Il core business della pace da Vittorio Agnoletto a Jorge Mario Bergoglio

pace_vaticanoIn fondo, meglio così. Quando la lotta contro la guerra, il militarismo, il capitalismo armato si fanno pacifismo arcobaleno e poi testimonianza di una generica “pace” è naturale, e persino giusto, che marketing e logistica degli eventi passino in gestione alle organizzazioni più efficienti. E tra il carrozzone degli Agnoletto, dei Flavio Lotti, dell’Arci, per non parlare dei “no war” che urlavano slogan in anglo-veneto davanti alle televisioni, e la collaudata fuoriserie di Jorge Maria Bergoglio non c’è, notoriamente, partita.

Tanto gli slogan che tenevano insieme il “popolo della pace” erano tutti mutuati dalla subcultura cattolica, impolitici e inefficaci (non hanno fermato una guerra che fosse una in un quarto di secolo di oceanici movimenti per la pace). Tanto vale rendere al legittimo proprietario di questa cultura la gestione in prima persona dell’evento “pace”. E cosi, fino ad un paio di guerre fa, i movimenti erano in primo piano e le frasi del papa facevano da contorno.

Oggi il protagonismo contro la guerra è di Bergoglio e i movimenti si sono dissolti, scomparsi anche nella percezione della memoria collettiva. Allora vai con le adunate ordinate in Piazza San Pietro, impossibile certo che qualche black bloc ci si infiltri, con i digiuni e l’occupazione dei palinsesti del telegiornale. Tanto il messaggio è lo stesso generico di quando c’era Agnoletto, senza neanche gli isterici “i violenti vadano fuori dal movimento” perchè alle manifestazioni chez Papa Francesco nessuno si mette certo in testa di prendere la testa del corteo. Senza inoltre che gli organizzatori vaticani dell’evento “pace” si candidino in partiti di sinistra che finiscono per votare le guerre contro le quali si erano quasi svenati per protesta dentro il parlamento (leggetevi il Bertinotti contro la guerra afghana del 2001 e quello del 2006..).

Certo, la chiesa è nel big business finanziario via Ior, ancora oggi banca sospetta di riciclaggio negli Usa (e quindi armi di mezzo), ma i gestori dell’evento “pace” di ieri erano ormai troppo sotto l’indice di decenza per essere presi come metro positivo di paragone. Qualcosa sta accadendo in un terreno fino a ieri presidiato dai “movimenti”: la chiesa si sta prendendo l’egemonia simbolica delle mobilitazioni. Egemonia che, grazie alle tv e non solo, diventa poi potere reale coercitivo da spendere. Da tempo accade sulle questioni operaie: ad Ivrea lo smantellamento della Olivetti fu pietosamente accompagnato dalle omelie del vescovo, cosi’ come la deinstrializzazione di Milano è stata accompagnata da quelle del cardinale Martini. Ora non è più tempo dei preti da commedia progressista all’italiana, vedi la figura di Don Vitaliano, per legittimare i movimenti. I preti veri fanno in prima persona e si prendono il presidio dei movimenti. I migranti? Bergoglio va direttamente a Lampedusa, fa spettacolo e lascia le proprie truppe capaci di fare mediazione ed infiltrarsi nelle commissioni, nei gangli decisionali.

E così l’economia la gestiscono gli uomini con la tuba, i temi etici, e quelli politici di respiro internazionale, quelli con l’abito talare. A questo porta la retorica del movimento che “deve essere maturo”, “sapersi spostare verso il centro”, magari “nè di destra nè di sinistra”. Una volta sgretolatosi ogni forza vitale, rimasti principi universalistici da parrocchia, tanto generici da essere innocui, arriva il Bergoglio di turno e si porta via tutto. Lezione da non dimenticare.

(redazione) 10 settembre 2013

da http://senzasoste.it/

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