Ancora sulla Brexit: su sovranità e nazionalismo (seconda parte)

Con questo testo torniamo sulla natura dei campi politici che si sono confrontati nella Brexit. Va completato e integrato con quanto abbiamo scritto in precedenza e con quanto argomenteremo nella futura terza parte.

1. La sostituzione del leader conservatore e Primo Ministro Cameron con Theresa May è avvenuta prima di quanto ipotizzassimo. Ma la sostanza non cambia: al suo primo incontro con la Merkel, la May ha subito spiegato che la procedura di inizio della Brexit – attraverso l’articolo 50 del Trattato di Lisbona – non avverrà in tempi rapidi, probabilmente non prima della fine dell’anno. La Merkel stessa non ha messo fretta.

2. Il temporeggiamento dipende semplicemente da questo: Germania e Regno Unito non possono fare pace, ma temono la guerra.

3. Lasciare andare la Gran Bretagna senza punirla non è contemplabile: una nazione che uscisse tranquillamente dall’Unione Europea, avviando trattative bilaterali con ognuno dei suoi membri, traendone libertà di manovra e sottoscrivendo al contempo una serie di accordi commerciali favorevoli sarebbe un esempio contagioso e centrifugo per ognuno dei paesi componenti l’Unione Europea.

4. Allo stesso tempo non è contemplabile farla andare via senza provare a ridurre il danno, regolamentandone l’uscita: il valzer di scontri commerciali e di svalutazioni competitive derivanti da una rottura brusca renderebbe ancora meno controllabile il ciclo economico. E tra questi due scenari, tra un’uscita tranquilla e una traumatica, c’è l’intero spettro dell’indecisione e dello stallo della borghesia europeista.

5. Nella fase suprema del capitalismo il monopolio e gli accordi di cartello sono meccanismi fondanti del mercato tanto quanto la concorrenza. L’Unione Europea è un tentativo costante da parte dei diversi capitalismi europei di praticare una politica di “cartello”, nel tentativo disperato di diminuire la concorrenza reciproca per competere meglio nel resto del globo. Uscendo dall’Unione Europea, il Regno Unito perderà il le facilitazioni sul commercio europeo, i finanziamenti europei, l’accesso alla politica di cartello europea su agricoltura, materie prime e industria. Reagirà a questa perdita cercando di accumulare vantaggi competitivi su altri terreni: oscillazione della moneta, agevolazioni fiscali, intensificazione dello sfruttamento della forza lavoro, comprimendone ulteriormente diritti e costi. In una guerra di questo tipo, ogni concorrente inizia a inseguire l’altro sul proprio terreno: ogni vantaggio competitivo viene rimangiato dalla contromossa dell’avversario, in una spirale di cui si può perdere il controllo.

6. La Brexit ha determinato uno dei crolli in Borsa maggiori degli ultimi 30 anni: non perché essa scuota di per sé le fondamenta del capitalismo, ma perché inserisce ulteriore incertezza in un ciclo economico che si trova in questo istante sul crinale di un potenziale nuovo dip, il terzo grande momento recessivo globale dal 2008 ad oggi.

7. L’instabilità generata dalla Brexit apre le vie alla lotta di classe? Le divisioni ai vertici della classe dominante possono riflettersi alla base della società, liberando l’energia cinetica della lotta di classe dal basso delle classi dominate. Questo in un certo senso è vero. Ma è tanto più vero quanto il movimento dei lavoratori e degli sfruttati si mantiene indipendente rispetto alla guerra tra bande che imperversa nel campo avversario. E’ per questo francamente inaccettabile l’atteggiamento di chi a sinistra si è collocato nel campo del “Leave” alla ricerca della pietra filosofale della “sovranità popolare” o chi si è posto nel campo del Remain in nome della lotta per l’internazionalismo.

8. E’ impensabile concepire la crisi dell’Unione Europea e l’aumento delle tensioni tra i diversi capitalismi europei, senza che nello stesso campo borghese sorga il nazionalismo. E’ impensabile che le classi dominanti europee aumentino la guerra tra di loro senza premunirsi di arruolare in questa guerra le masse attraverso l’ipnosi nazionalista. E’ inconcepibile che al momento della rottura dell’Unione Europea ci siano solo due campi avversi: europeismo borghese da un lato e scontento popolare dall’altro. Liberismo e protezionismo, europeismo o nazionalismo sono politiche borghesi che sorgono l’una dal fallimento dell’altra, mescolandosi, convivendo, alternandosi spesso in maniera schizofrenica. Non c’è Brexit senza Ukip, non c’è grandeur francese senza Le Pen. E non c’è Unione Europea senza Merkel o Renzi. Per questo vaccinarsi contro il nazionalismo è oggi tanto importante quanto combattere ogni residuo di virus europeista nella testa dei lavoratori.

9. Tralasciamo il fatto che la “sovranità popolare” non esiste. Che anche in un paese cinto da frontiere e muri, la sovranità appartiene alle classi e non “ai popoli”. Tralasciamo il fatto che “il popolo” non ha mai avuto la sovranità sulla moneta né sulla Banca perché in un qualsiasi paese capitalista questa sovranità appartiene alla classe dei proprietari. Tralasciamo, ma solo per un senso di imbarazzo, che in alcune correnti a sinistra abbiano sostituito il primo capitolo del Manifesto “Borghesi e proletari” con il capitolo “Lira, dracma sterlina e euro”.

Ci limitiamo qua a semplicemente a notare questo: il nazionalismo non è altro che una diversa via del capitale di praticare la propria politica internazionale. Non è la via verso la sovranità, né di popolo, né nazionale. Nè verso il quieto vivere “a casa propria” o verso l’autonomia dallo scenario internazionale. Autarchia, determinazione nazionale: illusioni. E nell’epoca del massimo sviluppo del mercato mondiale: illusioni al cubo. Nessun paese può astrarsi dal mercato mondiale. Ciò che non viene preso dal mercato mondiale con la “semplice” concorrenza economica o con gli accordi tra i diversi pescecani su come spartirsi la vasca, viene preso attraverso lo scontro e la guerra: sia essa doganale o fiscale o valutaria o guerreggiata. I capitalisti europei passano dall’accordo allo scontro perché la crisi intensifica la necessità di competere, riducendo la possibilità di manovra e di limare le differenze, divaricando le velocità e le esigenze dei settori economici e delle diverse economie nazionali. Il nazionalismo è la copertura ideologica di questa nuova fase, così come l’europeismo lo era di quella precedente.

10. Se quindi è chiarissimo che nel campo del “Remain” si schierava il gotha del potere finanziario europeo, è altrettanto sbagliata la rappresentazione secondo cui nel campo del “Leave” non vi fosse alcuna corrente borghese, ma solo l’inglese medio scontento con in mano la matita per votare. A meno che non si voglia sostenere che una buona parte dei dirigenti del partito conservatore e dell’Ukip rispondano solo a sé stessi e al ceto medio arrabbiato. Il ceto medio, questa mitologica creatura che domina i sondaggi, è incapace di dispiegare una politica autonoma. Dietro il Leave esiste in verità un’opzione borghese. Il fatto è che essa non comporta qualche piccolo cambiamento di questo o quel trattato ma una seria ristrutturazione dell’economia e della politica inglese e di riflesso di quella europea.

Comporta un conflitto economico che nessuno sa se può vincere.

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