La linea che ci separa: risposta a Roberto Pistonina della Cisl

«C’è una lotta di classe, è vero, ma è la mia classe, la classe ricca, che sta facendo la guerra, e stiamo vincendo».  Warren Buffet, terzo uomo più ricco del mondo

Basterebbe questa frase pronunciata, guarda un po’, da un imprenditore, per far tremare la tesi di Roberto Pistonina, segretario della Cisl fiorentina. In un’intervista uscita sabato 26 ottobre, sul quotidiano La Nazione, Pistonina sostiene che la lotta di classe, e quindi il conflitto capitale-lavoro, siano concetti finiti per sempre e  devono essere necessariamente superati, al fine di perseguire un fantomatico “bene comune” e lo “sviluppo economico”. I presupposti per la ripresa economica per Pistonina sarebbero fondamentalmente tre: 

-Questo Paese [...] ha bisogno di una grande alleanza fra tutte le politiche, sociali, imprenditoriali  

-Le infrastrutture vanno modernizzate [...] E le infrastrutture, non lo dimentichiamo, mettono in moto l’edilizia, unico settore capace di trainare davvero l’economia

-Deve finire la contrapposizione tra capitale e lavoro. L’interesse comune è, e deve essere, la salute dell’impresa

Con poche frasi, colme di luoghi comuni e retorica mistificatoria, Pistonina riassume la solita litania che mass media, politici, imprenditori e sindacati vorrebbero pensiero egemone, ben radicato nella testa di tutti. Come se l’interesse di un imprenditore o di un banchiere, fosse lo stesso di un lavoratore o di un disoccupato. Lo abbiamo visto benissimo in questi anni  cosa hanno prodotto le larghe intese parlamentari e le alleanze tra sindacati e padroni: un attacco massiccio al salario (diretto e indiretto); un aumento dei ritmi di lavoro a parità di salario o, addirittura, con salario inferiore (per restare a Firenze basta vedere un contesto come Careggi, mentre nel privato sono esemplari i casi Ataf e Gigli); il livellamento verso il basso di sempre più diritti e un costante tentativo di distruggere i territori, ricoprendoli di cemento con grandi opere, inceneritori o semplicemente speculando sulla costruzione di nuove abitazioni, lucrando sugli affitti e mantenendo, in parallelo, migliaia di case vuote.

Tutto ciò si è potuto realizzare non solo grazie agli apparati repressivi, con denunce e militarizzazione dei territori, ma anche grazie al lavoro sottile dell’informazione mainstream e alla costante azione di “pompieraggio” operato dai sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil.

Il sindacalista della Cisl sa perfettamente che la società capitalista in cui viviamo è conflittuale per natura e conosce benissimo il suo ruolo all’interno di essa, cioè quello di spegnere ogni scintilla che può nascere dalle situazioni di tensione in seno ai luoghi di lavoro.

Un ultimo accenno va al “modello tedesco” tanto osannato da Pistonina sulle colonne de La Nazione. Qualche giorno fa è uscito su Repubblica-Economia un articolo a proposito del “miracolo tedesco”:

Per carità, non copiate i tedeschi! [...] A guidare la carica è Sebastien Dullien, professore di Economia internazionale all’università di Berlino, che si preoccupa, anzitutto, di smontare la retorica delle riforme Schroeder dei primi anni 2000. Quelle riforme non hanno toccato il sistema tedesco di contrattazione collettiva, gli orari e neanche una maggiore facilità di licenziamento. Di fatto le protezioni per i lavoratori a tempo indeterminato sono rimaste inalterate (e il mercato del lavoro spaccato in due tronconi). La flessibilità è stata scaricata tutta sui lavoratori delle agenzie di lavoro temporaneo e sui disoccupati spinti a lavorare, grazie ad una forma di sussidio pubblico ai bassi salari. A livello complessivo, dice Dullien, il risultato è stato una spinta verso il basso di tutte le retribuzioni. I salari medi sono cresciuti più dell’inflazione e della produttività solo nel 2012, dopo oltre dieci anni di ristagno. E un tedesco su cinque lavora tuttora per una retribuzione inferiore a 9 euro l’ora: è la quota maggiore di salari bassi, rispetto al reddito medio nazionale, in tutta l’Europa occidentale.

E’ chiaro, quindi, che allo stato attuale non esiste un bene comune, né potrà mai esserci una società totalmente pacificata. Da una parte ci siamo noi, dall’altra ci sono loro. Non importa quanti Pistonina provino a confondere le acque e assottigliare la linea che ci separa, perché ci sarà sempre chi, con forza, scaverà un solco ancora più profondo tra chi sfrutta e chi subisce lo sfruttamento, tra chi vive della fatica altrui, e chi aspira a sottrarre a quest’ultimo parte del suo potere per ribaltare lo status quo.

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