Esperienze diverse, ma una lotta in comune – intervista agli occupanti del Romito (2)

Seconda parte dell’intervista, la prima si può leggere cliccando QUI.

Parliamo infine con tre studenti universitari: Dove eravate prima di essere in questa occupazione?

 G. –A casa con i miei genitori, in una stanza con mio fratello che ha quattro anni meno di me. Abbiamo la fortuna di non essere fuori sede e quindi una casa di averla sempre avuta: quella dei genitori.

M. –La stessa cosa, solo che io ho una situazione un pelino più complicata perché abito lontano da Firenze e quindi avevo il bisogno di avvicinarmi dall’università e di non continuare a stare mezz’ora dalla mia vita quotidiana, cosa che comporta soldi e sforzi ulteriori.

Affitti non ci avete mai provato o non avete mai avuto l’opportunità?

 R. –Costano troppo.  Purtroppo per vivere in affitto si deve fare un lavoro a tempo pieno che preclude la possibilità di fare un’università. Inoltre alla difficoltà di trovare un lavoro a tempo pieno. Quindi il bisogno della casa non può che andare a annientare il bisogno dello studio…

Lavori ne avete fatti tutti e tre?

 M. –Sì, ma lavoretti. Principalmente a chiamata o precari, con stipendio basso: la media a Firenze è sei euro l’ora e se guadagni di più sei “ricco” diciamo. E chiaramente non garantiscono uno stabilità tale da poter avere un alloggio: oggi ce l’hai, domani chi lo sa, mentre l’affitto lo sai che c’è ogni mese, insieme alle bollette, le utenze e tutto il resto.

Come avete incontrato il Movimento di Lotta per la Casa?

 G. –Tramite legami di amicizia, ma anche in generale facendo politica a Firenze. Essendo stati coinvolti tutti in altre esperienze politiche è ovvio che momenti di incontro ci sono sempre stati, essendo il movimento di lotta per la casa tra i più attivi a Firenze: è un lavoro, il loro, che va avanti da anni e anni e la nostra esperienza politica si è incrociata con quella del movimento.

Che idea avevate del Movimento e che idea avete durante questa occupazione? Che idea vi siete fatti degli altri ragazzi che partecipano alle occupazioni abitative?

 M. -Senz’altro c’è una vivacità politica forse anche nuova e che comunque porta a delle rivendicazioni fondamentali in questo momento.  E’ abbastanza fluido, ma comunque va ad investire, a mio avviso, su delle contraddizioni centrali in questa città anche rispetto al sindaco Renzi e alla sua posizione attuale in politica sia a livello locale che nazionale che si intreccia e si contraddice in tanti punti.

G. -Personalmente mi hanno spinto a ragionare anche sull’esistenza di diversi bisogni e questo me lo hanno fatto fare i giovani che avevano già occupato prima: prima anche io avevo un’idea un pochino più di una lotta per la casa unicamente per i disperati più palesi, per chi una casa proprio non ce l’ha, poi però grazie a loro che hanno dimostrato il fatto che il bisogno è anche quello di uscire di casa a una certa età, di venire a vivere più vicino se sei fuori sede o se sei comunque lontano. Avrei voglia anche di fare un’esperienza del genere, cioè di creare un posto tuo con compagni ecc e di vivere lottando. Mi sono resa conto che ho anche io questi bisogni e la voglia di farlo.

R. –Comunque Firenze è una città in cui il valore della rendita fondiaria è centrale e non esiste un modo più lampante di far saltare le contraddizioni che non occupando, visto che la gente vive per strada, non ha lavoro e c’è chi si permette il lusso di lasciare disabitati intere palazzine come questa (o abitate da piccioni).

Alcuni giornali main stream dicevano che questa occupazione poteva essere interpretata come una battaglia politica anti Renzi, al momento sotto elezioni, quindi la decisione del Movimento poteva corrispondere più che altro a una necessità di farsi vedere e ritagliarsi uno spazio politico. Come rispondereste a ciò?

 M. –Di sicuro la necessità e il valore politico va oltre alla questione dell’ascesa dell’ennesimo “berlusconcino” di questo paese perché comune “giunta di destra, giunta di sinistra, chi sgombererà le case è sempre un fascista”: questo coro viene cantato perché il problema è costante e non a caso il movimento di lotta per la casa esiste da almeno trent’anni. Certo che invece dal punto di vista del comune l’accanirsi contro le occupazioni e contro il Movimento di Lotta per la Casa – che non ha nessuna intenzione o interesse di ritagliarsi ruoli all’interno di un panorama politico parlamentare- riflette l’interesse invece da parte di Renzi di continuare la propria propaganda elettorale, proprio adesso che è diventato segretario del PD e che si appresterà in futuro ad essere premier: non vuole che trapeli una qualsiasi debolezza o una qualsiasi cedevolezza alle classi avverse a quelle che lui rappresenta.

R. –E’ i segnali sono chiari: abbiamo occupato domenica e siamo stati sgomberati violentemente, abbiamo rioccupato mercoledì e c’è stato un tentativo di sgombero tre giorni dopo, abbiamo resistito e la questione è stata rimandata a martedì. Il clima è infuocato , ma questa non è certo un’occupazione contro Renzi o contro il PD, di certo conosciamo i nostri nemici e li sappiamo distinguere dagli altri, ma questa è un’occupazione contro chi, prima di tutto, vorrebbe rovinare la vita degli altri per fare profitto e questa è un costante che investe tutto il campo della nostra esistenza, da quando andiamo a lavorare, a quando prendiamo un autobus, a quando ci mangiamo un panino, esiste sempre una dinamica di profitto a scapito di chi invece questa dinamica non la può sostenere: chi per scelta, come noi, perché una casa dove vivere, in teoria e anche in pratica, ce l’avevamo, e chi per necessità perché invece ha dei figli, non trova lavoro e non ha altre alternative. Quindi le cose stano insieme sotto vari aspetti.  Ma la risposta del comune è stata chiara: non esiste più tolleranza per le occupazioni a Firenze. Noi di sicuro non abbiamo intenzione di fare passi indietro o di spostarci su piani più compromissori visto che il salto di qualità è già stato fatto,  occupando il centro, assediando il lusso, facendo il corteo il 21 Dicembre. La risposta è stata palese: fuori i pezzenti dal centro, fuori gli occupanti, basta con le occupazioni. Questo, come si suol dire, è il costo della vicenda: noi lo avevamo messo in conto e ora sta nel continuare la nostra lotta. E non sarà certo l’intimidazione del sindaco o di chi per lui a fermare il nostro percorso politico.

Che effetto vi ha fatto ritornare nel centro e a Rifredi, due quartieri che avete vissuto – il centro perché è l’unico quartiere dove può uscire un fiorentino, in pratica, e Rifredi perché vicino al Polo Universitario- ma tornarci da occupanti?

 M. –A me il centro mi ha fatto lì per lì un bell’effetto, oltre alla bellezza delle luogo che non si capisce perché deve essere prerogativa di chi a così tanti soldi da poterselo permettere, ma dovrebbe essere prerogativa di tutti. A quello mi ha fatto effetto perché era  veramente uno sbattere in faccia a Palazzo Vecchio quelle che sono le sue contraddizioni, quello che è il fatto che da un lato non concede niente e dall’altro impedisce alle persone di avere ciò che gli spetta, ovvero una casa, e di offrire come alternativa un ridicolo campeggio a Figline. C’è una totale chiusura e contraddizione: è stato importante sbatterla in faccia e porla lì, davanti a loro. Abbiamo fatto vedere che il centro si dovrebbe vivere: anche nel momento in cui c’è stato lo sgombero quei pochi turisti, giovani o studenti americani che vengono qui a fare le università private erano spaventati di vedere questa schiera di celerini che stavano a bloccare e a sgomberare famiglie, bambini e gente giovane come noi in cui magari si sono rivisti in qualche modo.

G. -Rispetto a Rifredi ho notato un enorme differenza nella reazione della gente che abita qui vicino, dei vari negozi e tutto. In centro non c’è stato un grande benvenuto, mentre qui la risposta è stata estremamente positiva: molti conoscono la storia di questo edificio, sanno che di fatto il proprietario è un mafioso e che alcuni appartamenti fossero proprio sotto sequestro. Abbiamo ricevuto un pieno appoggio, dai lavoratori dell’Esselunga quando siamo andati a fare la spesa, appoggio dai negozianti e dai bar, la gente si fermava… E in realtà anche gli inquilini che già erano qua (non tutti purtroppo): alcuni inquilini vivendo proprio qui dentro, vedendo questi trenta appartamenti vuoti da anni, sapendo benissimo quanto sono grandi e quanto sono messi bene ci hanno appoggiato quanto potevano.

L’integrazione con chi nel movimento viene da altri paesi come è? Capiscono i vostri bisogni di studenti, anche se sono in una situazione diversa, perché in generale sono famiglie con bambini?

M. –A me mi ha sorpreso come sia stata naturale e facile la vicinanza. Da parte nostra c’è un profondo rispetto verso le esigenze di chi sta qui dentro e questo viene percepito costantemente e viene percepito anche se noi non veniamo da un’esigenza proprio primaria, ma un’esigenza più politica e tutto il resto. La comprensione è tra tutti e due i lati, cioè la questione politica e la questione materiale si intersecano e avviene ciò che raramente succede, ovvero che una lotta parta da bisogni materiali e arrivi su un piano politico, che poi vada comunque a migliorare quegli aspetti materiali che adesso sono carenti. A me sembra anche una grande lezione di antirazzismo, sempre contrapposta a quello che viene fatto dal comune e dall’antirazzismo di facciata: questo è un antirazzismo reale che riesce a tenere insieme etnie e nazionalità totalmente differenti sotto una rivendicazione totalmente trasversale rispetto alle provenienze. Mi sembra una grande lezione verso chi fa del pietismo da una parte e poi getta per strada queste persone: conferisce la cittadinanza onoraria a due senegalesi perché gli è stato sparato, ma poi  tiene aperta Casapound e va a sgomberare le tendopoli con la forza quando mettono in luce che non solo sono delle bandiere da agitare per fare campagna elettorale, ma sono delle persone.

R. –Un punto di forza molto potente di questa occupazione è stata l’eterogeneità di esigenze differenti tra studenti, lavoratori, coppie, madri e padri di tre, quattro, cinque o due figlioli, da parte di chi ha lavoro, da parte di chi non ce l’ha, un’eterogeneità prima di tutto etnica visto che qui siamo italiano, albanesi, etiopi, rumeni, bosniaci e stiamo qui tutti insieme perché abbiamo qualcosa che ci accumuna, il nostro denominatore è questo tetto dove siamo stati in questi giorni e che abbiamo intenzione di tenere, stando uniti e perseverando in questa lotta.

G. –E tra l’altro anche un unione di esigenze, come abbiamo detto, anche rispetto alla critica verso la settorialietà di certe lotte, qui si parte sì dall’esigenza di avere un tetto sopra alla testa, ma le esigenze sono molteplici, le volontà sono varie e l’obiettivo diventa comune anche la prospettiva politica. Anche gli altri occupanti, non italiani e che magari non hanno avuto altre esperienze politiche in precedenza, hanno dimostrato un grande consapevolezza, fin dai bambini che comunque capiscono che c’è qualcosa che non va nel comportamento di un sindaco, in un comune, nella risposta del comune e della polizia.

I vostri parenti e i vostri amici come hanno percepito la scelta di occupare?

M. –A livello di amicizia in generale non c’è nessuno che non è riuscito a capire l’equazione semplice “salario uguale affitto” e pertanto non possono essere discordi rispetto a un’esperienza del genere. I miei genitori, elettori PD e tutto il resto, davanti a questa questione hanno dovuto ammettere che è naturale, e per quanto siano preoccupati, per quanto non vorrebbero o per quanto preferirebbero che lavorassi, sono coscienti che il lavoro non c’è, che il lavoro non basta, che l’affitto costa quanto il salario e che quindi non hai altre scelte se vuoi abitare da solo.

G. – Le reazioni sono state positive e di comprensione: è stato capito che l’esigenza non nasce solo dalla disperazione, ovvero dallo stare per strada, anche se quella è la prima a dover essere risolta. E poi è nata anche curiosità, dai coetanei, dagli studenti, e comprensione che non si tratta solo di prendersi casa in una maniera diversa, ma anche di fare un’esperienza del genere, avere a che fare con una risposta repressiva molto forte e costruire proprio delle situazione di vita diverse. Non si tratta solo di abitare con altri studenti, o in un condominio multietnico, come può succederti in un appartamento dove paghi l’affitto: si tratta di rendere politico l’abitare, il vivere, la propria quotidianità. Quindi tanta curiosità da parte di alcuni e speranza che la situazione si stabilizzi in fretta per poter venire a partecipare a un progetto che può nascere da questa situazione. Alcuni sono già venuti  anche se non doveva venir a vivere qui a dare mano o a dormire: tanti ragazzi sono passati per scelta a stare qui e aiutarci…  Sono cose belle queste, perché la solidarietà è stata sia politica che umana: le lotte politiche ci sono, ma in queste situazioni recuperi anche una gioia di condividere, di lottare e di vivere. Sono esperienze che danno tanto sia da un lato politico che umano.

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