Le dannate di Varsavia

Tratto da: http://cenis-italia.tumblr.com/

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In Polonia l’attuale legge sull’interruzione di gravidanza è stata introdotta solo nel 1993 e prevede l’IGV in tre soli casi: stupro o incesto, pericolo di vita per la madre, gravi malformazioni del feto; rischia fino a tre anni di reclusione chi eccede da tale casistica.

Anche entro i limiti consentiti la lenta burocrazia da un lato e la fortissima presenza cattolica dall’altro hanno sempre reso estremamente difficile, anche più che in Italia, la messa in atto della legge. Pertanto per ricorrere all’interruzione di gravidanza le più facoltose emigrano all’estero (prevalentemente in Germania e nel Regno Unito), le altre, per un totale di ottantamila all’anno (stime Federazione delle donne e della pianificazione familiare), acquistano pillole abortive online o ricorrono alle mammane 2.0, medici che per cifre che toccano i quattromila euro praticano aborti con mezzi obsoleti in cliniche illegali; spesso sono gli stessi che rifiutano di praticarli legalmente. Agnieszka Graff-Osser, esperta di studi di genere e fondatrice della “Coalizione donne dell’8 marzo” afferma che queste pratiche sono relativamente sicure. L’Organizzazione mondiale della sanità ci ricorda comunque che all’anno quarantasettemila donne muoiono per aborti non sicuri e otto milioni e mezzo ne traggono gravi conseguenze fisiche; la rivista scientifica inglese Lancet conferma una mortalità di una donna su sette, oltre a sottolineare che il tasso di aborto è più basso nei paesi con leggi più permissive” e che “leggi più restrittive sull’aborto non sono correlate con un abbassamento del tasso di interruzione di gravidanza” (2008).

Nell’aprile del 2011 il movimento pro vita polacco Fundacja Pro raccoglie in sole due settimane sui tre mesi concessi il mezzo milione di firme necessarie a presentare un progetto di legge per vietare completamente l’aborto. Tanta rapidità riflette il clima conservatore del paese, dove secondo un sondaggio condotto da Lifenews.com nello stesso anno, il 65% dei polacchi (con una paradossale prevalenza fra i giovani rispetto alla fascia d’età fra i 55 e i 70 anni) è a favore di una legge che tuteli la vita sin dal concepimento.

Il 1 luglio la mozione presentata dagli ex comunisti di Alleanza della Sinistra democratica per bloccare il progetto di legge viene ampiamente respinta con 254 voti contro 151; il 31 agosto il progetto di legge da loro stessi presentato per garantire la contraccezione gratuita, l’aborto gratuito entro la dodicesima settimana, migliorare l’educazione sessuale nelle scuole e facilitare la fecondazione assistita viene bocciata da una maggioranza di 369 voti contro 31. Lo scarto che separa invece il progetto di legge di Fundacja Pro dalla vittoria è di soli cinque voti: 191 voti contrari da parte di Piattaforma Civica (il partito del premier Tusk), 186 voti favorevoli dal partito conservatore Diritto e Giustizia, il Partito Popolare Polacco e i liberalconservatori del PjN.

La Chiesa Cattolica ha mostrato all’epoca dei fatti e mostra tutt’ora un totale appoggio a quei movimenti che mirano all’abolizione del diritto all’aborto, diritto che Grégor Puppinick, direttore del Centro per il diritto e la giustizia ha negato esistere (Lifenews, 2011); fra i sostenitori dell’iniziativa di Fundacja Pro spiccano Stanislaw Dziwisz, ex segretario personale di Papa Giovanni Paolo II, monsignor Jozef Michalik, presidente della Conferenza Episcopale della Polonia, e l’arcivescovo di Przemysl.

Il caso polacco è tornato internazionale nel 2015, quando l’associazione Woman of Waves ha fatto volare un drone dalla tedesca Francoforte sull’Oder a Slubice, trasportando così un carico (sotto il limite consentito di cinque chili) di mifepristone e misoprostol, farmaci abortivi autorizzati dall’OMS. Era il 27 giugno, ben quattro mesi prima dell’elezione dell’attuale governo ultra-nazionalista.

Dati alla mano, dunque, dire che in Polonia il diritto all’aborto in questi giorni è sotto attacco sarebbe ipocrita: il diritto all’aborto sotto attacco lo è sempre stato. Da ammettere è però che le elezioni del 25 ottobre non hanno certo migliorato la situazione. Legge e giustizia, il partito conservatore, nazionalista ed euroscettico di Jaroslaw Kaczynski ha infatti ottenuto il 38% e -primo partito a riuscirci dalla fine del regime comunista- la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento. Per la prima volta, inoltre, nessuno schieramento post-comunista ha superato lo sbarramento per accedere al parlamento.

In marzo 2016 la Chiesa cattolica polacca ha lanciato una nuova campagna per raccogliere le 100.000 firme necessarie a presentare una nuova legislazione che introduca il divieto di aborto, subito sostenuta dal primo ministro Beata Szydło (una donna, sic): le motivazioni espresse sono che neppure lo stupro, il pericolo di morte per la madre o una malformazione tale da impedire una dignitosa qualità della vita per il nascituro possono legittimare alla soppressione di una vita. Quantomeno non è possibile tacciare i rappresentanti della Chiesa di incoerenza, considerato che più volte i suoi rappresentanti hanno affermato la maggiore gravità dell’aborto rispetto allo stupro anche a danni di minori (mons. Giovanni Battista Re, 2009; mons. José Cardoso Sobrinho, 2009; mons. Fabio Martinez Castilla, 2013): d’altronde, secondo il diritto canonico, il primo comporta scomunica automatica, il secondo no.

E in una chiesa cattolica durante la messa del 3 aprile 2015 l’officiante decide di leggere una lettera a sostegno dell’iniziativa: l’unico risultato che ottiene è l’uscita di massa delle donne presenti. Fedeli? Graff-Osser teme di no, rassegnata alla passività dei fedeli polacchi, e afferma che “si trattava di una mobilitazione organizzata da un gruppo di femministe radicali”.

Pochi giorni dopo (il 10 aprile), dopo una serie di manifestazioni oceaniche e una martellante campagna online contro la nuova proposta di legge, Diritto e giustizia fa un passo indietro: Szydło si mostra -poco credibilmente- sorpresa dal fermento popolare, e non solo dichiara di non voler più  sostenere l’iniziativa cattolica, ma che neppure il governo sta lavorando in questo senso.

Per tutto maggio le iniziative pro life e pro choice hanno continuato a susseguirsi nelle piazze polacche. Nel frattempo, Giustizia e libertà riceve una serie di richiami ufficiali dall’Unione Europea riguardante il suo conservatorismo nel campo dei diritti civili.
E siccome a pensar male si fa peccato ma anche ad essere pro-choice, quindi faccio le cose per bene, il 23 settembre la camera bassa approva con larga maggioranza il disegno di legge, proposto da Ordo Iuris. La nuova legge limiterebbe il diritto all’interruzione di gravidanza solo ed esclusivamente al pericolo di vita per la madre, portando a cinque anni di detenzione la pena in qualsiasi altro caso. E per passare dal condizionale all’imperativo bastano solo altri due passaggi fra le camere.

Scatta la protesta. La Protesta Nera. Donne vestite di nero erano già presenti fuori dal parlamento durante la prima discussione, ma lunedì 3 ottobre migliaia di donne in nero si riversano nelle piazze di tutta la Polonia, in sciopero. Chiudono università, uffici, servizi. L’accesso alla sede di Diritto e giustizia viene preclusa dalle manifestanti armate simbolicamente di grucce, strumento per eccellenza dell’aborto clandestino. L’hashtag #CzarnyProtest e l’immagine simbolo della campagna, un utero e annessi che fanno il dito medio su sfondo nero, fanno il giro della rete in sostegno alle donne polacche.

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Il 5 ottobre il ministro Jarosław Gowin dichiara che le manifestazioni “ci hanno spinto a riflettere e sono state una lezione d’umiltà”. Il governo non continuerà l’iter legislativo. È finita. Uno a zero per noi.

Eppure non me la sento di gioire troppo. Sarà che di un Dio che mi fa il grande (e apprezzatissimo, sia mai!) dono del libero arbitrio ma mi dice che la mia coscienza non è sufficiente per usarlo non mi fido troppo: mi fa venire in mente quei padri che regalano la PlayStation ai figli solo per giocarci loro. Sarà che una religione che come atto fondativo ha la libera scelta di una ragazzina di diventare madre, ma io non posso usare né contraccezione né IGV, qualche dubbio me lo fa venire. Sarà che un gruppo di uomini celibi e astinenti che mi istruisce su come vivere la mia sessualità mi fa incazzare proprio. Oppure, e forse questo è il punto più importante della questione, sarà che abbiamo sempre sbagliato tutto. Non dovevamo dirvi che l’utero è nostro e ce lo gestiamo noi. Forse dovevamo dirvi che l’anima è nostra e ce la gestiamo noi, che siamo abbastanza figlie di un qualche Dio da scegliere liberamente se essere salvate o meno. O pensate che il vostro Dio sia così poco onnisciente da non cogliere la coercizione, da non leggere che intimamente, di essere salvate da voi, non ce ne fregava niente?

O forse perché, ve la ricordate la raccolta firme portata avanti dalla Chiesa, quella iniziata a marzo? Ha da poco raggiunto le 450.000 firme. Fra poco, verrà discussa anche quella.

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