, stagione 2006/2007. Perdevamo 1-4 sotto di un uomo a inizio secondo tempo. Facciamo 2-4 e 3-4, al 90’ Montelatici la butta dentro su punizione e addio: http://www.youtube.com/watch?v=7hZTSM-eCrY&list=UU-CJ8cD6-n8dITgrB4n-N-A
Un anno dopo, l’ultima partita della stagione è sempre contro la Sancat. Si perde 4 a 1, ma la partita è importante perché un discreto numero di ragazzi che frequentavano il parterre di Fiesole si unisce al gruppo, con qualche battaglia contro il «calcio moderno» alle spalle e la voglia di respirare un’aria diversa.
Nel 2007 al Paganelli, epoca Drugati, spunta ironico il due aste “Ultimi Rimasti”
Coreografie degli “anni d’oro” al Paganelli:
7 marzo del 2009: «Vecchi ideali, nuove emozioni».
Il 2007 è stato un anno particolare per il calcio italiano e per gli ultras. Dopo la morte del commissario Raciti negli stadi misero i tornelli, l’area di prefiltraggio, proibirono i tamburi e gli striscioni dovevano essere autorizzati dalla questura tramite fax. A novembre poi ci fu l’omicidio di Gabriele Sandri e anche quella fu occasione per aumentare la repressione sulle curve italiane. Da parte nostra, la stessa settimana, ci trovammo coinvolti nei famosi «fatti di Colonnata», che fecero titolare al giornale La Nazione: «Ultras, guerriglia dalla serie A alla terza categoria». In seguito agli eventi, Urban Kaos e Drugati si sciolsero e qualche tempo dopo fu deciso di costituire un nuovo gruppo: «Ultimi Rimasti».
Stupendo il punto interrogativo, spesso posto al contrario, sopra lo striscione del gruppo.
Il 2008 è stata una stagione decisiva. Nel gruppo erano entrati in pianta stabile un nutrito gruppo di ultras della curva Fiesole e ci furono da «accordare» un po’ le diverse posizioni tra esigenze che rimanevano più fedeli allo spirito insensato degli esordi e chi aveva una linea più «classicamente ultras» Il mix che ne è venuto fuori crediamo sia una cosa rara. «Sporting Sesto – Lebowski prima di campionato e vittoria esterna 2 a 1. Mi pare 2009… o 2008… non so», ma dalla foto si intravede la demenza generalizzata, caratteristica importante del gruppo. Debutto di Pietrone Lazzerini con gol della vittoria all’ultimo minuto.
La squadra, guidata da mister Tossani, inizia a dare le prime soddisfazioni, e chiude la stagione 2008-2009 a 35 punti.
A testimonianza della linea più ultras del gruppo: «Lebowski – Calasanzio 2-2, un vento maiale con i fratelli stabiesi in grande spolvero, arrivarono alle 6 la mattina e si fece un prepartita lungo e di tutto rispetto a casa di Dani, dove eravamo cinquanta tutti pigiati in uno spazio per massimo venti persone». «Il Calasanzio era a zero punti e in riunione decidemmo di contestare la squadra nel caso non fosse riuscita a vincere! A pranzo in cinquanta a casa mia con gli stabbiesi, alcuni fecero after al Cippi a fare il bandierone nuovo “ULTRAS” verticale». La torcia volata in campo segnò il via della contestazione.
Il rapporto con gli stabiesi, inizialmente con gli Hamas, era nato anni prima, dopo un campeggio a Narni. Che una tifoseria così importante si avvicinasse a noi è stato un segno importante per darci un po’ di consapevolezza di noi stessi. Aver avuto occasione di stringere amicizia con persone così meravigliose, così come in seguito lo sarà con i Coloniacs, è invece la cosa più importante di tutte. Qui sotto siamo a Lucca, in trasferta con la Juve Stabia.
E qui siamo al Paganelli, in uno dei momenti di massimo splendore della Curva Moana Pozzi.
Striscione «Lello libero» a destra e pezza «ACAB» a sinistra. «Noi al Lebowski non abbiamo quasi mai parlato di “calcio popolare”, abbiamo parlato piuttosto di “calcio minore”. Perchè l’espressione “calcio popolare” per alludere al calcio dilettantistico non la capiamo bene. Quando il modo di vivere la squadra è quello istintivo nei tifosi, il calcio è “popolare” anche ai massimi livelli. Lo è in serie A come in Terza categoria. Le curve strapiene dalle 11 della mattina, le coreografie immense, le trasferte di massa dove il biglietto del treno lo pagava solo chi poteva, gli odii e le polemiche, le chiacchiere da bar, i ragazzi che scavalcano, la domenica rovinata dalla sconfitta per la squadra, le turbolenze. Sono cose “popolari”, no? Noi siamo ripartiti dal “calcio minore”, con tutte le difficoltà del caso, solo perchè nei campi di periferia c’era meno polizia, meno denaro, meno televisioni. Ma non ci siamo inventati niente di nuovo. Solo, i nostri modi di fare, che vogliamo conservare, sbattono contro meno muri».
«Giglio Rosso (Empoli) – AC Lebowski, arrivati con il solito quarto d’ora di ritardo, ci rendemmo conto che necessitavamo di organizzare meglio le nostre trasferte. Da quel giorno i nostri prepartita iniziarono a diventare infiniti».
Primo periodo Ultimi Rimasti. «Jack arriva al Paganelli fischiettando, qualcuno gli fa notare che doveva passare da Zwinga a prendere lo striscione, gira il culo, si fionda in Fardella e ritorna a 10′ dall’inizio. Srotoliamo e perplessi verso Jack gli chiediamo: “ciccio ma che cazzo hai preso?!?”. Era un pezzo di stoffa grigia. Con una bomboletta, in fretta e furia e reggendosi le brache, Duccio pitturò uno striscione provvisorio. Nella foto Jack accende una torcia davanti al corpo del reato. AC Lebowski – Sorms San Mauro 4 – 2».
Nella stagione 2008/2009 affrontiamo l’avventura in FI-PI-LI, perché ci hanno messo nel girone empolese. Sono ormai famosi i nostri cortei indisturbati per Empoli.
Forse la prima partita di tutti i tempi in cui un giocatore è arrivato al match in treno e corteo con gli ultras.
La scorta della polizia non era esattamente seguitissima
E si giocava a nascondino
Trasferta a Santa Maria, arrivati al campo.
C’è una frase del grande portiere dell’Unione Sovietica, Jashin, rivolta a un giornalista italiano, che racconta bene la bellezza del calcio quando riesce a non farsi sovradeterminare dal mercato: «Ho giocato solo con la Dinamo e la Nazionale. So che da voi le cose vanno diversamente…da voi è normale cambiare casacca.[…] Da voi un buon giocatore si compra e si vende a suon di miliardi e da noi no. Da noi non si accumula una fortuna giocando a pallone, ma se si è bravi si può coltivare la propria passione ed essere applauditi negli stadi. Ma c’è un’altra differenza: da noi sono quaranta milioni i giovani e i ragazzi che giocano al calcio, in squadre ben organizzate, beninteso, nei campi sportivi, e non a palletta, per strada». E questo è Cerbo, prima che divenisse il nostro capitano:
«Qualcuno rubò la bandiera del Santa Maria»
Stagione successiva, sempre nel girone empolese, la squadra affidata alla guida di «Mister Zio». Bollo contro il Membrino, il 10 ottobre del 2009.
Il 5 dicembre del 2009, Limite e Capraia – AC. Lebowski 0 a 0.
Il 23 gennaio del 2010, a Vallebuia: «Stiamo sulle balle».
Poi le cose cambiano nell’estate del 2010. Decidiamo di fondare una nostra società. Decidemmo di chiamarla Centro Storico Lebowski. Centro Storico perché tutto è nato in piazza D’Azeglio, in mezzo a Firenze. Nel volantino che distribuimmo alla prima uscita pubblica c’era scritto così:
«Per spiegare cosa sia il Centro Storico Lebowski val la pena descrivere cosa ci ha allontanato dallo scintillante calcio della serie A. Ci eravamo stancati di campionati senza sorprese, di classifiche disegnate dai diritti tv e dagli intrighi di palazzo, di partite ogni tre giorni, sempre più frenetiche e meno spettacolari, di un calcio senza attese e pause, che non riesce più ad aspettare la domenica, di un asservimento alle leggi del mercato che trasforma il gioco in merce, dell’azione dello Stato con i suoi decreti speciali a tutela del business. E’ solo un caso, ma la prima stagione di questa nuova squadra coincide con l’introduzione della tessera del tifoso. Il progetto appare come una «fidelizzazione» del tifoso in ottica commerciale, legata però al fine statale della pubblica sicurezza. E’ la fabbricazione di questo nuovo tifoso a generare il problema assillante della sicurezza: la creazione di una tifoseria di consumatori infatti passa strategicamente dal controllo e dalla selezione dei tifosi, che non possono più autogestire lo spazio della curva e sviluppare una loro cultura calcistica. Allora qual è il nostro calcio? Intanto un calcio dove tra squadra, tifosi e società ci sia identità. Il CSL è prima di tutto degli Ultimi Rimasti, che sono il cuore di tutto ciò che facciamo; è di chi taglia l’erba del campo prima delle partite, di chi organizza le feste per portare i soldi per iscriversi al campionato, di chi fa le collette per autofinanziare il materiale sportivo, di chi pulisce la sede, di chi raccoglie i palloni dopo l’allenamento, di chi porta con passione e rispetto i suoi colori in campo. Abbiamo in mente di creare un contesto dove fare calcio nella massima autonomia, per quanto ci è possibile, dalle ingerenze dello Stato e del mercato nel gioco. Per questo puntiamo a esistere grazie all’autofinanziamento e all’aiuto degli appassionati di vero sport, senza concedere niente alle speculazioni che accompagnano il calcio di oggi. Per questo, accanto alle esigenze tecniche della squadra, nella «rosa» c’è lo spazio per chi ha bisogno, in un momento magari un po’ difficile della sua vita, di un momento di condivisione e amicizia, di respirare l’aria del campo e dello spogliatoio. Per questo siamo entusiasti che il nostro tifo sia ancora l’autogestione di uno spazio comune, quale la curva è. Appena ci è possibile vorremmo fare una scuola calcio, che sia prima di tutto un momento di crescita, di aggregazione e di sentimento, dove non sia importante il talento e i risultati, ma in cui tutti i ragazzi imparino ad allacciarsi le scarpe, a fare la doccia con i compagni, a prepararsi la borsa autonomamente, a crescere in gruppo con lealtà e rispetto per le differenze. Vorremmo fare dello stadio che ci ospita una nuova casa per il quartiere, creando un luogo aperto a chiunque voglia riscoprire il sapore di un calcio antico e popolare. Presentiamo così il nostro progetto, invitando chiunque vi riconosca delle tracce del calcio che sogna da sempre a darci una mano, venendo a vedere le partite, cantando con i nostri tifosi, facendo il volontario in società, proponendo stimoli e contribuendo all’autofinanziamento della squadra. Siamo nati ora e vogliamo durare per tanti e tanti anni; questo sarà possibile, nel modo descritto (che è il solo modo che giustifica l’esistenza di questa squadra), solo se il Lebowski apparterrà davvero a chi la ama. Chi, per quest’anno, ha l’onore e il compito di rappresentarla con un ruolo societario si prende l’impegno e la responsabilità di non venire mai meno ai valori originari, e lo stesso dovrà fare chi verrà in futuro».
23 ottobre 2010, forse la partita più emozionante della storia del CSL. A Borgo, davanti a più di 500 spettatori e a due curve che non si amano, Borghigiana – CS Lebowsi 1-1. «Quando i drugati al campo arriveranno, come una bomba il tifo esploderà».
6 novembre 2010. Colonnata – CS Lebowski 1-1. Bollo in panchina.
Un posto assurdo nei dintorni di Prato. 20 novembre 2010. Maschere, pinne, teli da mare, materassini e boccagli per Grignanese – CS Lebowski 1-1.
22 gennaio 2011. Si torna al Paganelli in trasferta.
Il primo anno, meraviglioso, lottando fino all’ultimo istante per un posto nei play-off:
http://www.youtube.com/watch?v=jX4Y6G6_aig
E poi i momenti duri, che ci hanno reso più forti. 17 ottobre 2011. «Non leggere La Nazione. Vieni al Lebowski».
22 Gennaio 2012, in panchina mister Baiocchi. Firenze sud – CS Lebowski 2-1
Per i nostri fratelli di Colonia.
28 marzo 2013. Finale di coppa Fringuelli. CS Lebowski – Barberino 2-1. Con Andrea Serrau in panchina…la notte del riscatto. http://www.youtube.com/watch?v=pFCbVn4dELw
Decidere di fondare una società per un ultras significa in primo luogo una cosa: dare alla squadra i propri valori. Amicizia, rispetto, solidarietà, antagonismo. Significa creare uno scenario che valorizzi al massimo il tifoso. La differenza si vede nelle piccole cose. Quando l’arbitro arriva alla panchina e chiede ai dirigenti di parlare con i tifosi per far smettere di accendere le torce, “sennò sospendo la partita”, la risposta è “signor arbitro, per noi vale la pena di non giocare più se non possiamo giocare tra il funo delle torce”. 19 maggio 2012, un anno prima del trionfo in terza categoria: «Per i diffidati… Libertà».
Nei peggiori campi di periferia… La prima volta non si scorda mai. Debutto in seconda categoria. San Giusto- CS Lebowski 2-2.
17 novembre 2013, trasferta a Impruneta.
Coreografia per Bollo. «Perché tu ci sei».
http://www.youtube.com/watch?v=0FoQTfEo8XA
Ponte a Greve, con i Coloniacs e i ragazzi di Parigi, la partita di Bollo. Mai vista una cosa così.
http://www.youtube.com/watch?v=mHFlYb69ass
Torciata del 27 febbraio del 2013.
A Castello, nella grande sfida per decidere il passaggio in prima categoria. «Se mi si chiederà di descrivere cos’è il “calcio minore” ai suoi massimi livelli, da oggi penserò a Castello – Lebowski. Due ottime squadre composte da atleti che giocano per attaccamento, passione e competizione. Un campo di terra incastonato in un rione popoloso e periferico, coi tetti delle case attorno. La tribuna piena di ultras, gli striscioni e le bandiere, da due ore prima della partita. Attorno al campo, aggrappati alla rete, più di 500 persone venute a vedere il big match. I bimbi della scuola calcio con le trombette e le bandiere biancoverdi del Castello, gente di ogni età, esperti di calcio, curiosi, giornalisti, genitori, arbitri, gente del quartiere, le compagnie di truzzi del posto. Petardi, cani e panchine».
Poco prima di vincere il campionato, quando ancora eravamo dietro di un punto, avevamo scritto questo: «Sono passati 10 anni dalla nascita degli Ultras Lebowski e 4 stagioni dalla fondazione del Centro Storico Lebowski. Sono tanti. In molti ci stanno chiedendo quale sia la nostra formula, quale sia l’idea che rende così intenso il nostro ambiente. Proviamo a rispondere. La nostra idea di «calcio minore» non cambia in niente da quella di tante società sportive sparse sul territorio. Il «calcio minore» è uno spazio di socialità, di solidarietà e di autorganizzazione. Socialità perché fa uscire di casa, spezza la solitudine, regala emozioni condivise, tiene insieme persone di ogni età che spesso non hanno occasione di incontrarsi.Solidarietà perché costruisce legami e crea delle reti di sostegno reciproco.Autorganizzazione perché la vita di una società sportiva dipende dalla capacità degli appassionati di provvedere ai suoi tanti bisogni: le risorse economiche, l’organizzazione degli spazi e dei tempi, la gestione tecnica, le pratiche burocratiche, il materiale sportivo, ecc… Autorganizzazione significa prendersi la responsabilità diretta e collettiva di quello che si costruisce. La nostra idea dunque non è niente di speciale: usare il Lebowski come spazio di socialità, di solidarietà e di autorganizzazione. Sembriamo così «magici» solo perchè, per mille motivi che chiaramente non siamo in grado di spiegare, queste tre cose sono sempre più difficili da trovare, ovunque in città e anche nel «calcio minore». Il calcio, e non solo quello della serie A, è oggetto di attenzioni politiche e commerciali, per la grande visibilità che offre. Ma questo aspetto molto spesso va in direzione opposta al ruolo sociale del calcio, e produce competizione esasperata, mercificazione e disciplinamento. Come garanzia che questi valori rimarranno al centro del progetto abbiamo deciso che la squadra sarà per sempre proprietà degli ultras e dei tifosi. E’ l’unico modo che conosciamo per far sì che le regole del profitto e della politica non stravolgano questo spazio di libertà e di responsabilità che ci siamo costruiti. Per questa ragione, campiamo di autofinanziamento e non di patron e investitori».
Qui sotto la nostra squadra vince il campionato di seconda categoria e invece di assistere all’invasione di campo dei tifosi, saranno i giocatori a «invadere» la curva, perché il cuore del gioco è lì. http://www.youtube.com/watch?v=HqaZI441q3Y
La Biglebowskiworldcup 2014, vinta dall’Atletico D’Azeglio.
Il Memorial «Figli della Pozzi. A Bollo e Gae».
Credo che il modo migliore per spiegare a cosa abbiamo provato il giorno del memorial è copiare delle parole che ha scritto Giusy, una di noi, il giorno prima di laurearsi: «Domani sarà per me un giorno importantissimo, mille pensieri mi assaliranno, mille paranoie mi butteranno giù ma la felicità alla fine avrà il sopravvento. Tra i vari pensieri uno fisso, costante, ma che non mi stanca mai, un pensiero che dedico ad una persona, una persona che oggi non c’è più, la cui morte mi ha fatto vivere un’esperienza che ha fatto nascere in me mille interrogativi e dalla quale ho tratto spunto per la mia tesi. In tanti domani mi chiederete perché ho scelto di trattare la morte come argomento di tesi, capirete leggendo. Questo che scriverò è un passo di un libro di Croce, letto qualche giorno dopo la sua morte e che subito mi ha fatto pensare a lui e a quello che ci ha lasciato, un’opera da continuare, e subito ho iniziare a scrivere. So quanto odiassi facebook ma oggi questa dedica te la becchi qui, manchi e non sai quanto.
«Che cosa dobbiamo fare degli estinti, delle creature che ci furono care e che erano come parte di noi stessi? “Dimenticarli”, risponde, se pur con vario eufemismo, la saggezza della vita. “Dimenticarli”, conferma l’etica. “Via dalle tombe!”, esclamava Goethe, e a coro con lui altri spiriti magni. E l’uomo dimentica. Si dice che ciò è opera del tempo; ma troppe cose buone, e troppo ardue opere, si sogliono attribuire al tempo, cioè ad un essere che non esiste. No: quella dimenticanza non è opera del tempo; è opera nostra, che vogliamo dimenticare e dimentichiamo… Nel suo primo stadio, il dolore è follia o quasi: si è in preda a impeti che, se perdurassero, si conformerebbero in azioni come quelle di Giovanna la Pazza. Si vuol revocare l’irrevocabile, chiamare chi non può rispondere, sentire il tocco della mano che ci è sfuggita per sempre, vedere il lampo di quegli occhi che più non ci sorrideranno e dei quali la morte ha velato di tristezza tutti i sorrisi che già lampeggiarono. E noi abbiamo rimorso di vivere, ci sembra di rubare qualcosa che è di proprietà altrui, vorremmo morire con i nostri morti: codesti sentimenti, chi non li ha, purtroppo, sofferti, o amaramente assaggiati? La diversità o la varia eccellenza del lavoro differenzia gli uomini: l’amore e il dolore li accomuna; e tutti piangono ad un modo. Ma con l’esprimere il dolore, nelle varie forme di celebrazione e culto dei morti, si supera lo strazio, rendendolo oggettivo. Così cercando che i morti non siano morti, cominciamo a farli effettivamente morire in noi. Né diversamente accade nell’altro modo col quale ci proponiamo di farli vivere ancora, che è di continuare l’opera a cui essi lavorarono, e che è rimasta interrotta».
Allora. Quando abbiamo fatto la curva ci pigliavano tutti per il culo. E facevano bene. Poi cinque anni dopo abbiamo fatto la società. Per provare a fare calcio come lo farebbero gli ultras. Dicevano che non saremmo nemmeno riusciti a iscriverci. Poi che non avremmo finito l’anno. Poi che non saremmo stati capaci di ripartire l’anno dopo. Poi che saremmo rimasti per sempre in terza categoria. E, una volta vinta la terza, che saremmo retrocessi immediatamente. E invece non solo ci siamo iscritti ogni anno, ma abbiamo vinto terza, seconda e coppa, senza mai fare niente che non volessimo fare. Abbiamo fatto la prima società del mondo che appartiene agli ultras e questo è il nostro vanto più grande, perchè più la mercificazione e il profitto avvolgono il calcio portandolo alla rovina, più ci sarà bisogno di quegli antidoti che l’autogestione e l’amicizia di curva possiedono. E qual è il senso di tutto questo? Girare l’Europa, l’Italia, la Toscana insieme ai tuoi amici, fartene di nuovi, conoscere posti che non avevi mai visto, portare il dovuto rispetto e insieme spiegare dentro e fuori dal campo che boni, grulli e messi tutti assieme come nascono dalle nostre parti non ce ne sono.
LA STORIA NON E’ MODA, DA DIECI ANNI SIAMO QUA!
Leggi anche: