Il Sud Africa fa i conti con il massacro di Marikana

Marikana marchLa commissione chiede che la polizia sia processata per la morte di 34 minatori che scioperavano per una paga e un’abitazione dignitose. Una classe operaia che in quanto a livelli di sussistenza e a qualità della vita si sente ancora bloccata agli anni dell’apartheid.

di Sonia Grieco

Roma, 26 giugno 2015, Nena News – L’operazione di polizia che provocò la morte di 34 minatori in sciopero fu preparata male e non avrebbe dovuto avere luogo, pertanto va aperta un’inchiesta della magistratura sull’operato degli agenti e sugli errori commessi nella catena di comando. Queste le conclusioni dell’atteso rapporto della commissione d’inchiesta sul massacro di Marikana, avvenuto il 16 agosto del 2012 nella cittadina nei pressi di Rustenburg, la cosiddetta cintura del platino. Una ferita con cui il Sud Africa sta facendo i conti dopo otto anni.

La polizia aprì il fuoco sui lavoratori della britannica Lonmin (uno dei tre colossi mondiali del Platino presenti in Sud Africa) uccidendo 34 persone e ferendone in maniera grave 78. La prima e la più grave strage di Stato dalla fine dell’apartheid, che gettò un’ombra sulle forze dell’ordine, sul governo, sul ruolo dei sindacati e delle multinazionali che sfruttano le risorse del Paese.

I minatori avevano iniziato un’ondata di scioperi selvaggi per chiedere aumenti salariali e rivendicare condizioni di vita migliori. A fronte dei cospicui guadagni delle multinazionali del platino, che impiegano decine di migliaia di persone nel Paese, i lavoratori delle miniere vivono in condizioni misere, molti in baracche prive di servizi, per niente sfiorati dalla ricchezza portata dal platino e dall’oro che estraggono nei pericolosi cunicoli di miniere tra le più profonde al mondo (nelle miniere sudafricane si registra una media di cento morti sul lavoro all’anno). Chiedevano un salario di sussistenza, ma la risposta delle autorità fu violenta e provocò decine di vittime, anche nei giorni precedenti al massacro di Marikana, che quell’anno mise fine alla mobilitazione dei minatori sudafricani, tornati a protestare l’anno scorso.

Adesso si reclama giustizia per quelle morti che sono il frutto delle tensioni sociali che attraversano la Rainbow Nation. Tuttavia intorno al rapporto consegnato al presidente Jacob Zuma lo scorso marzo, ma reso pubblico soltanto ieri, c’è parecchio scetticismo. Per molti attivisti le cose non cambieranno e il ritardo nella diffusione delle conclusioni della commissione d’inchiesta hanno impedito che fosse fatta giustizia. Secondo Trevor Ngwane, dell’Università di Johannesburg, la commissione è servita a rinviare il processo: “Da quando è stata istituita la commissione, nessun poliziotto è stato incriminato”. Inoltre, le colpe sono attribuite quasi esclusivamente alla polizia che avrebbe perso il controllo della situazione e nel tentativo di disarmare gli scioperanti provocò una strage. Almeno un manifestante morì a causa dei ritardi nei soccorsi.

Bisognerà dunque indagare sul ruolo e sulle capacità del capo della polizia, Riah Phiyega, che probabilmente si assumerà la responsabilità per tutti, ma non su quello del governo e di Cyril Ramaphosa, all’epoca direttore (ma senza potere esecutivo) alla Lonmin e oggi vicepresidente del Sud Africa. Secondo il rapporto, Ramaphosa non avrebbe fatto pressione sulla polizia affinché agisse contro i minatori che non trovarono un vero sostegno neanche nel sindacato. I rappresentanti dei lavoratori e la multinazionale (che chiamò in miniera i lavoratori che non scioperavano, acuendo le tensioni) non fecero abbastanza per risolvere la controversia con i lavoratori che chiedevano una paga migliore e un posto dignitoso in cui vivere. Una classe operaia che in quanto a livelli di sussistenza e a qualità della vita si sente ancora bloccata agli anni della segregazione razziale.

Platino, oro, diamanti, ferro, carbone, cromo, argento, uranio sono la linfa vitale dell’economia sudafricana, e pure delle multinazionali che operano in un Paese nel cui sottosuolo si trova l’80 per cento delle riserve mondiali di platino e il 50 per cento di quelle aurifere. Il 60 per cento dei guadagni nazionali deriva dalle esportazioni minerarie, che contribuiscono per il 10 per cento al Pil. Nena New

da http://nena-news.it/

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