Il Calcio Popolare Cinese
da http://www.rivistaundici.com/
Al via nel weekend il campionato cinese più ricco di sempre: come il governo di Pechino vuole fare del calcio uno sport di massa ed entrare nell’élite mondiale.
Quando a Novi Sad nel 1981 vinse la medaglia d’oro ai Campionati del Mondo di ping-pong, Cai Zhenhua non avrebbe immaginato di poter diventare oltre trent’anni dopo uno degli uomini-simbolo dello sport cinese. Eppure, è successo: non era il numero uno della sua generazione, ma da manager ha saputo far meglio che da atleta e negli anni ha conquistato la fiducia del Partito Comunista cinese, cioè di quelli che comandano a Pechino. Dal 1991 al 2004 è stato il coach del team maschile di ping-pong, poi la politica: vice direttore dell’agenzia governativa per lo sport e molte federazioni presiedute; a quelle di badminton e tennistavolo si è aggiunta nel 2014 la poltrona più prestigiosa del calcio cinese. Mantiene le cariche tutte insieme e Xi Jinping, presidente della Repubblica popolare, gli ha affidato un compito importante: far crescere il pallone in Cina, ospitare un’edizione della Coppa del Mondo e vincerla.
Il massimo campionato sul quale governa Cai Zhenhua è la Super League, al via il 4 marzo. La sua crescita è continua da anni; oggi è la lega asiatica più ricca e riesce ad attirare molti giocatori di primo livello e allenatori membri di diritto del gotha calcistico. Rafforzare la serie-simbolo permette a tutto il sistema che gravita attorno al pallone di raggranellare risorse sempre maggiori: a ottobre la China Media Capital ha comprato per 1,3 miliardi di dollari i diritti televisivi per cinque anni, una cifra 25 volte superiore a quella incassata per la stagione 2015. Questo circolo virtuoso della ricchezza dovrebbe aiutare a colmare nel giro di qualche anno il gap economico con l’Europa – la sola Premier League che vale oltre 4 miliardi di euro – e soddisfare le mire espansionistiche di Xi Jinping.
Quello che manca è storia e prestigio. La Cina lavora per riformare il calcio, importare cultura e rafforzare la nazionale maschile: le copie sbiadite dei veri Red Devils hanno partecipato una sola volta a una fase finale dei Mondiali, in Corea del Sud e Giappone, nel 2002, e sono al93esimo posto del ranking Fifa, un gradino sopra le Isole Faroe e sotto il Botswana. A Pechino adesso si guarda al 2026 e il sogno è racchiuso nelle parole Coppa del Mondo.
Per entrare nell’Olimpo del calcio, il presidente Xi Jinping, un verofootball fan, ha scritto il programma del rilancio che intreccia politica, educazione e finanza: «Il calcio – si legge nell’unica tradizione in lingua occidentale, sul sito britannico wildeastfootball.net – ha un grande impatto sociale ed è amato dalle masse», per questo la riforma rappresenta «un’opportunità senza precedenti» in grado di «promuovere lo spirito patriottico» cinese.
Pubblicato a marzo 2015, il disegno della Repubblica popolare punta (nel breve periodo) a ripulire l’ambiente dopo lo scandalo del 2009; fissa i compiti della Chinese Football Association e mira alla creazione di una nuova generazione di calciatori che nel giro di 10-15 anni possano scrivere narrazioni epiche: chi si alimenta del suo stesso mito non può fare a meno di eroi nazionali.
«La crescita del calcio in Cina – ha spiegato Cai Zhenhua – dovrà essere un processo lungo» e bisogna imparare a coinvolgere «il più alto numero possibile di persone in tutto il Paese». Gli ultimi dati disponibili sul sito del governo (anno 2013) vedono il football al terzo posto per numero di sportivi certificati: i calciatori sono 5137, preceduti dai giocatori di basket (6719) e da chi fa atletica (8350). A livello giovanile – e amatoriale – i numeri del calcio migliorano fino a superare la soglia di 37mila atleti, ma come evidenzia uno studio di John Nauright, docente di cultura sportiva dell’Università di Brighton, l’obiettivo del governo è arrivare al numero record di 50 milioni di giovani aspiranti calciatori entro il 2025: «Per dirla in altri termini – ha scritto Nauright – è come se la popolazione della città di Bexhill, in East Sussex, crescesse fino a sfiorare il numero degli abitanti dell’Italia» – in soli nove anni.
Di fatto, la Cina – che ha una popolazione di 1,3 miliardi di persone ed ha recentemente detto addio alla politica del figlio unico – si muove per raggiungere questa crescita gigantesca, come dimostrano le politiche descritte nel piano messo a punto dagli sherpa di Xi Jinping e Cai Zhenhua. La riforma promuove lo sviluppo delle scuole, elementari e secondarie, dedicate al gioco del calcio: sono 5mila, l’obiettivo è di quadruplicare il loro numero entro il 2020 e di moltiplicarlo per dieci entro il 2025, quando ci si aspetta di averne 50mila.
Ospitare un’edizione della Coppa del Mondo è il penultimo obiettivo dell’imponente programmazione made in China: sullo sfondo del progetto c’è la volontà di lavare l’onta dello scandalo match-fixing del 2009 e all’orizzonte la bramosia della Repubblica popolare che vuole raggiungere per bellezza calcistica l’Occidente e conquistare il suo posto definitivo nella Storia. Il calcio, ha compreso Pechino, è un moltiplicatore di prestigio e «rivitalizzarlo è un obbligo per fare della Cina una vera potenza mondiale», ha detto (con molta ragione) il presidente della CFA.
In attesa che la nazionale possa scalare le posizioni del ranking Fifa, si muovono i club della Super League. Ai nastri di partenza della stagione 2016 ci saranno 16 squadre: per quindici di loro l’obiettivo è battere il Guangzhou Evergrande, la formazione più antica del Paese e molto famosa in Italia per aver avuto tra i suoi allenatori Marcello Lippi e Fabio Cannavaro. Dominano il campionato dal 2011 e lo scorso novembre, con Felipe Scolari in panchina, hanno conquistato la seconda Champions League asiatica nel giro di tre anni, sconfiggendo gli arabi dell’Al-Ahli: zero a zero all’andata e vittoria di misura al ritorno, grazie a un bel goal del brasiliano Elkeson, festeggiato da oltre 42mila tifosi sugli spalti.
Il 21 gennaio 2016, nel pieno di una finestra di calciomercato che ha visto le società cinesi piuttosto attive, Elkeson è stato venduto allo Shanghai SIPG – allenato da Sven-Goran Eriksson – che ha voglia di sfilare il titolo di campione proprio al Guangzhou. Secondo una fonte dell’agenzia di stampa cinese Xinhua, l’affare si è chiuso per una cifra tra i 18 e i 20 milioni di euro, ma il Guangzhou (si legge con sorpresa) sarebbe stato spinto a vendere il calciatore per senso patriottico, per permettere al club rivale di poter competere in Champions con le più forti squadre dell’Asia: «National glory», recita un comunicato della società riportato dalla stessa agenzia.
I gol più belli dell’ultima edizione della Chinese Super League
In un Paese che mischia fumosamente pubblico e privato, anche le squadre rivali remano dalla stessa parte. Del resto, è il governo che prova in qualche maniera a tenere i piedi saldi nel calcio investendo nello sport attraverso le società pubbliche. Lo Shanghai SIPG è un buon esempio: prende il nome dallo Shanghai International Port Group, società che gestisce in esclusiva i terminal del porto locale e che ha come suo secondo maggior azionista la China Merchants Group, di proprietà della Repubblica popolare. «Le 16 squadre che formano la CSL – ha scritto Marco Bellinazzo nel suo Goal Economy (Baldini&Castoldi) – sono di proprietà sia di aziende private che statali. Tutte società dalle incredibili potenzialità finanziarie che sono prosperate, soprattutto nell’ultimo quindicennio, nella scia del Dragone economico cinese».
I voli intercontinentali verso Pechino durante quest’ultimo mercato invernale lo dimostrano: Alex Teixeira, Jackson Martinez, Ramires, Gervinho e Fredy Guarin sono stati i cinque calciatori più pagati dalle squadre cinesi nei due mesi di mercato invernale; a questi si aggiunge Ezequiel Lavezzi, ormai della neopromossa Hebei China Fortune che ha pagato il cartellino a prezzo scontato (5,5 milioni di euro) premiando il calciatore con un contratto da 15 milioni di euro all’anno. Se il Paris Saint Germain è stato sfortunato perché aveva l’argentino in scadenza, lo Shakhtar Donetsk ha potuto incassare un assegno da 50 milioni per Teixeira e l’Atletico Madrid ben 42 per cedere senza rimpianti Jackson Martinez al Guangzhou Evergrande – che può contare al 50% sui miliardi del colosso web Alibaba. Il Chelsea si è fatto versare 28 milioni per Ramires, la Roma 18 per Gervinho e l’Inter 13 per lasciar volare Guarin. Tutti i calciatori hanno potuto negoziare contratti più attraenti di quelli che avrebbero avuto in Europa, ça va sans dire.
L’arrivo di noti professionisti del pallone, nel dettagliato disegno di Xi Jinping e Cai Zhenhua, ha un doppio valore: fa crescere il rumore mediatico attorno alla Super League e aiuta i cinesi a capire come poter fare calcio nei prossimi dieci anni. Per far questo, il governo sta anche spingendo le molte ricche società del Paese a puntare preziosi denari sul calcio d’Europa, il modello dal quale risucchiare know-how. A inizio dicembre 2015 una cordata cinese ha investito 400 milioni di dollari nel City Football Group per rilevare il 13% di quella che è una sorta di multinazionale del calcio, proprietaria di diversi club nel mondo come Manchester City, Melbourne City e New York City Fc. Non solo: Rastar, che si occupa di automobili, nel novembre scorso ha ritenuto opportuno comprare il 56% dell’Espanyol; l’uomo più ricco del Paese, Wang Xianlin, fondatore di Wanda, ha conquistato a suon di milioni il 20% dell’Atletico Madrid; l’energetica CEFC controlla il 60% dello Slavia Praga; la United Vansen International Sports è azionista di maggioranza dell’olandese ADO Den Haag. Per ora, una sola squadra tra le più nobili d’Europa è al 100% made in China: il Sochaux, tra i primi club francesi della storia, è della Ledus, società cinese specializzata in lampadine a led.
Se l’obiettivo è recitare la parte dei protagonisti sul palco del football mondiale, la Cina si sta muovendo nella giusta direzione, anche grazie al sostegno delle grandi multinazionali cinesi: Wanda Group, ad esempio, oltre all’operazione-Atletico, è diventata l’azionista di maggioranza di Infront, che gestisce svariati diritti di marketing sportivi in Europa, e finanzia la crescita di 180 giovani calciatori cinesi in Spagna. Questa alleanza patriottica, con la demografia galoppante e l’economia in rallentata crescita, di sicuro aiuterà mr Xi a coltivare il suo sogno e permetterà a Cai Zhenhua di restar saldo sulla sua poltrona presidenziale.
I cinesi, del resto, aiutano. La fame di calcio, come ha notato Nauright, è tanta se l’ultima finale della Coppa del Mondo in Brasile è stata vista in televisione da 100 milioni di persone, sebbene l’orario fosse alquanto proibitivo: le quattro di mattina. Anche le squadre europee fiutano affari e non solo cedendo i calciatori a prezzi fuori mercato: esportano a Pechino canali tematici, organizzano tour promozionali, investono sul merchandising.
«Sono convinto di essere nel posto giusto», ha detto Eriksson, uomo di calcio e di mondo, parlando dopo una partita di Champions League asiatica giocata a Melbourne. «Ho lavorato in Italia negli anni Novanta e tutti i calciatori volevano giocare lì; poi sono stato in Inghilterra negli anni Duemila quando molti sognavano la Premier per i soldi e la qualità del calcio. Ora, nel 2016, sembra che tutti vogliano giocare in Cina. Per le stesse ragioni». L’allenatore svedese è convinto che il futuro del calcio cinese sia «grandioso» e che la gloria della World Cup possa arrivare «in dieci o quindici anni».
Il leader Xi Jinping avrà sorriso, proprio come nel selfie con Aguero e David Cameron; Cai Zhenhua gli avrà sorriso, da cortigiano: il piano va, corre sospinto dalla Repubblica popolare, dalle aziende che mettono sul piatto soldi, relazioni e potere. Il programma funziona perché c’è disciplina e quando saranno 50 milioni i giovanissimi calciatori cresciuti nelle scuole del Paese, la Cina potrà davvero competere e diventare la potenza a tutto tondo che vuole essere, anche nel calcio. Il cuore dice 2026, ma più realisticamente qualcosa si potrà vedere nel 2030 e non è difficile immaginare le bandiere rosse al vento in piazza a Pechino, con tutti per una volta davvero felici: «La Cina ha vinto la prima Coppa del Mondo».
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