Emotività e razionalità. Dieci punti a partire dalla foto di Aylan, il bambino morto
Emotività e razionalità. Dieci punti.
1. Non ci appartiene la polemica sulla pubblicazione della foto del bambino morto, meglio dire ammazzato, sulla spiaggia. E’ evidente che migliaia di persone hanno visto nella pubblicazione di quella foto un modo per aprirsi una via tra il razzismo dilagante, per provare a rarefare l’atmosfera xenofoba irrespirabile che si vive nel nostro paese. Con quella foto, molti hanno detto, pensato, voluto dire: non posso arrendermi al razzismo che respiro ogni giorno. Va combattuto.
2. Ci appartiene la polemica sul fatto che indignarsi per una foto, avere uno slancio emotivo, di per sè non è sufficiente. E ciò che non è sufficiente, è inefficace. Ed essere inefficaci o superficiali, proprio dopo aver visto una foto come quella significa essere peggio dei peggiori razzisti.
3. Ci appartiene di conseguenza il tentativo di ricordare che la morte di un bambino è costante e continua conseguenza dell’intera politica mondiale. E che questa politica sgorga dal funzionamento del cosiddetto libero mercato, del capitalismo. Secondo un dato del 2010 26.000 bambini sotto i cinque anni muoiono ogni giorno semplicemente per povertà o cause facilmente prevenibili, dalle malattie infettive alla diarrea, dalla fame alle scarse condizioni igieniche.
4. La morte di un bambino è particolarmente tragica. Ma la tragedia è che si tratta di morti non necessarie, evitabili, che il mondo avrebbe già oggi tutti gli strumenti per debellare fame, povertà, guerra. Ogni giorno di vita per il capitalismo sono 26.000 bambini morti invano. Sta a noi scegliere come vivere questo giorno, se da complici, schiavi ignari, venduti consapevoli o come militanti per il cambiamento.
5. Riuscite a immaginare cosa sono gli ultimi attimi di vita di un bambino? La paura, il non sapersi spiegare perchè, l’innocenza che non trova appigli a quanto sta accadendo. Chissà se realizza quanta vita non vivrà, quanti giorni non vedrà, quanta esperienza non farà. Allora, immaginatelo quando lo scorso anno in spiaggia Israele fece una strage di bambini palestinesi mentre giocavano, immaginatevi quelli morti in Iraq per bombe e embargo, immaginatevi quelli morti nella guerra della ex Jugoslavia. Immaginate e tornate indietro fino ai bambini morti nelle stragi naziste e fasciste durante la seconda guerra mondiale. Ecco, forse capirete perchè ci indigna che vi indignate a correnti alterne. E che questa indignazione a comando dell’ultima botta emotiva rischi di essere, nonostante le migliori intenzioni, falsa. La bestia da combattere, capitalismo, fascismo, imperialismo, razzismo, è sempre lì. E ci deve indignare ogni giorno.
6. Uno scatto emotivo di fronte al cinismo e all’individualismo, di fronte a Salvini, è sintomo della nostra capacità di rimanere umani. Ma l’emotività di per sè non basta e non è di certo quello che ci divide dagli animali. La stessa emotività verrà sollevata domani dai media per qualche italiano morto per mano di migrante. E’ un meccanismo tipico di media, produrre grandi eventi emotivi che annullino la discussione. Questo meccanismo non ci appartiene e non ci può appartenere. Abbiamo altro da far valere.
7. I migranti delinquono? I dati dimostrano che non c’è rapporto diretto migrazione-criminalità. Ma non è questo il punto. C’è una invasione di migranti? I dati ridimensionano i numeri dell’invasione e il cosiddetto problema dell’accoglienza. Ma non è questo il punto. I migranti costano allo Stato italiano? I dati dimostrano che non è così, lo Stato italiano preleva in tasse dai lavoratori immigrati molto più di quanto spenda per tutto il fenomeno migratorio. Ma non è questo il punto. Anche se fosse, non è questo il punto. Giusto controbattere al razzismo dati alla mano. Ma non è questo il punto.
8. Il punto che ci divide da qualsiasi politica razzista, becera o democratica, finto securitaria o apertamente fascista, è che i flussi migratori non sono scelte individuali, ma fenomeni sociali. Sono un prodotto della società e come tali non imputabili al singolo individuo. Non è la rotta degli individui a dover essere cambiata, ma il corso della società. Essere migrante non è una scelta, non è una colpa, e non può essere quindi soggetto a limitazione. E’ la società che deve cambiare in base ai bisogni degli uomini. Non il contrario.
9. Nessun muro, schedatura, repressione, respingimento, fermerà il flusso migratorio perchè esso è il prodotto della disuguaglianza prodotta dal sistema, del movimento del capitale verso la mano d’opera povera e della mano d’opera povera verso il capitale. Ed è impossibile distinguere tra migranti regolari, quote di soggiorno, rifugiati, scappati dalla guerra o dalla fame. Tentare di respingere i flussi migratori è come sputare verso l’alto l’acqua di una cascata per fermarla. L’acqua ti ricade addosso più sporca di prima.
10. Il problema è l’intero sistema economico che sta travolgendo l’umanità. L’unica risposta possibile è perciò una politica antisistema, di rottura. Se così non credi, libero di continuare. Non ti lamentare però se in un mondo che affonda nella merda ti arrivano gli schizzi. In un mondo che crolla è bene che tu metabolizzi che “safe european home” non esiste e non è mai esistita. La parentesi è finita. La povertà e la guerra non hanno frontiere. E non ce l’ha la rivoluzione.
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