Egitto, anniversario con scioperi

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Di Gianni Del Panta e Francesco De Lellis

Egitto. A due anni dal golpe militare il sindacalismo indipendente si impegna su lotte locali dopo il divieto di sciopero imposto dal governo. L’esercito va all’attacco dei cementifici di el-Arish, mentre il governo punta su una politica liberista e a favore degli strati più ricchi, come dimostra l’eliminazione della tassa sui redditi milionari. Si tratta di una chiara predilezione del regime per i potenti gruppi di affari, a scapito delle fasce più deboli della popolazione

Il grande movi­mento di massa degli ultimi quat­tro anni in Egitto ha coin­ciso con impo­nenti e dif­fuse con­te­sta­zioni ope­raie. Gli scio­peri nelle fab­bri­che hanno dav­vero messo alle strette il regime. Tutti i momenti chiave della sto­ria egi­ziana recente dalla desti­tu­zione di Muba­rak al golpe mili­tare, fino alla fine del primo governo ad inte­rim, sono state pre­ce­dute da impo­nenti mobi­li­ta­zioni nelle fabbriche.

Neo­li­be­ri­smo

Le cose peg­gio­rano. Jano Char­bel, atti­vi­sta vicino al movi­mento ope­raio, boc­cia il regime mili­tare senza mezzi ter­mini. «La poli­tica eco­no­mica di al-Sisi è la più neo-liberista mai spe­ri­men­tata dall’Egitto, rap­pre­senta l’apice del pro­cesso avviato da Sadat e poi pro­se­guito negli ultimi disa­strosi vent’anni della pre­si­denza Muba­rak», ci assi­cura. Agli occhi di molti osser­va­tori non è chiaro quanto que­sta dire­zione sia frutto di una pre­cisa stra­te­gia del regime mili­tare del Cairo o piut­to­sto una scelta for­zata dalla neces­sità di rin­sal­dare i legami con le élite capi­ta­li­ste nazio­nali e inter­na­zio­nali, vitali per atti­rare inve­sti­menti. Sta di fatto che misure come l’eliminazione della tassa sui red­diti milio­nari e la ridu­zione dell’aliquota mas­sima di tas­sa­zione al 22,5%, per citare solo le ultime, danno il polso di una chiara pre­di­le­zione del regime per i potenti gruppi di affari a sca­pito delle fasce più deboli della popolazione.

Il decan­tato «ritorno alla sta­bi­lità», otte­nuto al prezzo di migliaia di morti in piazza, arre­sti e con­danne di atti­vi­sti, non si è tra­dotto in cre­scita eco­no­mica, come pro­messo dagli autori del golpe, e il clima che si respira oggi, soprat­tutto tra i gio­vani che spe­ra­vano nella ripresa eco­no­mica, è di pro­fonda ras­se­gna­zione. Gli attac­chi del regime ai lavo­ra­tori e alle libertà sin­da­cali sono sem­pre più deter­mi­nati. È del 28 aprile scorso la noti­zia di una sen­tenza dell’Alta corte ammi­ni­stra­tiva che rende ille­gale lo scio­pero e costringe al pen­sio­na­mento for­zato i lavo­ra­tori con­dan­nati con que­sta accusa. Lo scorso 2 giu­gno, un vei­colo mili­tare ha aperto il fuoco su un sit-in di ope­rai che chie­de­vano un’ambulanza per un com­pa­gno ferito sul lavoro, in un cemen­ti­fi­cio di pro­prietà dell’esercito ad el-Arish, nel Sinai.

L’attacco si è con­cluso con la tra­gica morte di un lavo­ra­tore e il feri­mento di altri tre, e rap­pre­senta un pre­oc­cu­pante segnale del livello di intol­le­ranza dei mili­tari verso le mobi­li­ta­zioni dei lavo­ra­tori. Dopo que­sto epi­so­dio si è tenuta un’assemblea a cui ha par­te­ci­pato anche un alto uffi­ciale che ten­tava di pla­care gli animi degli ope­rai. «Quella divisa che voi por­tate è di nostra pro­prietà. Vogliamo un’inchiesta sull’accaduto, vogliamo essere trat­tati come esseri umani», gli ha urlato uno dei contestatori.

Crisi e mobilitazioni

«L’esercito vuole far pas­sare il con­cetto che la rivo­lu­zione sia finita con la caduta di Muba­rak e che oggi le pro­te­ste ope­raie rap­pre­sen­tino solo riven­di­ca­zioni cor­po­ra­tive con­tra­rie all’interesse nazio­nale», aggiunge Char­bel. Tale visione è sup­por­tata anche dal sin­da­cato unico Etuf (Fede­ra­zione egi­ziana dei sin­da­cati), che in occa­sione delle cele­bra­zioni della Festa del lavoro presso l’Accademia di poli­zia, ha con­se­gnato al pre­si­dente al-Sisi un «codice di con­dotta» in cui esprime il «rifiuto degli scio­peri», si impe­gna al dia­logo con governo e impren­di­tori e denun­cia la «poli­ti­ciz­za­zione del sin­da­cato», con rife­ri­mento al movi­mento sin­da­cale indipendente.

La Fede­ra­zione egi­ziana dei Sin­da­cati indi­pen­denti (Efitu — prima nella sto­ria del paese, fon­data sim­bo­li­ca­mente in piazza Tah­rir a pochi giorni dall’inizio delle rivolte anti-Mubarak), è già stata pro­ta­go­ni­sta di lun­ghe sta­gioni di scio­peri e mobi­li­ta­zioni, ma vive oggi un periodo di crisi. Uno spar­tiac­que deci­sivo è stato pro­prio il golpe del 3 luglio 2013, aper­ta­mente appog­giato da alcuni dei lea­der più impor­tanti di Efitu. La frat­tura aperta in quel fran­gente si è andata ad aggiun­gere ad altre dif­fi­coltà e limiti pre­e­si­stenti. «Nono­stante possa con­tare su una lunga espe­rienza in scio­peri e mobi­li­ta­zioni, il movi­mento dei lavo­ra­tori non ha avuto tempo e modo di matu­rare le capa­cità neces­sa­rie a costruire e gestire orga­niz­za­zioni sin­da­cali», ci dice Heba Kha­lil dell’Egyptian Cen­ter for Eco­no­mic and Social Rights (Ecesr), think tank dell’avvocato comu­ni­sta Kha­led Ali. A que­sto si aggiun­gono le grosse ambi­guità nel qua­dro giu­ri­dico che regola la costi­tu­zione dei sin­da­cati, gli impe­di­menti buro­cra­tici per otte­nere un rico­no­sci­mento legale, e i pro­blemi finan­ziari a cui que­sti vanno incontro.

«Molti lavo­ra­tori hanno paura delle con­se­guenze eco­no­mi­che per chi lascia la fede­ra­zione uffi­ciale (Etuf): il rischio è quello di per­dere le quote ver­sate per anni nelle casse del sin­da­cato, e con esse dover rinun­ciare ad una buo­nu­scita che può arri­vare anche a 100mila ghi­nee (l’equivalente di quasi 12mila euro)», con­si­dera Nadine Abdal­lah del Ger­man Insti­tute for Inter­na­tio­nal and Secu­rity Affairs di Berlino.

Repres­sione

Dif­fi­coltà orga­niz­za­tive e repres­sione fanno sì che le pro­te­ste ope­raie ven­gano orga­niz­zate su base locale, con riven­di­ca­zioni limi­tate e a breve ter­mine, senza l’articolazione di una stra­te­gia comune. Anche le accuse di sabo­tag­gio e ter­ro­ri­smo nei con­fronti dei sin­da­cati indi­pen­denti si sono fatte fre­quenti dopo la depo­si­zione di Morsi, ma in maniera più leg­gera rispetto a quanto acca­duto agli ordini pro­fes­sio­nali, tea­tro di vere e pro­prie epu­ra­zioni ai danni dei sin­da­ca­li­sti vicini alla Fra­tel­lanza musul­mana. Nono­stante le pres­sioni sul sin­da­cato, secondo un rap­porto del Mah­rousa Cen­ter, le pro­te­ste ope­raie nei primi mesi del 2015 sono state 393, un numero che indica sì una fles­sione rispetto agli anni pre­ce­denti ma che in realtà dimo­stra un livello piut­to­sto alto di con­flit­tua­lità nei luo­ghi di lavoro.

La stampa indi­pen­dente e le ong che si occu­pano di diritti sociali ripor­tano ogni giorno noti­zie di pro­te­ste, marce, scio­peri e occu­pa­zioni sui luo­ghi di lavoro, senza con­tare i nume­rosi con­flitti aperti nelle cam­pa­gne tra con­ta­dini e gruppi di affari per l’accesso alla terra e alle risorse idri­che. Nono­stante la pun­tuale rispo­sta vio­lenta degli appa­rati di sicu­rezza e la chiu­sura dello spa­zio poli­tico, la rile­vanza del feno­meno testi­mo­nia forse la più grande con­qui­sta della cosid­detta «Pri­ma­vera egi­ziana» e dei movi­menti sociali che l’hanno ani­mata: il supe­ra­mento delle paure e una mag­giore dispo­ni­bi­lità a pro­te­stare e orga­niz­zarsi di fronte alle vio­la­zioni dei diritti.

Per que­sto si dice otti­mi­sta Talal Shokr, tra i primi ani­ma­tori del movi­mento sin­da­cale indi­pen­dente, mem­bro del con­si­glio diret­tivo della Fede­ra­zione demo­cra­tica dei lavo­ra­tori (Edlc). Lo incon­triamo nella sede del Cen­tro ser­vizi per sin­da­cati e lavo­ra­tori (Ctuws), a pochi passi da piazza Tah­rir. Lo tro­viamo indaf­fa­rato men­tre detta il testo di un volan­tino a un altro atti­vi­sta che batte alla tastiera le parole del com­pa­gno più anziano. Talal oggi si occupa di girare in lungo e in largo l’Egitto per tenere semi­nari di for­ma­zione diretti a lavo­ra­tori e con­ta­dini che inten­dono costi­tuire sin­da­cati indi­pen­denti sui posti di lavoro o nei vil­laggi. «Il movi­mento cre­scerà, sono fidu­cioso», ci assi­cura sfo­de­rando un grande sorriso.

da ilmanifesto.it

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