Dove il Referendum non può arrivare

1. 10 anni di crisi economica, 1 italiano su 4 a rischio povertà, 115 milioni di voucher venduti solo nel 2015: ecco alcune ma semplici ragioni per cui ha vinto il no. E’ riconosciuto da ogni analista, confermato da più dati: hanno votato no le periferie, i disoccupati, i ceti meno abbienti. Nel no si è espresso un sentimento di classe ibrido che non ha potuto trovare altre vie per emergere. Con buona pace dei giuristi democratici e affini: la difesa della Costituzione repubblicana c’entra veramente poco. C’è stata un’occasione per sfiduciare la punta politica principale del capitale italiano: è stata presa istintivamente al volo.

2. L’affluenza al voto è stata di 33 milioni di persone (67% degli aventi diritto). Non è un record o una nuova primavera della democrazia borghese. E’ però un’inversione di tendenza dopo tutte le ultime consultazioni elettorali o referendarie. Tirata per la giacca da 6 mesi di campagna referendaria, tanti hanno semplicemente pensato: se proprio lo volete sapere, è no. Con buona pace degli astensionisti rivoluzionari, una simile affluenza non ci rende più deboli. E’ un primo controverso segnale di uscita dall’apatia di milioni di persone.

3. C’è chi vuole attribuire a questo “no” un volto di destra o grillino. C’è chi ne ha sminuito la portata. C’è chi al contrario l’ha salutato come l’inizio del nuovo mondo. Tutte analisi che, a nostro modesto modo di vedere, mancano di senso della proporzione. E quindi sono fondamentalmente scorrette.

4. Il voto è stato fluido, slegato per lo più da un’appartenenza elettorale immediata. I voti per il no tra gli elettori Pd sono oscillati tra il 20% di Firenze e il 40% di Napoli e Palermo. I berlusconiani per il sì arrivano a punte del 36% a Brescia, del 41% a Bologna e del 44% a Firenze. In generale, e per di più in questo momento storico, ci sembra fuorviante considerare l’elettorato come un blocco fidelizzato. Se c’è però un settore dell’elettorato che ha votato in maniera lineare, è logico che sia quello grillino: in 6 città campione su 10, il 90% degli elettori 5 Stelle ha votato no. [Dati flussi elettorali dell'Istituto Cattaneo]

5. Per la classe dominante è stallo su tutta la linea. Che si sia schierata per il sì, come Confindustria e Financial Times, o che si sia gettata polemicamente nel campo del no, come De Benedetti, Monti o l’Economist, oggi non ha alcuna alternativa reale a Renzi. Non ce l’ha nel Pd. Non ce l’ha nel centro-destra. Ha un coacervo di soluzioni parziali e pasticciate, di corto respiro. Non hanno nemmeno una legge elettorale. Il risultato sarà un ulteriore Governo di transizione. Niente di nemmeno paragonabile a Monti, però. Sarà un Governo debole, a tratti surreale, il cui unico motto potrà essere: tiriamo avanti a campare. Perfino sulla legge elettorale la discussione non potrà uscire dal pantano. Ognuno conosce i propri numeri e ne deriva una legge elettorale. Ragione per cui l’accordo è quasi impossibile. Per mesi il tutto sarà guidato dal “pilota automatico”: le cose andranno avanti a colpi di raccomandazioni di Draghi, intrighi nelle stanze della Consulta, trattative sotto banco. Altro che “sovranità popolare”. Questo è del resto l’unico risultato possibile in assenza del protagonismo della nostra classe: un referendum può far cadere un Ministro solo per riconsegnare il pallino del gioco ai soliti noti.

6. Il partito di Grillo non è l’artefice di questo no. Ma è decisamente l’unica forza in grado di capitalizzarlo sul terreno elettorale. Un Governo del Movimento 5 Stelle diventa ogni giorno più probabile. Tanto più se la farsa del Governo Gentiloni dovesse continuare. Un Governo 5 Stelle, quindi, non è certo quello che auspichiamo e ancora meno quello per cui lavoriamo. Ma è diventato, probabilmente, un passaggio ineludibile. Tra il 2006 ed il 2008 la sinistra riformista di questo paese è stata ridotta alla marginalità, perdendo il proprio legame con la classe. La sinistra antagonista non è riuscita a trarne giovamento. Tale legame sul terreno politico non è stato ricostruito da nessuno. E’ stato semmai inglobato in un generico “disagio sociale”. Su questa base è cresciuto il Movimento 5 Stelle che in un certo senso ha guadagnato il ruolo di espressione elettorale “tradizionale” di tale scontento. Questo ruolo resiste al fallimento di Parma, agli scandali di Palermo, alle espulsioni, agli intrighi, alla pochezza opportunista di un Di Maio, alle ambiguità di un Di Battista. Evidentemente ha bisogno di essere spezzato da una prova di Governo. E così probabilmente sarà.

7. Che vinca o che perda, la sinistra riformista è accomunata da un’organica incapacità di trarre una lezione corretta da qualsiasi avvenimento. La crisi di Renzi, lungi dal spingerla in campo aperto, la risucchia verso il gioco di rimessa, nei gorghi dell’elettoralismo e dello scontro interno al centrosinistra. Da un lato la crisi di Renzi alimenta l’illusione di poter tornare a contare nei rapporti di forza interni al Pd. Dall’altro, invece di comprendere la natura limitata e distorta dello strumento referendario, si persevera nella sbronza. I dirigenti Fiom e Cgil – dopo aver clamorosamente fatto il gioco del Governo chiudendo a una settimana dal voto il contratto dei metalmeccanici e una finta pre-intesa su quello del pubblico impiego – ora annunciano una nuova stagione referendaria per primavera. Il baricentro dell’azione viene ancora una volta spostato sul terreno meno consono e controllabile dai lavoratori. Il referendum, che il 4 dicembre ha potuto supplire per puro caso e in maniera distorta all’assenza di una mobilitazione sociale, viene ora eletto a strumento principe. Nel frattempo l’attacco del padronato continua, imperterrito: salari legati alla produttività, distruzione della sanità pubblica e promozione di quella integrativa, premi di risultato legati alla presenza, blocco dei salari, limitazione della malattia e dell’assistenza ai familiari (legge 104) ecc. ecc..

8. Per Renzi è già svanito il bel tempo andato del “giovane rampante rottamatore”. E’ svanito e non tornerà più. Da qua a una sua uscita di scena, però, ce ne corre. Renzi indebolito dovrà rimodulare i propri rapporti con le diverse correnti interne ed esterne al Pd. Ma rimarrà in sella. Come già detto, per la classe dominante non si vede alternativa. Significativo che in fase di consultazione quasi tutte le forze politiche si siano dichiarate disponibili a un Renzi bis. Naturalmente l’unico a non essere interessato è Renzi che deve correre a recuperare una spendibilità elettorale. Il rapporto tra Renzi e Confindustria lo si può riassumere così: lo sostengono in tutto, lo criticano per qualsiasi cosa. Di questo passo la sua caduta non significherà solo la crisi di questo o quel partito, ma dell’intera rappresentanza politica borghese.

9. Il 4 dicembre si è rivelata una realtà nascosta solo a chi vive nei salotti bene o solo a chi ormai respira puro scetticismo. Il disagio, lo scontento, la rabbia che cova nella società è diffusa, travolgente. Essa è priva di un canale generale dove esprimersi in forma diretta. L’unica organizzazione che per dimensioni potrebbe convocare mobilitazioni con un respiro realmente di massa, la Cgil, è impantanata nel proprio moderatismo, prigioniera di un apparato burocratico senza spina dorsale. In assenza di un canale generale, le mobilitazioni avranno un carattere radicale ma necessariamente parziale. Sul terreno politico questo scontento sociale si esprimerà nelle forme più spurie, muovendosi a tentoni e affidandosi di volta in volta ai canali che incontrerà. Tra questo stadio e l’emergere di un’organizzazione politica di classe ci sono ancora diversi passaggi. E’ necessario non scambiare la nostra impazienza con la realtà. E’ necessario comprendere le forme spurie del processo, senza per questo elevarle a propria ideologia. Il referendum poteva dimettere Renzi. Di più non poteva fare per sua stessa natura. Il no nelle urne rimane ancora passivo. E fino a che questa passività non viene rotta, il piano della discussione politica torna ad essere risucchiato nel dualismo “casta e grillini”. Noi lavoriamo ovviamente a una prospettiva diversa. Di classe. Per la quale è necessario costruire una forza che si basi su militanti politicamente formati alle idee rivoluzionarie, senza cadere nel settarismo ma nemmeno nell’improvvisazione eclettica.

CortocircuitO – Marxpedia  

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