Non perdere l’Ultima Chiamata: domenica sera un doc sui limiti della “crescita”

(la crescita dello sfruttamento, di risorse, carne, sangue e nervi su questo pianeta)

Ci sono frammenti della nostra storia di cui essere orgogliosi e rattristati. Momenti in cui l’intuizione e lo sforzo di uomini eccezionali è stato al servizio di tutte le generazioni successive, ma queste non ne hanno saputo fare tesoro.

Domenica 27 Aprile alle 21:15 su Rai Storia verrà proposto proprio uno di questi momenti con l’anteprima assoluta in televisione del documentario “Ultima Chiamata. Le ragioni non dette della crisi globale.” (The Last Call).

E’ l’aprile del 1968. Un industriale italiano e uno scienziato scozzese organizzano un incontro in una tranquilla villa romana invitando un piccolo gruppo di professionisti internazionali nel campo della diplomazia, industria, accademia e società civile. Sul tavolo c’è la preoccupazione che la visione a breve termine del mondo degli affari e il consumo senza limiti di risorse metta a rischio il futuro dell’umanità. L’italiano si chiama Aurelio Peccei e da quel piccolo gruppo nascerà il Club di Roma.

Quattro anni dopo viene pubblicato il primo rapporto del Club di Roma: Limits to Growth [1]. Il successo è immediato e travolgente. Tradotto in 30 lingue e pubblicato in 12 milioni di copie è il più grande best seller “ambientalista” di sempre.

Nel rapporto vengono divulgati i risultati di uno studio commissionato al MIT: per la prima volta nella storia è stato simulato al computer un modello matematico del mondo  in grado di rappresentare l’evoluzione della produzione agricola, di quella industriale, dell’inquinamento, della popolazione, della forza lavoro e delle risorse non rinnovabili. Utilizzando una nuova tecnica matematica, la Dinamica dei Sistemi, è stato possibile tener conto della complessità e delle interazioni che coinvolgono i vari elementi del modello (su ciò è possibile farsi un’idea in questo simulatore online) e tramite l’uso della nascente informatica si è potuto proiettare tre diversi scenari avanti nel tempo sino al 2100, valutando le conseguenze:

1) Business as Usual (“standard run”): se il modello segue i parametri standard (individuati per il periodo 1900-1970), si giunge ad un overshoot e collasso verso il 2030 dovuto principalmente all’esaurimento delle risorse non rinnovabili e ai danni provocati agli ecosistemi dall’inquinamento .

2) Sviluppo Tecnologico in tutti i settori: anche ipotizzando più risorse a disposizione, meno inquinamento, rese agricole doppie, ecc… il sistema nel suo complesso collassa verso la metà del XXI secolo.

3) Mondo stabilizzato: oltre alla tecnologia si ipotizza anche tutta una serie di politiche sociali che riescono a traghettare da un’economia basata sulla crescita ad una di stato stazionario.

ltg Lo scalpore e la preoccupazione provocati dal rapporto sollevano i primi dubbi sul modello economico basato sulla crescita materiale e danno il via all’ambientalismo moderno. Ben presto però piovono le critiche, alcune legittime [2], molte altre invece frutto di una potente campagna denigratoria[3]. Curiosamente, non si è mai più assistito ad un analogo coro polemico, nonostante ogni anno decine di enti internazionali e nazionali pubblichino previsioni a lungo termine frutto di modelli incompleti, spesso semplici estrapolazioni business as usual, sui cui si basano le decisioni politiche e gli investimenti dei privati e  degli Stati.

Lo scopo e l’utilità dello studio vengono sistematicamente travisati: pubblicamente passa il messaggio che il modello sia il tentativo di predire esattamente il futuro, invece che uno strumento per capire le conseguenze dell’agire umano in un sistema straordinariamente complesso. Come affermano gli stessi autori:

Questi grafici non sono le previsioni esatte dei valori delle variabili in un particolare anno futuro. Sono solo indicazioni delle tendenze comportamentali del sistema.

Ma ormai la battaglia è persa, pochi afferrano in pieno il valore dei Limiti dello Sviluppo. A livello mediatico niente vale che la modellizzazione sia stata ripetuta a distanza di 20  e 30 anni dando risultati sostanzialmente identici, o che i dati storici dal 1972 ad oggi seguano eccezionalmente bene lo scenario “business as usual” della versione originale del 1972 (con buona pace di tutte le possibili critiche)[4].

A distanza di oltre quarant’anni, il dibattito pubblico è oggi paradossalmente incentrato sulle strategie per promuovere altra “Crescita”, gli avvertimenti e le indicazioni lanciate dal Club di Roma sono stati messi da parte.

Oggi più che mai c’è un disperato bisogno di recuperare le vere priorità e riscoprire il messaggio lanciato da Limits to Growth.

Il documentario Ultima Chiamata fa proprio questo:

… racconta la storia dell’ascesa, caduta e rinascita di uno dei libri ambientalisti più controversi e stimolanti di tutti i tempi. Ripercorriamo gli eventi attraverso le storie dei suoi ideatori – Aurelio Peccei e Jay Forrester – e autori – Dennis e Donella Meadows, Jorgen Randers, Bill Behrens – un gruppo di persone molto diverse tra loro, ma unite  da un’estrema attenzione per le future generazioni.[...]

Frutto di donazioni di sponsor e di una raccolta fondi da privati (crowfounding), il documentario fa rivivere l’atmosfera di passione, di speranze e quella lotta impari per un mondo migliore iniziata negli anni settanta.

L’appuntamento è Domenica 27 Aprile alle 21:15 su Rai Storia.

Buona visione.

Note

[1] “I Limiti della Crescita”, in Italia però tradotto erroneamente come “I Limiti dello Sviluppo”. E’ possibile leggere liberamente la versione inglese originale da qui.

[2] Sono molto poche quelle che andrebbero citate. La più importante è la critica che alcune variabili, come “inquinamento” e “risorse non rinnovabili” siano troppo aggregate e non distinguano tra i vari elementi che le compongono. Paradossalmente c’è chi considera questo un punto di forza, in quanto ha permesso di considerare elementi all’epoca ancora sconosciuti, come i cambiamenti climatici che sono una forma di inquinamento che mina la capacità degli ecosistemi di sostenere la società umana. Altre critiche, come quella che il modello non considera il disaccoppiamento tra crescita economica e crescita materiale (la cosiddetta dematerializzazione), sono sbagliate sia storicamente, in quanto spesso basate sull’osservazione di dati storici su Nazioni (es. Stati Uniti), che hanno esternalizzato la produzione, piuttosto che su dati mondiali, sia sulle premesse, in quanto la crescita economica non può avvenire indefinitivamente né con una efficienza nell’uso delle risorse infinita(esistono limiti fisici all’efficienza), né in un mondo sempre più “virtuale”.

[3] Si veda in proposito il libro in inglese “Limits to Growth Revisited” del prof Ugo Bardi. Un suo post in inglese sull’argomento è reperibile su The Oil Drum.

[4] Graham M. Turner, “A comparison of Limits to Growth with 30 years of reality”, 2008, Global Environmental Change,

http://dx.doi.org/10.1016/j.gloenvcha.2008.05.001

Di Dario Faccini, tratto da http://aspoitalia.wordpress.com/

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