Breve introduzione tecnica per capire l’entanglement quantistico

L’avvento della meccanica quantistica, ha sicuramente sconvolto il panorama dello scibile umano del secolo scorso, non solo dettando nuove linee guide alla ricerca scientifica, ma ribaltando il determinismo che si era affermato negli anni precedenti. Alla fine del ’800, ci si era illusi di aver raggiunto un livello di saturazione per la conoscenza di leggi e assiomi fisici, di aver trovato un modus operandi in grado, tramite le leggi della meccanica classica Newtoniana, di poter descrivere qualsiasi sistema fisico. Effettivamente, qualsiasi fenomeno naturale osservato, sembrava seguire perfettamente le leggi della meccanica classica, senza mai trasgredirle, con ovvie ed enormi conseguenze per lo sviluppo tecnologico. L’uomo si sentiva padrone di sé stesso, e si cullava in un positivismo esasperato convinto di poter predire, dato uno stato iniziale ben definito, l’evoluzione dello stato stesso, in qualsiasi istante temporale e in qualsiasi coordinata spaziale.

La catastrofe era però vicina, una serie di scoperte scientifiche stavano per demolire tutte le certezze che avevano prodotto secoli di studi e osservazioni. Einstein, Plank, De Broglie, Schrödinger , Feynman, Fermi ed altri ancora, abbatterono una vecchia e ricostruirono una nuova visione del mondo, priva di certezze e capace, fin ora, di convivere con molte delle evidenze sperimentali a nostra disposizione. La differenza più affascinante tra la vecchia meccanica classica e la nuova quantistica, è che la prima viene descritta da leggi matematiche univoche, che dato un sistema in uno stato iniziale in cui le osservabili d’interesse del cosiddetto “spazio delle fasi” (coordinate spaziali e quantità di moto) sono note, è nota pure l’evoluzione temporale del sistema. Due particelle identiche, in un sistema classico, sono sempre distinguibili, poiché occupano posizioni diverse nello spazio delle fasi. In meccanica quantistica, al contrario, è impossibile il più delle volte distinguere due particelle identiche, poiché la funzione che descrive l’evoluzione del sistema è una “densità di probabilità”, ovvero una funzione che descrive la probabilità che ha la particella di trovarsi in quella coordinata dello spazio delle fasi. La perdita d’informazione sulla traiettoria delle particelle di un sistema fisico, tuttavia, è pienamente compensata da altre informazioni sulla natura delle particelle che si hanno solo applicando uno dei formalismi della meccanica quantistica. Lo spin è una di queste, e caratterizza la natura bosonica o fermionica di una particella. I fermioni sono particelle a spin semi-intero, definiti dall’antisimmetria della funzione d’onda, mentre i bosoni sono particelle a spin intero, definiti dalla simmetria della funzione d’onda. In meccanica classica non si distinguono bosoni e fermioni.

Un’altra differenza fondamentale, è che la misura di un’osservabile in meccanica quantistica, fa collassare il sistema nello specifico stato quantico di cui si è effettuata la misura. Diamo un esempio banale e fin troppo semplificativo, ma utile a chiarire le idee: se misuro l’impulso di una particella, che come abbiamo detto non è univocamente definito, allora l’impulso della particella risulta essere proprio quello, con probabilità 100%. Ciò è banale da un punto di vista classico, dato che l’impulso è univocamente definito, ma non da un punto di vista quantistico, tanto che questo, con un formalismo adeguato, rappresenta un assioma della teoria stessa. Prima della misura, infatti, non potevo attribuire un valore numerico all’impulso della particella, poiché questa aveva un impulso che non era univocamente determinato. Ovvero, prima della misura l’impulso era descritto da una funzione d’onda e aveva una certa probabilità di assumere tutta una serie di valori. In pratica li assumeva tutti e non ne assumeva nessuno. Tuttavia, come abbiamo detto, la misura fa collassare il sistema in un preciso stato quantico, dove l’osservabile misurata assume un valore noto. Se creiamo un sistema in cui due osservabili di due particelle distinte hanno un certo tipo di legame, ciò porta a un paradosso, non tanto con la meccanica quantistica, quanto piuttosto con la relatività e la meccanica classica stessa (che comunque era già uscita perdente).

Prendiamo due fermioni a spin ½. Per le leggi della meccanica quantistica, lo spin totale del sistema può essere 1 (stato di tripletto, poiché tre volte degenere rispetto allo spin totale date le possibili diverse orientazioni dei singoli spin), o 0 (stato di singoletto, poiché non degenere rispetto allo spin totale). Se prendiamo uno stato di singoletto, dopo la misurazione un fermione avrà spin +1/2, l’altro necessariamente -1/2 (più precisamente, il segno indica la proiezione del momento magnetico di spin sull’asse azimutale). Ricordiamo che prima della misura, tutti e due i fermioni non hanno tale valore definito. Dunque, se parto da questo stato e allontano i due fermioni, facendo una misurazione dello spin di una prima particella, questa decade inevitabilmente in uno dei due stati sopra descritti, diciamo +1/2. Necessariamente, la seconda particella, poiché era legata alla prima nello stato di singoletto, decadrà ISTANTANEAMENTE, nello stato con spin -1/2, indipendentemente dalla distanza a cui abbiamo portato le due particelle (pensiamo pure a distanze galattiche, che sono permesse dalla teoria!). Non solo ciò è senz’altro affascinante in quanto assolutamente anti-intuitivo, ma è in netto contrasto con la teoria della relatività ristretta, secondo la quale niente può muoversi a una velocità maggiore di quella della luce. Come fa il secondo fermione a conoscere istantaneamente, ovvero senza che un segnale lo raggiunga a velocità finita, in quale stato è collassato il primo? Questo è un grande mistero irrisolto, che trova conferma in recenti studi di cui vi proponiamo la lettura.

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