Una critica alla “rivoluzione del futuro senza petrolio” secondo Jeremy Rifkin
Riceviamo e pubblichiamo questo commento su un’intervista di Jeremy Rifkin pubblicata da Repubblica (di seguito):
Bisognerebbe farci un album della serie “Non posso fare a meno di vedere il nuovo mondo, ma la mia morale mi impone di farmi dell’acido per non guardarlo”. E se il problema si fermasse all’estensione indebita dalla giusta abolizione della gerarchia sociale alla utopistica e impossibile abolizione della gerarchia tecnica (della subordinazione del processo produttivo e dunque della vita materiale dell’uomo alla scienza necessaria produzione sociale), non sarebbe neanche troppo preoccupante: siamo nel solito, intramontabile sogno anarchico, contro cui giganti ben più grandi di noi hanno combattuto una vita.
Ma qui rifkin pesta la solita merda: “Da una parte abbiamo il costo marginale dell’energia che tende a zero perché, una volta pagati i costi di costruzione degli impianti, il sole è gratis e il vento non manda la bolletta. Dall’altra il modello internet ha varcato il muro della vita reale modificando logistica e convenienze energetiche: oggi puoi progettare in un luogo e realizzare gli oggetti in un altro con stampanti a 3d. Evitando trasporti, cioè consumi energetici e inquinamento “.
Questa è gente che non ha idea di cosa sia il processo produttivo moderno neanche dal punto di vista ingegneristico, non dico sistemico. Riescono con immane dissipazione energetica e di tempo a fare uno stronzetto di plastica fusa e pensano che con questi accrocchi si può fare qualsiasi cosa. E già vorrei vederli anche solo a prodursi quei fili di plastica che usano per le stampanti; ah già, si fanno con il petrolio, il quale richiede non una stampante 3D, ma giganteschi impianti di estrazione, stoccaggio, logistica, di raffineria e poi tutta l’industria chimica che produce la plastica e la fila.
Proudhoniani finche si vuole, ma almeno in questo sono più seri quelli del Global Village Construction Set; sognano un mondo fatto di tante fattorie autosufficienti, ma almeno sanno che per fare oggetti di metallo, vetro, ecc. ci vuole una fonderia, macchine utensili, ecc. Di sicuro, essendo almeno ingegneri e non economisti perditempo, non si sognerebbero mai di fare un oggetto di metallo con una stampante 3D da decine di migliaia di euro che usa del ferro polverizzato da 50 euro al chilo.
Insomma, mezzi artigiani 2.0: avete rotto le palle. Divertitive finché vi pare a fare i vostri modelli, ma non allargatevi. Del resto, se da decenni la prototipazione rapida esiste senza aver mai scalfito la produzione industriale nemmeno di un milionesimo di PIL, un motivo ci sarà.
Rifkin: “Vivere senza petrolio? Sarà una rivoluzione come quella di Internet”
“NON è la fine del petrolio, è il tramonto di un’era. La società gerarchizzata, fortemente accentrata nel potere e nelle ricchezze, si sta lentamente sgretolando. E al suo posto comincia a prendere forma un modello a rete, in cui centinaia di milioni di persone producono l’energia che serve alle loro case e alle loro attività. È una rivoluzione sociale, non solo energetica”. Jeremy Rifkin, presidente della Foundation on Economic Trends, commenta senza stupore l’annuncio dei Rockefeller di uscire dal business delle trivelle.
“Non mi meraviglio perché chi alza lo sguardo vede i trend”, continua Rifkin. “La transizione dal sistema produttivo basato sui combustibili fossili a quello basato sull’internet dell’energia è in atto e sarà inarrestabile come lo è l’espansione dell’internet della comunicazione. I due modelli sono simili: si basano sul passaggio da una logica verticale, in cui pochi godono di molti benefici, a una logica orizzontale, in cui i vantaggi e la conoscenza vengono distribuiti”.
Eppure gli Stati Uniti stanno puntando molto sullo shale gas, non è un rilancio dei combustibili fossili sotto altra forma?
“È una bolla che scoppierà presto: non ci sono le condizioni per uno sfruttamento conveniente in larga scala di una risorsa che è molto diluita, costosa nell’estrazione e con procedure estrattive ad alto impatto ambientale”.
Se il passaggio al nuovo modello è inarrestabile, come spiega la crescita di tensioni, anche geopolitiche, attorno ai giacimenti di fossili?
“Dire che il processo è inarrestabile non significa dire che scorrerà sul velluto. Le resistenze sono forti. Ma sono forti anche le tensioni competitive tra gruppi e tra Paesi che si contendono la leadership delle nuove tecnologie. Le grandi agenzie internazionali sull’energia prevedono che tra breve le rinnovabili scalzeranno il dominio dei fossili, ma non dicono quali Paesi saranno tra i vincitori e quali tra gli sconfitti perché questa partita è ancora in corso”.
L’Italia, che lei frequenta spesso, sarà dalla parte dei vincitori o da quella degli sconfitti?
“L’Italia ha il sole ma non ha il solare, la Germania non ha il sole ma ha il solare. I segnali che sono venuti dagli ultimi governi sono scoraggianti: per permettere la rivoluzione tecnologica basata sulle fonti rinnovabili e sull’efficienza ci vogliono continuità di indicazioni, costruzione di infrastrutture, manovre coerenti. La Germania lo ha fatto e ne sta traendo grandi benefici, anche dal punto di vista occupazionale. L’Italia si è fermata a metà strada e sembra voler tornare indietro, più interessata alle trivelle che all’energia pulita: se non metterà a punto una filiera nazionale dovrà continuare a comprare all’estero gli strumenti necessari per avere energia”.
Nel libro che ha appena pubblicato, La società a costo marginale zero , lei parla di internet delle cose. Qual è il nesso con l’energia?
“Il nesso è forte. Da una parte abbiamo il costo marginale dell’energia che tende a zero perché, una volta pagati i costi di costruzione degli impianti, il sole è gratis e il vento non manda la bolletta. Dall’altra il modello internet ha varcato il muro della vita reale modificando logistica e convenienze energetiche: oggi puoi progettare in un luogo e realizzare gli oggetti in un altro con stampanti a 3d. Evitando trasporti, cioè consumi energetici e inquinamento “.
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