Con un minimo di ritegno, ma proprio un minimo, ha riconosciuto che non c’erano le condizioni per sostenere l’aggravante di eversione dell’ordine democratico, aprendo per altro un buco enorme nel teorema accusatorio, e che forse alcuni degli imputati potevano pure essere lasciati liberi. Giusto per dimostrarsi disponibile a rinunciare a qualcosa, data l’assoluta assenza durante il processo di un qualsivoglia fondamento che desse sostegno all’accusa, per ottenere almeno un parziale risultato. Dunque le richieste sono: assoluzione per sette imputati, 2 anni come partecipanti all’associazione per dieci, 3 anni e 6 mesi per tre accusati di essere i promotori e 4 anni per chi è stata indicata come capa.
Tre dei difensori hanno fatto la loro requisitoria dopo quella della pm. Nell’udienza del 17 marzo proseguiranno altri e il 31 marzo termineranno le arringhe della difesa. La corte, nel pomeriggio del 31, si ritirerà in camera di consiglio per decidere la sentenza.
Per ora ci limitiamo a dire che l’intera operazione sin dal suo inizio, con arresti e sequestro dello Spazio di Documentazione Fuoriluogo, è stata palesemente voluta per liberare la città da elementi fastidiosi e per dare un segnale forte, per minacciare chiunque intenda lottare senza preoccuparsi troppo di non commettere reati, di rispettare il piano della legalità. Il summit, tra l’allora commissaria sindaco Cancellieri, funzionari della digos, Maroni ministro dell’interno e chissà chi altri, convocato a seguito di “attentati” a sedi di Eni, Ibm e Lega Nord, segnò l’inizio dell’operazione repressiva. Questo è l’insieme di poteri che ha sostenuto l’impianto accusatorio, del resto assolutamente infondato dal punto di vista probatorio. Non è che ciò ci sembri particolarmente strano, forniamo semplicemente la descrizione di una delle tante operazione dei “signori del sistema dominante” che abbiamo fin qui avuto l’opportunità di seguire passo per passo.
Anarchiche e anarchici sotto processo