Per un “Ciao” di troppo

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Il 2 di maggio di quest’anno M., un recluso della sezione 2B di questo carcere, viene tradotto presso l’ospedale di Asti per effettuare una visita prenotata da tempo. Mentre passa nel corridoio dell’ospedale con la scorta vede un amico: le manette ai polsi non l’hanno trasformato in un automa, né in un orso, né in un maleducato, e allora gli rivolge un saluto. Un semplice “Ciao”.
Ma basta quel “Ciao” per fare imbestialire gli agenti della scorta. M. viene rimproverato ad alta voce di fronte a tutti gli altri utenti dell’ospedale che passano nel corridoio, e poi preso per le braccia e strattonato con forza. Tornati al furgone M. spiega agli agenti di non sapere che fosse vietato rivolgersi agli altri durante un trasferimento e che in ogni caso si era limitato ad un “Ciao”. Uno degli agenti della scorta non trova di meglio da fare che rispondergli arrogantemente “M., non sono mica nato ieri!”, per poi strattonarlo di nuovo e sbatterlo nella celletta che c’è dentro al furgone, mettendogli una mano sulla faccia per farlo entrare e facendolo sbattere contro il sedile.
Il divieto di rivolgere la parola ad altri durante un trasferimento, negli articoli che regolano l’”Ordinamento Penitenziario” non c’è, e non possiamo sapere se ci sia tra le disposizioni interne di questo carcere visto che queste vengono tenute segretissime dall’Amministrazione. Se questo divieto ci fosse, poi, nella teoria dei codici il suo rispetto andrebbe ottenuto anche “attraverso il chiarimento delle ragioni” che lo motivano e non… a manate sulla faccia.
Sta il fatto che M. viene riportato, pieno di lividi, in Istituto. Arrivato in sezione chiede di parlare con l’Ispettore, e l’Ispettore che lo riceve gli propone di ricomporre “amichevolmente” la faccenda: se M. non sporge denuncia contro l’assistente, l’assistente non farà rapporto. M. accetta, anche se mastica amaro, ma dopo dieci giorni viene convocato dal Consiglio di Disciplina – giusto il tempo di far sparire i lividi. Alla faccia dell’Ispettore e delle sue ricomposizioni pacifiche, l’assistente il suo bel rapporto l’ha fatto e M., sulla base di quel rapporto, viene sanzionato con tre giorni di “esclusione dalle attività ricreative e sportive”: cella chiusa tutto il giorno, niente socialità e campo sportivo.
Allora M. fa querela, forte anche della testimonianza di un altro detenuto che ha assistito ai fatti. Ma aspettando che un Pubblico Ministero prenda in mano il racconto di M., decida di dargli credito a discapito del racconto dell’agente e che un giudice, sentiti i testimoni, stabilisca “come sono andate veramente le cose”, M. la sua condanna l’avrà già scontata, e senza processo: un mese e mezzo di carcere, a causa della “liberazione anticipata” sfumata grazie alla sanzione comminatagli dal consiglio di disciplina. Due mesi e mezzo di carcere, e un bel po’ di lividi, per un “Ciao” detto nel momento sbagliato.

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