La guerra asimmetrica è in marcia: e noi?

Non tutto il male viene per nuocere (almeno in teoria …)

Il raid contro la redazione di «Charlie Hebdo» ha segnato un importante passo in avanti nella guerra asimmetrica con cui le varie frazioni del capitale internazionale si affrontano. È prematuro trarre previsioni che, almeno nell’immediato, saranno sicuramente tragiche per i proletari d’Europa e soprattutto delle aree più disastrate dalla crisi del modo di produzione capitalistico, come il Medio Oriente e buona parte dell’Africa. Tuttavia, pur nei suoi deleteri aspetti, l’episodio presenta un effetto positivo, dal momento che porta allo scoperto il lato oscuro della «sinistra» occidentale. Un lato oscuro che, direttamente o indirettamente, coinvolge buona parte degli strati popolari europei. In particolare il ceto medio ma anche molti proletari, disperatamente nostalgici di un precario benessere che vedono ora minacciato. Non dalla crisi, ma dai nemici della civiltà.

Quale civiltà? Cristiana o laica?

L’Europa, culla del capitalismo, quando nel XV secolo iniziò la rapina del mondo la giustificò in nome della civiltà cristiana, cattolica prima riformata poi, e infine in nome della Civiltà per eccellenza: la Civiltà dei Lumi, germogliata in Francia e imposta al mondo. Non per nulla, in nome di questa Civiltà, sono state indette le manifestazioni che, all’indomani del raid del 7 gennaio, hanno riempito la Francia e alcune città europee.

Se qualche sospetto sussiste sulla natura sanguinaria della missione cristiana nel Nuovo Mondo (ma anche in Africa e in Asia), non altrettanto avviene nei riguardi dell’Illuminismo, considerato alfiere dei valori laici e democratici, in una parola, della civiltà. In realtà, l’Illuminismo fu il punto d’approdo della concezione eurocentrica, maturata nei cristianissimi secoli precedenti. Fu l’Illumi-nismo a sancire, in nome della Ragione, la superiorità europea, bianca, sugli altri popoli, di colore. Legittimando il loro sfruttamento e la loro oppressione. E in particolare la tratta degli schiavi[1].

Voltaire a parole fustigava i preti, nei fatti fustigava i negri: «I negri sono, per natura, gli schiavi degli altri uomini. Essi vengono dunque acquistati come bestie sulle coste dell’Africa». [Voltaire, Essai sur les mœurs et l’esprit des nations, 1756]. Razzista e anche ipocrita, Voltaire auspicava di lenire la schiavitù, comunque inevitabile per una razza inferiore[2]. Un poche parole, i lumi erano destinati alla Patria … gli altri, i popoli extraeuropei, non ne erano degni.

In nome della Croce e della Ragione, innumerevoli massacri sono stati compiuti, prima con la spada poi con l’atomica.

E allora, sosteniamo la jihad?

Di fronte agli orrori della civiltà occidentale, qualcuno ha perso la trebisonda. E in nome di una mal intesa solidarietà con gli oppressi, è finito nelle braccia di altri orrori, senza rendersene conto, mi auguro.

E nella sua ubris ha smarrito per via la natura di classe della società, occidentale e orientale, cristiana e islamica. E per sostenere la solidarietà agli islamici, nobilita l’estemporaneo appello alla Jihad attribuendole un presunto significato rivoluzionario. È una vecchia ubbia populista, di stampo terzomondista, che vorrebbe proporsi come antimperialismo radicale. Disgraziatamente, questa velleità ha contaminato anche ambienti estranei alla tradizione populista e terzomondista[3], ridestando le mai digerite suggestioni terzinternazionaliste.

Lo spunto è fornito dall’appello alla «guerra santa» (la Jihad), lanciato da Zinov’ev al congresso di Baku (settembre 1920). Già allora questa disgraziata sbandata produsse disastri[4], tuttavia potrebbe trovare una seppur flebile giustificazione nel clima di quei tempi remoti. Non è così oggi. Dopo che tanta acqua è passata sotto i ponti del capitalismo, la Jihad assume le fattezze di una mostruosa ibridazione il cui frutto è Isis.

Per inciso, ricordiamoci bene che solidarizzare con l’islam significa giustificare l’oppressione religiosa, particolarmente odiosa sulle donne.

Il capitalismo genera mostri

Isis è solo l’altra faccia della società capitalistica occidentale. Ne presenta tutte le stimmate, che sono appunto la manifestazione esteriore, «culturale e antropologica», di una medesima struttura economica, fondata sul modo di produzione capitalistico. Non solo. Ne riprende le medesime tendenze verso la finanziarizzazione esasperata che oggi connotano la vita economica capitalistica. Motivo per cui «lo stato islamico non fa parte solo della cultura globale ma anche della finanza globale», avviluppandosi in quel groviglio di interessi, in cui i confini tra Occidente e Oriente diventano molto labili.

Sicuramente, la mistificazione sociale di Isis provoca il detournement dei concetti di lotta di classe e di rivoluzione proletaria, secondo lo schema occidentale, finora invalso. Aspetto direi fondamentale per ristabilire il consenso, ma anche perché il detournement favorisce la natura trasversale, globalizzata, di Isis e spiega l’audience che esso riscuote in Occidente. E non certo tra i proletari, bensì tra quel ceto medio, un tempo orientato a sinistra (il cosiddetto popolo della sinistra), che appunto, sotto i colpi della crisi, ha visto appannarsi i valori fondanti del suo mondo beato, ma soprattutto ha visto dileguarsi il welfare. E al tempo stesso, questo ceto si pasce della realtà immaginifica diffusa dai media (la cultura del video clip), su cui gioca il messaggio di Isis.

Secondo un significativo sondaggio citato dal testo di Nique la police, in Europa, il maggior consenso, il 16%, Isis lo riscuote in Francia, Patria dei Sacri valori borghesi dell’89; a Gaza, il consenso scende al 13%. Con una differenza: mentre in Francia il 62% della popolazione è contrario a Isis, a Gaza è contrario l’85%. Non ci vuole un’analisi particolarmente raffinata per capire che i proletari sono poco sensibili a Isis, anche perché hanno un accesso minore, se non inesistente, ai media mainstream. In poche parole, sono meno rincoglioniti … o meno civilizzati, secondo i punti di vista[5].

Religione significa alienazione

La critica della religione è il presupposto alla critica di questa valle di lacrime.

Karl Marx.

Civilizzazione, appunto. Mantovani, riesumando i valori religiosi, cerca di dargli una dignità «progressista» … Progressista sì, ma nella dinamica del capitale. Le religioni rivelate (impropriamente dette monoteiste), ebraismo, cristianesimo, islamismo, segnano la separazione dell’uomo dal cosmo, il cui rapporto sarebbe stato poi mediato dalla merce[6].

La religione è quindi la manifestazione ideologica che accompagna il processo di alienazione materiale nell’ambito dell’evoluzione sociale del modo di produzione capitalistico. L’Illuminismo fu il suo ultimo approdo, cercando di togliere dalla religione le scorie del passato (la parte «buona», i residui legami col cosmo), mantenendone viva l’essenza alienante (la parte «cattiva»). Compiuta la missione, gli anticlericali son tornati in sagrestia.

In realtà, i Lumi e l’Islam hanno molte più cose in comune di quante sembri. Di oscurantista c’è solo il capitalismo che nessuno dei due mette in discussione, per quanto critiche essi gli possano avanzare. E qui casca l’asino dell’antimperialismo radicale proposto da Mantovani & Co.: il gatto si morde la coda, portando acqua al mulino della civiltà capitalista.

1781874_793678240725585_4046491823178625844_nIl trait-d’union? Il complottismo…

Il filo che collega questi atteggiamenti apparentemente contrapposti è la concezione poliziesca della storia, la teoria del complotto, di cui ho parlato recentemente.

Il richiamo ai valori dell’Occidente così come la Jihad rappresentano i due volti di un impossibile controllo (o regolazione) del capitalismo in crisi che, con la guerra asimmetrica, sta scendendo lungo una china catastrofica. Di fronte alla propria impotenza, le classi dirigenti borghesi occidentali hanno scoperto il terrorismo.

Un male metafisico che nelle fantasie di politicanti e pennivendoli suscita le più disparate ipotesi di complotti. Di fatto, sono solo un escamotage per eludere il problema reale, la crisi del modo di produzione capitalistico, e per esorcizzare l’incubo della borghesia, grande e piccola, la rivoluzione proletaria.

Oggi, l’incubo sta assumendo il volto dei milioni di senza risorse che, dalle periferie del mondo, si riversano nelle Fortezza Europa, con un movimento inarrestabile e soprattutto incontrollabile.

Oggi, è in questo immenso esercito industriale di riserva che si gioca la partita tra gli apprendisti stregoni del capitale: tra chi vuole tenere i senza risorse  sotto controllo e chi invece li vuole sobillare. Pur avendo interessi divergenti, i vari apprendisti stregoni agiscono pur sempre nella devastante logica che vede «tutti contro tutti». Gli esiti di questo scontro sono quindi imprevedibili, ma non saranno certo nel senso da loro auspicato.

Dino Erba, Milano, 15 gennaio 2015.

[1] L’ideologia razzista è un fenomeno sconosciuto in passato, si diffuse in Europa in tempi abbastanza recenti, alla fine del XVII secolo. Vedi: Giorgio Borsa, Alle origini del colonialismo europeo, in Aa. Vv. La Storia, La Biblioteca di Repubblica, Roma, 2004, vol. VII, cap. XVIII. Vedi anche: Silvio Serino e Roberto Taddeo, Eurocentrismo, in Aa, Vv, Il mondo alla rovescia, Materiali per un dibattito sull’Eurocentrismo, Red Link, Napoli, 2006.

[2] Nel Trattato di Metafisica (1734), Voltaire ripeteva supinamente la tesi di alcuni scienziati del secolo dei Lumi, secondo i quali la razza «negra» avrebbe avuto origine da amplessi tra uomini e scimmie. Un altro vate dei Lumi, lo scozzese David Hume, affermava «Non vi sono mai state nazioni civilizzate di un altro colore che il colore bianco» [Sui caratteri nazionali, volume III, 1740]. Altrettanto, se non peggio, disse poi Hegel. Ma un  secolo dopo.

[3] Un esempio è il testo di Alessandro Mantovani: Charlie Hebdo, dove sono finiti i “rivoluzionari”?, diffuso in questi giorni di gennaio. Bontà sua, avesse almeno parlato di arabi!

[4] Vedi: Loren Goldner, Il «socialismo in un solo Paese» prima di Stalin e le origini dell’«anti-imperialismo reazionario». Il caso della Turchia (1917-1925). In appendice: Dino Erba, Cosa lega William Haywood a Sultan-Galiev? – Dal Comintern all’Nkvd: la parabola della politica estera sovietica, PonSinMor, Gassino (Torino), 2010.

[5] Il brano è tratto da: Dino Erba, C’è qualcosa di nuovo oggi nel mondo, anzi di antico: Isis. A proposito di: Antropologia politica di Isis, 19 settembre 2014, ora in Classi in lotta in un mondo in rovina. Crisi del processo di accumulazione del capitale e disgregazione sociale, All’Insegna del Gatto Rosso, Milano, 2014. Vedi anche: http:// www.senzasoste.it/internazionale/crocifissioni-riprese-dallo-smartphone-antropologia-politica-di-isis/.

[6] Karl Marx, Il carattere di feticcio della merce e il suo arcano, Il Capitale, Libro primo, Sezione I, Capitolo IV.

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