Stati Uniti – Il diavolo e la Clinton

Questo post su CounterPunch lancia un atto d’accusa contro l’establishment politico americano —tanto Repubblicano quanto Democratico— che dopo avere spremuto e impoverito la classe lavoratrice e la classe media per quarant’anni, dopo avere spinto la competizione al ribasso tra lavoratori tramite gli accordi “di libero scambio” (come il NAFTA), dopo avere intrapreso ogni genere di aggressione e guerra fomentando esodi di profughi e terrorismo internazionale, ha l’ipocrisia di fingere sorpresa e preoccupazione di fronte all’avanzata di Trump, dell’esasperazione xenofoba e antipolitica. In tutto ciò, Trump è un perfetto figlio di quella ristretta classe sociale di straricchi, di quell’uno percento tutelato e coccolato per decenni dallo stesso establishment.

di Rob Urie, 18 marzo 2016

Con tutto l’inchiostro versato su quel buffone neofascista, nonché probabile prossimo Presidente degli Stati Uniti, di Donald Trump, si è detto ben poco di sensato sulle circostanze che stanno fomentando la sua candidatura. L’America è da sempre il paese degli stravaganti ricconi bianchi razzisti e xenofobi. Talvolta li si cita perfino tra i Padri Fondatori. In tempi normali, indipendentemente da cosa ciò possa significare, le candidature di eccentrici stravaganti come Trump sono limitate dal fatto che la gente è occupata a farsi la propria vita. Ma dopo quaranta anni di eviscerazione economica della classe media e della classe lavoratrice americana, tramite un’accuratamente orchestrata competizione al ribasso con i lavoratori di oltre confine, a un ampio numero di persone non resta più una propria vita di cui continuare ad occuparsi.

Per quanto sia perfettamente corretto accusare Trump e i suoi minions di razzismo e xenofobia, l’establishment politico americano ha esattamente altrettanto di cui rispondere a questo riguardo. Una spiegazione un po’ più dettagliata della crescente xenofobia può essere trovata nella competizione economica che questo establishment ha inflitto dall’alto. Gli accordi di “libero scambio” che sono stati ratificati uno dopo l’altro erano intesi ad abbassare i salari della classe lavoratrice e della parte più bassa della classe media. L’ovvio risultato è stato un’ampia privazione dei diritti economici nei paesi che un tempo erano ad alto reddito. I lavoratori messicani emigrati a causa del NAFTA sono stati vittimizzati almeno quanto i lavoratori americani emigrati, ma ovviamente i veri responsabili, che risiedono nell’establishment politico americano, si sono guardati bene dall’incolpare se stessi.

Agitare le vittime delle politiche imperialiste le une contro le altre per impedire la ribellione organizzata è una tattica vecchia quanto il capitalismo. È importante notare che Donald Trump non sta parlando affatto di ridare vita a un movimento dei lavoratori, pur sostenendo (correttamente) che è proprio la privazione dei diritti economici a spiegare molta della disillusione popolare verso l’establishment politico. La sua richiesta per delle “migliori” trattative per gli accordi di scambio è finalizzata a reindirizzare lo sfruttamento, non a farlo finire. La ratifica del NAFTA ha portato ad una ostile acquisizione nell’economia locale messicana da parte di multinazionali americani pesantemente sussidiate, con milioni di rifugiati economici che hanno dovuto spostarsi verso nord — l’intero programma era una cinica porcheria fin dall’inizio. Una cinica porcheria “migliore” è adesso ciò di cui Donald Trump sta parlando.

Molto è stato fatto sotto copertura, dai Clinton, tramite la classe dirigente “nera” — inclusa la loro politica punitiva, razzista e classista del “tre condanne e sei fuori”, le condanne obbligatorie alla prigione per piccoli reati di droga, la deregolamentazione di Wall Street che favorisce la finanza predatoria, le “riforme” del welfare e lo sfrenato massacro di centinaia di migliaia di bambini iracheni tramite le sanzioni. La potente retorica xenofoba di Trump è resa possibile dalla creazione, a cui la Clinton ha collaborato, di circa dieci milioni di rifugiati dalla Siria, dalla Libia e dall’Iraq — tutte guerre direttamente o indirettamente sostenute dalla Clinton nel suo ruolo di politico americano di spicco. La Clinton non ha fatto un passo avanti per rivendicare la distruzione umana e la miseria che ha causato. Ma i rifugiati ci sono, e sono lì per essere demonizzati da Trump grazie a precise politiche in cui la Clinton è coinvolta.

Uno dei punti sollevati quando Barack Obama ha rifiutato di perseguire i crimini di guerra dell’amministrazione Bush era che “noi”, gli umani che abitano questo pianeta, siamo a solo pochi anni dal vedere qualcun altro assumere il ruolo di Presidente degli USA. Con Trump in piena ascesa, quel momento è quasi arrivato. Per essere chiari, a Donald Trump serve solo un contatore di morti con cinque o sei zeri per iniziare a competere con la Clinton nella produzione di morte e miseria. Poteva forse essere una buona idea, per Obama, ri-criminalizzare i crimini di guerra, per amore dell’umanità? E poteva essere una buona idea preoccuparsi un po’ di più delle decine di milioni di persone gettate nel mucchio della pattumiera economica e un po’ meno del benessere dei banchieri che ce li hanno gettati?

La politica americana dell’Immacolata Concezione, quella di relegare questi risultati economici e politici in un passato remoto, in modo da porre davanti a tutto delle differenze ideologiche come se fossero sostanziali, è centrale nell’attuale processo politico. La classica “mosca nella minestra” che ha rovinato tutto questo bel programma è che i lavoratori automobilistici di Detroit, o i lavoratori dei mobilifici del Nord Carolina, hanno capito ormai dagli anni ’80 che il “libero mercato” era solo la scorciatoia di politiche che li hanno fregati a vantaggio dei loro padroni e della finanza di Wall Street. Che ora ci siano economisti mainstream (Krugman, Reich) che capiscono ciò che la maggior parte dei lavoratori a bassa istruzione hanno capito da un quarto di secolo, va registrato alla voce “trionfo dell’ovvio”.

A tutto ciò si legano anche i programmi di “esenzione dalle ipoteche” portati avanti dall’amministrazione Obama all’insegna della politica del “Voi gente siete troppo stupidi per capire che vi stiamo fregando”. Un salvataggio all’ultimo istante di ventisette milioni di persone (nove milioni di pignoramenti per una media di tre persone a famiglia) è ottimo per produrre l’entusiastica disillusione di tutti coloro che sono coinvolti, i loro amici e le famiglie estese. Mentre la maggior parte dei pignoramenti si sono già risolti da tempo nelle zone dove le abitazioni sono totalmente mercificate, alcune delle zone meno popolate d’America, come Chicago, Detroit, Atlanta, Houston, Philadelphia, Indianapolis, Milwaukee, Birmingham, Jackson, Buffalo, Baltimore, Washington, Bridgeport, Hartford, Springfield, Cincinnati, Cleveland, e alcune altre centinaia di piccole e medie città sono ancora alle prese con l’incubo dei pignoramenti nelle zone “centrali”.

A ciò si lega anche il punto sollevato da Tavis Smiley, che i cittadini di colore hanno visto i loro lotti diminuire in termini sia relativi che assoluti durante il mandato del primo presidente nero. L’avvio della più ampia politica che ha portato agli espropri era avvenuto già prima. La questione allora è se Obama abbia usato gli strumenti a sua disposizione per aiutare le persone che percepiscono il possesso dei loro lotti come legato in qualche modo alla sua ascesa politica. Ed è qui che subentra la frode economica che la Clinton ha perpetrato contro i suoi potenziali elettori — i conservatori di colore degli Stati del sud sollevano il problema del debito nazionale per spiegare la riluttanza di Obama a migliorare le condizioni di vita della metà più povera del paese, quando in realtà non esiste proprio nessun vincolo. Come è stato dimostrato nel momento in cui il governo federale ha impiegato decine di migliaia di miliardi di dollari per salvare Wall Street, i soldi ci sono sempre stati — ma in favore di chi è ricco e ha conoscenze.

Una domanda da fare alle vecchie femministe che sostengono Hillary Clinton è: quale parte della società è quella rilevante: la classe, il genere o la razza? Fin dall’inizio della campagna per il TPP e la ratifica del NAFTA da parte di suo marito, la Clinton è sempre stata una fervente imperialista. Con la sua volontà di distruggere intere nazioni per un capriccio, la Clinton è una fervente militarista. Con i suoi fondi per la campagna elettorale e la sua fortuna personale, la Clinton è un’ottima amica di Wall Street. Con le sue politiche carcerarie, la Clinton è un’opportunista razziale che ha usato la vita di milioni di cittadini di colore come trampolino di lancio politico a vantaggio della propria “carriera”. Ci vuole poco a indovinare che metà delle vittime della Clinton siano state donne.

Donald Trump fa tanta paura quanto sconsiderate sono le sue opinioni. Ha vissuto la sua vita tra gente i cui guadagni dipendevano dal non dirgli mai di starsene zitto. Il suo elettorato nell’insieme non si rende conto di questo e di cosa ci sta dietro — quello che a loro sembra “dire la verità al potere” è in realtà solo un bullo privilegiato che si è infatuato del suono della propria voce. Trump è figlio di quella classe sociale che l’establishment — tanto Repubblicano quanto Democratico — si è impegnato ad arricchire per quattro decenni al punto da separarla dalle conseguenze sociali delle proprie azioni distruttive. Donald Trump è un membro a pieno titolo di quella classe sociale, uno che ha ereditato tutto, e quando va in televisione finge di essere un estraneo, uno fuori dal sistema. Non si può considerare un caso che Trump e Hillary Clinton siano stati amici, sul piano personale, per oltre vent’anni.

L’establishment democratico è sul punto di disfarsi di quell’intralcio di Bernie Sanders, e di portare la Hillary Clinton a candidato da contrapporre a Donald Trump. Questi si credono troppo furbi. Le “occasioni mancate” degli scorsi sette anni stanno per imporsi. La Clinton è una guerrafondaia, amante dei trattati di “libero scambio”, amica di Wall Street in un momento in cui una buona parte dell’elettorato aspetta solo di appiccare fuoco a tutto questo e spianare la strada a Trump. La domanda da fare a quelli che sono pronti a votare la Clinton per “fermare” Trump è: poi chi voterete per fermare la Clinton?

tratto da http://vocidallestero.it/ 

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