Siria ed Iraq: sogni fossili (ultima parte)

Di Dario Faccini

Com’è possibile che un città di quasi 2 milioni di abitanti cada in mano a 800 ribelli? Quali ripercussioni sulla produzione petrolifera è lecito attendersi dalla creazione dello Stato Islamico? In questa ultima parte del viaggio nella storia recente dell’Iraq e della Siria ripercorreremo gli eventi del 2014 e faremo luce su alcuni avvenimenti poco conosciuti.

La parti precedenti si trovano qui: prima, seconda e terza parte. Il documento è anche disponibile in forma integrale come pdf sul sito di ASPO Italia.

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Fig. 8. In rosso la zona delle operazioni dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria(ISIS), in rapporto all’appartenenza etnica e confessionale della popolazione irachena (Fonte: per la zona dei territori controllati dall’ISIS a giugno 2014 wikipedia)

Iraq 2014: la nascita del califfato dello Stato Islamico

Il 2014 si apre con l’ISIS che consolida le sue posizioni in Siria e approfitta dei moti di protesta della popolazione sunnita in Iraq: in seguito alle ripetute decisioni settarie del governo filo-sciita di al-Maliki il malcontento tra i Sunniti è altissimo e il momento è favorevole per un’alleanza di tutte le forze di opposizione. L’ISIS sposta molti combattenti dalla Siria in Iraq, nella grande provincia sunnita di al-Anbar, a ovest di Baghdad, percorsa dall’Eufrate e di strategica importanza per gli attraversamenti in territorio siriano. I centri abitati che sorgono lungo il corso del grande fiume subiscono per mesi l’alternarsi di scontri tra un’alleanza di leader tribali, gruppi baathisti e miliziani dell’ISIS contro polizia, esercito regolare e milizie tribali degli “Awakenings Councils” fedeli al governo. Fallujah a soli 80 km da Baghdad cade subito in mano all’alleanza ribelle, mentre Ramadi, la capitale della provincia, diventa un terreno di scontro permanente. A giugno, risultano fuori controllo governativo molti centri minori insieme ad al-Qaim importante città di confine con la Siria.

Gli scontri sono caratterizzati da un alternarsi di conquiste, ritirate e riconquiste da parte di entrambe le forze contendenti, con importanti episodi di diserzione nell’esercito regolare che non ha l’esperienza, i mezzi e soprattutto la motivazione per affrontare i veterani dell’ISIS che hanno già combattuto la guerra civile siriana (i soldati regolari sono spesso sciiti che non intendono rischiare la pelle per un territorio che non sentono loro). Va osservato come l’alleanza tra ISIS e le altre forze d’opposizione sia dettata dall’opportunità e non abbia permesso né il consumarsi di vendette, né quella radicazione territoriale come invece è avvenuto nei territori sotto il controllo esclusivo dell’ISIS in Siria.

Intanto, da febbraio, al-Qaeda ha tolto il suo appoggio all’ISIS confermandolo invece al Fronte al-Nusra in Siria. Le motivazioni per questa rottura sembrano derivare dallo successo dell’ISIS che opera autonomamente e rischia di far perdere influenza ai vertici di al-Qaeda.

A giugno l’ISIS con l’aiuto di formazioni baathiste e tribali, attacca il nord dell’Iraq a partire dalla città sunnita di Mosul. L’esercito iracheno che conta in città forze 15 volte superiori ai ribelli, fugge disordinatamente senza opporre resistenza, abbandonando al nemico ingenti quantità di armi e denaro. La notizia rimbalza sui media internazionali: una città di quasi due milioni di abitanti è stata conquistata dal gruppo jihadista più violento ed estremista, che continua ad avanzare sia verso nord che verso Baghdad. Le diplomazie entrano in fermento e il prezzo del petrolio sui mercati internazionali inizia a salire. Le milizie Peshmerga curde anticipano l’ISIS e avanzano verso sud occupando una vasta area prima contesa con il governo federale, tra cui la città di Kirkuk e il suo importantissimo hub petrolifero.

Nei giorni successivi le forze dell’ISIS si attestano di fronte a quelle curde e poi si spostano verso sud: cadono in mano ribelle anche Baiji, con la più grande raffineria del paese (benché resista caparbiamente asserragliato nell’edificio di controllo un commando di 70 poliziotti) e la città natale di Saddam Hussein, Tikrit, che rimarrà testa di ponte dell’ISIS contro cui l’esercito regolare effettuerà vari controattacchi infruttuosi. L’esercito regolare fatica ad opporre resistenza a causa delle continue diserzioni di massa e il governo di Baghdad è costretto ad appoggiarsi a reclutamenti tra le milizie sciite e ad accettare l’appoggio militare dell’Iran. La situazione militare si stabilizza temporaneamente, con l’ISIS che rafforza le sue posizioni, ottiene la sottomissione del fronte al-Nusra per poter attraversare con uomini e mezzi il lato siriano del confine e sfrutta la copertura mediatica per proclamare la nascita dello Stato Islamico a cavallo tra Siria ed Iraq. Nel frattempo centinaia di migliaia di sfollati sono le vittime inermi del conflitto.

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Fig. 9. Giacimenti e infrastrutture di idrocarburi nel Governo Regionale Curdo con evidenziato in rosso e verde i nuovi oledotti che permettono l’esportazione di petrolio in Turchia senza utilizzare il vecchio oleodotto (Fonte: Fondazione Camis De Fonseca)

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Kurdistan 2014: la guerra petrolifera

Nel 2014 viene combattuto un altro conflitto tra i Curdi e il Governo Federale: una guerra legale per lo sfruttamento delle risorse petrolifere curde. Con il pretesto di alimentare una centrale elettrica nella città di Dohuk vicino al confine turco, nel 2012 il governo regionale del kurdistan inizia la costruzione di un gasdotto dalla città di Erbil. Alcune perplessità sorgono immediatamente: il diametro del gasdotto è decisamente più ampio di quanto richiesto e quando Dohuk viene raggiunta il gasdotto viene prolungato sino al confine turco. A metà 2013 le perplessità svaniscono: il gasdotto viene collaudato, ma anziché del gas vi viene pompato petrolio. In accordo con la Turchia viene poi costruita una nuova stazione di pompaggio e misurazione al confine che si ricollega al vecchio oleodotto che parte da Kirkuk e arriva sino al porto turco sul mediterraneo di Ceyhan. I Curdi possono ora trasportare il petrolio indipendentemente dal governo federale e senza attraversare i territori sotto il controllo dell’ISIS. Al ritmo di circa 100.000 barili al giorno (rispetto ai 400.000 massimi di capacità di trasporto dell’oleodotto) a maggio 2014 il governo regionale del kurdistan inizia a riempire le prime petroliere a Ceyhan. Sinora il governo di Baghdad, appoggiato dagli USA, mediante minacce legali è riuscito a dissuadere la maggior parte dei compratori (tranne uno, Israele) ma il confronto sta andando avanti e, ancora una volta, l’azione politica di al-Maliki spinge verso il rafforzamento delle rispettive contrapposizioni.

Considerazioni e sguardi al futuro

  • Sia in Siria che in Iraq i conflitti interni hanno permesso l’ingresso e il rafforzamento dell’estremismo jihadista, con una radicazione territoriale e la formazione di uno stato dentro lo stato. In Siria però il governo ha dato prova di grande compattezza e anche l’organizzazione militare, pur provata dalle diserzioni iniziali, ha sostanzialmente mantenuto compattezza e capacità di reazione: lo stato insomma ha retto. In Iraq, invece, il governo federale ha fallito su ogni fronte: su quello politico ha allargato in ogni occasione le fratture tra Sunniti, Curdi e la maggioranza Sciita; su quello militare ha affidato la soluzione dei vari conflitti ad un esercito poco competente, equipaggiato ed addestrato in modo approssimativo, scarsamente motivato, incapace di relazionarsi con le popolazioni civili e minato da una diffusa corruzione e mancanza di disciplina (la presa di Mosul ne é una prova).

  • L’ISIS non è più un gruppo jihadista qualunque. Con la radicazione territoriale in Siria ha creato un mini-stato in grado di procurarsi armamenti più pesanti e di finanziarsi autonomamente: rapimenti, taglieggiamenti, vendita di petrolio al mercato nero e di elettricità al governo siriano dalle centrali conquistate. Le possibilità di finanziamento sono poi aumentate con le vittorie in Iraq, anche se con esse sono aumentate anche le spese per pagare i salari e mantenere quel minimo di stato sociale necessario ad evitare di perdere il supporto delle popolazioni assoggettate. Una precisa strategia comunicativa ha fatto contemporaneamente leva sull’identità sunnita, sulla necessità di creare un nuovo stato basato sulla Sharia e su un uso efficace delle moderne tecnologie di comunicazione. Ciò ha permesso di attirare e pagare un buon numero di combattenti stranieri (attualmente circa 3-5mila su un totale di 12-30mila) molti dei quali provengono da altre zone di conflitto (Afghanistan, Pakistan, Cecenia) oltre che a nazioni insospettabili (USA, Gran Bretagna, Germania). I veterani stranieri vengono utilizzati nelle azioni più rischiose delle prime linee per essere poi sostituiti rapidamente con miliziani iracheni, più adatti ad interagire con le popolazioni locali. L’estrema coesione interna dell’ISIS (ora Stato Islamico) non lascia intendere per ora possibilità di spaccature al suo interno.

  • I media internazionali hanno comunque enfatizzato eccessivamente i successi dell’ISIS (ora Stato Islamico) senza sottolineare che non sarebbero mai stati possibili senza l’appoggio di ampi settori dell’etnia Arabo-Sunnita. I territori sottratti al governo iracheno sono praticamente tutti e solo quelli Sunniti (vedi fig 8). Le vittorie dell’ISIS sono quindi in realtà le sconfitte politiche del governo sciita di al-Maliki, che ha operato per marginalizzare sistematicamente i Sunniti, permettendo così che appoggiassero l’estremismo jihadista e aprendo le porte ad un conflitto di tipo confessionale. Le stesse milizie alleate dell’ISIS hanno in realtà storie ed obiettivi difficilmente conciliabili con lo Stato Islamico e in futuro l’alleanza potrebbe facilmente rompersi.

  • L’Iraq è ora di fatto spaccato in tre parti(Sunnita, Sciita e Curda), con l’ISIS e i suoi alleati che controllano i tratti superiori del Tigre e l’Eufrate, le relative aree agricole, alcuni sbarramenti vicini a Baghdad (Fallujah e Samarra) e minacciano adesso di prendere il controllo del secondo impianto idroelettrico del paese, quello di Haditha(il più grande, quello di Mosul, è per ora in mani Curde).

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    Fig. 10. Sbarramenti sul Tigre e l’Eufrate in Iraq (Fonte: The Daily Star)

    In Aprile a Fallujah l’ISIS ha già dimostrato di voler usare l’acqua come arma di guerra, aprendo le chiuse della diga locale ed allagando le terre agricole sciite più a valle, ora sta agendo in senso opposto, aumentando gli effetti della siccità.

    La sola produzione petrolifera nel sud attualmente consuma circa 1Mb/d in acqua dolce per le iniezioni nei giacimenti finalizzate a mantenerne la pressione, circa lo 0,5% del flusso di magra combinato dei due fiumi. Può sembrare poco, ma l’acqua nel sud dell’Iraq è scarsa e il suo uso è particolarmente inefficiente.

  • Ricucire lo strappo politico Sunnita-Sciita sembra al di là delle opzioni realizzabili nei prossimi mesi e forse dei prossimi anni: l’intero apparato statale iracheno soffre di un livello di corruzione altissimo e ancora non è stato formato il nuovo governo dopo le elezioni parlamentari di fine aprile 2014 in cui la maggioranza sciita ha votato ancora compatta la formazione politica di al-Maliki (l’ultima volta, nel 2010, ci sono sono voluti 9 mesi).

  • Pure una soluzione militare del conflitto sembra complessa e poco auspicabile: la situazione dell’esercito nazionale rimane tragica e anche considerando l’aiuto prezioso delle milizie sciite e delle forze iraniane, già in atto, si deve tener presente che questo viene vissuto dai Sunniti alleati del governo come l’ennesima dimostrazione del carattere settario del governo sciita, rischiando di fatto di allontanare gli ultimi alleati rimasti su terreno.

  • La produzione petrolifera irachena non crollerà perché non sono a rischio né i 2,8Mb/d (milioni di barili/giorno) nel sud sciita, né gli 0,2Mb/d del Kurdistan. E’ anzi probabile un leggero aumento che manterrà la produzione attorno ai 3.3Mb/d nel breve termine.

  • Vista la situazione in atto è però improbabile che nei prossimi anni l’Iraq possa svolgere quella funzione di compensazione globale nella produzione petrolifera globale prevista dall’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) incrementando l’export sino a produrre 6Mb/d nel 2020, questo nonostante i costi di produzione siano tra i più bassi al mondo (stimati attorno ai 5$/barile). La guerra civile si somma poi a tutta un serie di problematiche normative, burocratiche e di corruzione che già negli anni scorsi hanno impedito gli investimenti per aumentare la produzione petrolifera, assicurare l’infrastruttura di trasporto e sviluppare le risorse di gas in sostituzione a quelle petrolifere per la produzione elettrica. Come la stessa IEA riconosce nel suo scenario “Delayed Case”, il mancato aumento produttivo iracheno condurrà i mercati petroliferi internazionali alla volatilità e al rialzo dei prezzi.

  • da http://aspoitalia.wordpress.com/

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