Il carcere dagli anni Sessanta ad oggi – Lotte e repressione

Innalzamento della repressione e delle lotte carcerarie

Nei primi anni Ottanta si inasprì la repressione contro il movimento rivoluzionario e contro il movimento dei detenuti. Le torture diventano pratica “normale” per ottenere informazioni dagli arrestati (vedi qui,). Nelle carceri speciali le condizioni peggiorano fino a diventare invivibili, con pestaggi, isolamenti e vessazioni varie che vanno dal divieto dei colloqui all’isolamento punitivo e spingono settori via via crescenti di detenuti/e a cercare soluzioni compromissorie che approderanno alla “dissociazione”, approvata con legge 18 febbraio del 1987, n.43. (Vedi qui)

L’obiettivo dello stato e dei governi che dal1980 si succedono è preciso: il carcere va pacificato con ogni mezzo! Ed usarono i mezzi “duri” che abbiamo visto e quelli “morbidi” che inseriscono nella permanenza carceraria la strategia “premiale”. Si tratta di predisporre leggi che propongano benefici per quei detenuti/e che rispettino a puntino la “buona condotta”. In particolare 3 m3si di sconto di pena “liberazione anticipata” per ogni anno di buona condotta e poi i “permessi premio”, la “semilibertà”, “l’affidamento in prova ai servizi sociali”, la “detenzione domiciliare”, la “condizionale”, ecc., con l’ultimo decreto-legge anche la “messa alla prova”. Chi protesta, tenta di evadere, organizza i detenuti, perde questi benefici. E quanto più sono consistenti, tanto più alto è il costo da pagare per chi si oppone al carcere.

Salvatore Verde, sociologo, studioso del carcere e dei sistemi del controllo sociale, nel suo libro “Massima Sicurezza – Dal carcere speciale allo stato penale”- Odradek ed. 2002, così analizza quel periodo:

«Nell’ottobre del 1986 entra in vigore la legge n. 663 di riforma dell’Ordinamento Penitenziario, meglio conosciuta come “legge Gozzini“. Il 18 febbraio del 1987 viene varata la legge n. 34, recante “misure a favore di chi si dissocia dal terrorismo”. La coincidenza dei due provvedimenti legislativi non è affatto casuale ma segna, anzi, un punto di approdo importante del processo di trasformazione del nostro carcere. Nel corso del dibattito parlamentare sull’approvazione di questi due provvedimenti, diversi relatori riconoscono il peso che il movimento della dissociazione dalla lotta armata ha avuto nel promuovere l’approvazione della Gozzini».

La “Gozzini” è stata varata quando non erano ancora finite le “grandi emergenze” ha quindi subito l’immissione al proprio interno dell’ideologia emergenziale in auge in quel periodo: l’uso delle carceri speciali, l’articolo 90, la delazione, il pentitismo, la dissociazione. Poi le emergenze hanno cambiato nome e soggetti sociali interessati, ma la gestione individualizzata e premiale della politica carceraria non solo si è mantenuta, ma ha subito un’impennata, anche per la venuta meno della conflittualità all’interno delle carceri e soprattutto per l’assenza di un appoggio solidale dall’esterno.

La legge Gozzini, sebbene abbia permesso a molti prigionieri di uscire momentaneamente o parzialmente dal carcere, è la stessa che oggi nega ad altri la libertà. A pochi anni dalla sua approvazione ha recepito le misure emanate nei primi anni Novanta in piena emergenza criminalita’ organizzata.

L’art. 41bis (carcere duro), affiancato dall’art 4bis (pericolosità sociale) dell’OP sono stati introdotti nell’ordinamento penitenziario dalla legge Gozzini, come l’art.90 introdotto dalla riforma del 1975, ma inizialmente venivano applicati soltanto in situazioni di rivolta o altre gravi emergenze nelle carceri ed erano tassativamente temporanei. Dopo la strage di Capaci del 23 maggio 1992, il d.l. 8 giugno 1992, n. 306, introduce il carattere permanente e peggiorativo di questo regime di detenzione.

L’art 4bis (Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti), è un accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti, come associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, sequestro di persona ed eversione politica che non collaborino con la giustizia; esclude le persone condannate dal poter usufruire della misure alternative alla detenzione e di ogni altro beneficio.

L’articolo 41bis istituisce, per alcuni condannati, carceri, o singole sezioni, con regimi di carcerazione speciale: le super-carceri dove i colloqui sono rarefatti e attraverso vetri divisori, la corrispondenza censurata, le ore d’aria ridotte e in solitudine, … fino ai processi in videoconferenza e le telefonate con gli avvocati intercettate. Nel 1995 il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (C.P.T.) ha visitato le carceri italiane per verificare le condizioni di detenzione dei soggetti sottoposti al 41bis. Ad avviso della delegazione, questa regime detentivo era risultato il più duro tra tutti quelli presi in considerazione durante la visita ispettiva. La delegazione intravedeva nelle restrizioni gli estremi per definire i trattamenti come inumani e degradanti.
Da allora le condizioni di detenzione delle persone sottoposte al regime del 41bis sono ulteriormente peggiorate, tra l’altro impedendo di ricevere libri dall’esterno e di tenerne in cella non più di due.

Modalità 41bis in confronto con Art.90

 Introdotte sull’onda della cosiddetta “emergenza mafia”, queste misure speciali hanno avuto una ricaduta pesantissima su gran parte della popolazione detenuta. L’uso massiccio e arbitrario dell’art. 4bis, del marchio di pericolosità sociale, per traffico di stupefacenti e sequestro di persona è stato utilizzato per differenziare, all’interno della popolazione detenuta, una parte considerata irriducibile (perché inserita in organizzazioni criminali o per aver mostrato forte recidività), da quelli potenzialmente reinseribili in un contesto lavorativo o terapeutico, o comunque controllabile dai meccanismi premiali.

Riepilogando: negli anni Novanta si verifica una sostanziale “pacificazione” del carcere. Assenza di rivolte e di proteste forti. Nel “carcere pacificato” diminuiscono fino ad essere espulse le proteste, le rivolte e le evasioni, ma entra pesantemente la morte. Aumentano i suicidi, quadruplicati rispetto agli anni Settanta, gli atti di autolesionismo, decuplicati, aumentano le morti per “cause da accertare”.  Cosa era successo? Non sono state le stragi (come quella di Alessandria eseguita da Dalla Chiesa), i pestaggi e i massacri, a piegare la lotta dei detenuti, e nemmeno l’introduzione della legge Gozzini che dava ordine ai meccanismi premiali da sempre presenti nel carcere e che ne costituiscono l’essenza fondante. Quando la legge Gozzini è stata approvata, nel 1986, il movimento di lotta  nelle carceri si era già da tempo ripiegato ed era in via di esaurimento. Quel movimento era nato e si era sviluppato con la consapevolezza di poter contare su un valido e vasto movimento solidale esterno, che ne amplificava la voce e consentiva i rapporti tra carcere e carcere e fra carcere e territorio; venuto meno il movimento esterno, esauritasi la comunicazione esterno-interno, anche le lotte in carcere stentano a ripartire.

Sulle ceneri del movimento dei detenuti, è tornato ad imperare nelle carceri l’individualismo, si è ricostituita la rete di gerarchie più o meno legate alla custodia, di nuovo clientelismo e subordinazione, accentuata dall’incremento dei reati per sostanze stupefacenti che hanno incrinato il residuo livello di solidarietà all’interno.

Questo articolo fa parte di un testo in cinque parti tratto da contromalestrom (link di seguito)

Il carcere dagli anni Sessanta ad oggi

Il carcere dagli anni Sessanta ad oggi – Le carceri speciali

Il carcere dagli anni Sessanta ad oggi – Lotte e repressione

Il carcere dagli anni Sessanta ad oggi – Repressione preventiva

Il carcere dagli anni Sessanta ad oggi – Modifiche del carcere

 

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